Copyright, 70 anni posson bastare. Il Parlamento Europeo ha votato per estendere la durata del diritto d’autore degli interpreti

(Punto Informatico) – Vent’anni di tutela in più rispetto ai 50 previsti ora. E un fondo pensione per gli anziani performer.

Settant’anni dalla registrazione, settant’anni per mungere le performance, settant’anni per tentare di ricompensare gli interpreti per il contributo che hanno dato alla storia della musica. Il Parlamento Europeo si è espresso a favore dello stiracchiamento della durata del diritto d’autore. Era stato il commissario McCreevy ad avanzare la prima proposta di estensione: gli attuali 50 anni di tutela e di raccolta delle royalty non permetterebbero ai canuti artisti e ai loro eredi di godere dei frutti dell’estro artistico che li animava in passato. Balere e nostalgici dovrebbero continuare a sfamarli, a garantire loro un sereno invecchiare. Si tratterebbe in primo luogo di una questione di caratura morale. McCreevy proponeva un sostanziale raddoppio della durata della raccolta delle royalty, da 50 anni a 95 anni di tutela a partire dalla pubblicazione: a farlo desistere non sono bastate le reazioni di consumatori che premevano per un più equo equilibrio nella retribuzione e nell’incentivazione della creatività; sono rimasti lettera morta gli studi di esperti in materia secondo cui l’estensione della durata del diritto d’autore finirebbe per ricompensare le sole etichette e i soli mostri sacri, inaridendo nel contempo il patrimonio del pubblico dominio. Il Parlamento Europeo si era lasciato convincere dalle istanze di McCreevy e dei colossi dell’industria, la Commissione Affari Legali aveva approvato il testo. Ma il Comitato dei Rappresentanti Permanenti degli Stati Membri aveva opposto il proprio voto alla proposta: 95 anni di protezione non avrebbero saputo bilanciare il giusto riconoscimento da corrispondere agli artisti e il diritto della società civile di alimentare la propria creatività con il common del pubblico dominio. Il denaro raccolto, spiegavano gli oppositori della proposta, non avrebbe offerto garanzie agli artisti, ma alle sole etichette. Non si erano spinti a riconoscere che, come osservato da Open Rights Group, i performer avrebbero incassato tra i 50 centesimi e i 26,79 euro all’anno, l’1 per cento di quanto l’approvazione dell’estensione avrebbe fruttato alle etichette: avevano chiesto una tutela lunga 70 anni. E 70 anni siano, ha confermato il Parlamento Europeo. Con 377 voti a favore, 178 voti contrari e 37 astensioni. Il report di Brian Crowley prevede una tutela che copra le sette decadi successive alla prima pubblicazione della performance, un compromesso che dovrebbe accontentare le autorità europee e gli stati membri. Se il testo dovesse essere approvato anche dal consiglio dei Ministri, se dovesse rimanere inalterato anche in seconda lettura, i performer potranno contare su un fondo per la previdenza sociale alimentato dai produttori. Dovranno corrispondere il 20 per cento del fatturato incamerato in virtù del prolungamento della protezione: denari che verranno amministrati dalle collecting society e che verranno spartiti fra coloro che hanno concesso i propri diritti ai produttori. Per incentivare lo sfruttamento delle opere, per non consegnare alla polvere e all’oblio storiche performance, il testo della proposta prevede che l’industria fonografica sia obbligata alla riflessione allo scadere dei 50 anni della prima pubblicazione dell’incisione: se i produttori dovessero decidere di non utilizzare più il brano, l’artista potrebbe rivendicare la rescissione del contratto. Per trasferirne i diritti all’etichetta da cui è rappresentato. La disposizione, se venisse approvata dal Consiglio, si dispiegherebbe solo sul mercato della musica. Ma le autorità europee si ripromettono di indagare: nel corso del prossimo anno la Commissione dovrebbe condurre sul mercato dell’audiovisivo indagini analoghe a quelle che sono sfociate nella proposta appena votata. Il commissario McCreevy non nasconde la soddisfazione per la fiducia dimostrata dal Parlamento Europeo nei confronti della proposta: "per me è una questione di principio che tutti i creatori siano degnamente retribuiti, gli autori così come gli interpreti – ha spiegato – parlare con i performer, non con le superstar, mi ha fatto capire che qualcosa doveva essere fatto". Dissente invece Guy Bono, strenuo difensore dell’emendamento 138 46 al Pacchetto Telecom: "Si tratta di un regalo fatto all’industria discografica –affonda – che non ha saputo adattarsi alla rivoluzione digitale". "Il voto del Parlamento sarà musica per le orecchie delle grandi etichette discografiche e degli artisti di punta – ha denunciatoEva Lichtenbergerinsieme al gruppo dei Verdi – se la legge avesse voluto davvero aiutare artisti e consumatori, gli europarlamentari avrebbero convenuto nel consegnare il cento per cento delle entrate ai performer, non solo il 20 per cento". Anche da parte di certe fronde degli artisti emerge delusione: a parere di Billy Bragg, che più volte in passato si è mobilitato per difendere il diritto della propria categoria a trattamenti più equi, l’estensione della durata del diritto d’autore non farebbe che perpetuare modelli di business e schemi contrattuali incapaci di interpretare le opportunità offerte dall’economia digitale. I consumatori non sembrano rassegnarsi: la proposta verrà sottoposta al parere del Consiglio e verrà ridiscussa nella prossima legislatura, Sound Copyright invita a non interrompere il flusso di appelli diramato a mezzo email ai rappresentanti dei cittadini europei.

Gaia Bottà

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