Roma – Il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti non ci sta: non intende diventare il braccio legale dell’industria dei contenuti, non intende piegarsi ad impersonare il ruolo che vuole affibbiargli una legge che sta macinando l’iter parlamentare. E i legislatori sono costretti alla retromarcia.
Il bill, Enforcement of Intellectual Property Rights Act (EIPRA), è frutto dell’impegno antipirateria del Senatore Leahy. I tratti salienti della proposta? Moltiplicare l’entità dei rimborsi per le violazioni della proprietà intellettuale; creare un organo di coordinamento alle dirette dipendenze del Presidente che orchestri e armonizzi le strategie delle istituzioni impegnate nella lotta alla pirateria; incaricare i procuratori generali di intentare cause civili nei confronti di coloro che incorressero nelle violazioni. Cause più agili da gestire per l’accusa, e con le quali chiedere risarcimenti che finirebbero dritti dritti nelle tasche dell’industria dei contenuti.
L’EIPRA, che condivide molti aspetti con il controverso PIRATE Act e con il PRO IP Act, si configura altresì come la riproposizione dell’Intellectual Property Enforcement Act, caldeggiato dallo stesso senatore Leahy e mai diventato legge, un proposta che in molti avevano additato come una diretta emanazione dell’industria dei contenuti. L’EIPRA sembra però avere la strada spianata: è stato approvato senza sostanziali modifiche ad un primo scrutinio di una commissione parlamentare e ora si avvia verso la revisione da parte del Senato.
Le polemiche nei mesi scorsi avevano furoreggiato: un manipolo di associazioni a tutela dei diritti del cittadino si erano scagliate contro la superflua e pericolosa sovrapposizione fra i sistemi di tutela della proprietà intellettuale attivabili dall’industria dei contenuti e, nel contempo, dalla autorità statali. Una duplicazione di ruoli che sembrava tradire l’intenzione dell’industria di delegare ai procuratori l’onere di far valere i suoi diritti, trascinando in tribunale utenti colti in fallo per racimolare risarcimenti.
Non sono state sufficienti le denunce delle organizzazioni a tutela del netizen e del cittadino: è così che il Dipartimento di Giustizia ha comunicato la propria opinione e ha precisato che i regolamenti di conti dell’industria del copyright spettano all’industria del copyright. Certo, spiegano dal Dipartimento di Giustizia nella lettera indirizzata al senatore Leahy, “è apprezzabile l’intento di migliorare gli strumenti disponibili per tutelare la proprietà intellettuale”, ma monta “la preoccupazione per il fatto che la proposta metta a rischio gli attuali sistemi di tutela diminuendo il ricorso al penale e creando dell’inutile burocrazia”.
Il Dipartimento di Giustizia non tollera che il compito di accusare i cittadini che violino la proprietà intellettuale spetti al procuratore generale, l’unica autorità che, gestendo e centellinando le proprie limitate risorse, si occupa delle cause penali. Se la scelta di aprire la strada alle cause civili non fosse motivata dalle facilitazioni offerte all’accusa ma avesse realmente l’intento di allentare la morsa nei confronti dei cittadini accusati e di alleviare l’impegno del sistema giudiziario, non è chiaro il motivo per cui si debba scomodare un procuratore generale. “Intentare una causa civile – spiegano dal Dipartimento di Giustizia – è sempre stata una prerogativa e una responsabilità dei detentori dei diritti e la legge degli Stati Uniti consegna loro gli strumenti legali per farlo”. Affidare questo compito ai procuratori, stipendiati con i soldi dei contribuenti, significherebbe trasformarli in “legali pro bono che operassero a favore dei detentori dei diritti” per collezionare risarcimenti.
In molti hanno accolto con favore la reazione risoluta del Dipartimento di Giustizia. Anche il Senato si è sentito in dovere di tornare sui propri passi: su proposta del senatore Ron Wyden la commissione che aveva dato il via libera alla proposta di legge ha sferruzzato con gli articoli e i commi e ha prodotto una nuova versione del bill che non concede all’industria di combattere la pirateria impegnando i procuratori nel lavoro sporco delle cause civili. “Con oltre 30mila denunce depositate da una sola entità nei confronti dei cittadini è chiaro che l’industria sia più che capace di far valere i suoi diritti nelle cause civili anche senza il supporto dei contribuenti e degli indaffarati procuratori – ha ironizzato il senatore Wyden – Continuerò a fare pressione sull’industria dei contenuti affinché cerchi dei modelli distributivi che facciano leva e consentano di trarre profitto dalla nuove tecnologie che hanno rivoluzionato il modo in cui gli americani comunicano, imparano e condividono informazione”.
Gaia Bottà