La Corte d’Appello di Roma ha confermato in secondo grado la condanna inflitta a Break Media, web provider di contenuti umoristici statunitense, al risarcimento dei danni procurati a Mediaset per violazione del copyright. Il brand del gruppo Defy Media è colpevole di aver tollerato la presenza sul portale Break.com di circa 50 video delle tv di Cologno Monzese, postati dagli utenti, nonché di averne tratto vantaggio economico. Aver lucrato sulla violazione del diritto d’autore compiuta da terzi ha inchiodato Break Media alle proprie responsabilità: dovrà pagare al Biscione 115 mila euro, più le spese legali e ulteriori 1000 euro per ogni giorno di permanenza dei contenuti delle trasmissioni Mediaset sul sito Break.com. Il rigetto dell’appello proposto da Break Media ha confermato la condanna espressa in primo grado per “cooperazione colposa mediante omissione” nella diffusione illecita di programmi televisivi di Mediaset. Curiosa formula, considerato che il web provider sembra essere stato condannato proprio perché, oltre a non aver rimosso i contenuti che violavano il copyright ignorando la diffida di Mediaset (condotta omissiva), ha fatto qualcosa: ha selezionato ed ordinato i contenuti di Mediaset pubblicati dagli utenti di Break.com in violazione del copyright, ha conferito un valore a quei contenuti in base al numero di visualizzazioni ricevute e ha collegato a questi una pubblicità. Questa condotta attiva, letta dalla corte come “evidente ragione di tornaconto economico”, potrebbe spostare l’asse dell’elemento soggettivo verso il dolo eventuale o, quanto mento, la colpa cosciente. Rigettata anche l’eccezione inerente il difetto di giurisdizione: non è il giudice statunitense a dover decidere, bensì quello italiano perché l’Italia è il paese dove ha la sede legale la società danneggiata, nonché luogo dove si è verificato il danno, elemento essenziale perché la fattispecie possa ritenersi consumata. Rilievi giuridici a parte, la sentenza si inserisce nel solco di quella giurisprudenza europea che ritiene pienamente responsabili gli operatori di Internet anche per i contenuti coperti da copyright illecitamente diffusi da utenti terzi, soprattutto nel caso in cui tali operatori ne traggano vantaggio economico. Il provider che seleziona e gestisce la pubblicità sui contenuti, infatti, non può essere considerato solo un fornitore di supporto tecnico passivo, bensì ha un obbligo attivo: deve esercitare un controllo dei contenuti postati, verificare l’opportuna protezione degli stessi, eliminandoli in caso di violazione del diritto d’autore, a maggior ragione se a ciò intimato dal proprietario legittimo di quei contenuti. D’altra parte, secondo la sentenza romana, quest’ultimo non è neppure tenuto ad una indicazione puntuale degli indirizzi web, bensì è sufficiente che segnali la presenza dei video. Questa statuizione della Corte, in particolare, rappresenta una speranza in ordine all’esito di un altro giudizio che coinvolge Mediaset e Yahoo ad oggi pendente in Cassazione: il Tribunale di Milano aveva condannato l’azienda californiana per aver inserito nel proprio servizio Yahoo Video dei contenuti Mediaset in violazione del copyright, ma la Corte d’Appello aveva ribaltato la decisione ritenendo che la tv del Biscione fosse obbligata ad indicare puntualmente la presenza dei singoli filmati. Se la Cassazione dovesse tenere conto della recente pronuncia della Corte d’Appello di Roma potrebbe nuovamente ribaltare l’esito in favore dell’azienda televisiva guidata dall’a.d. Pier Sivlio Berlusconi. (V.D. per NL)