Roma – Sto facendo un piccolo esperimento. Navigo su Youtube dentro i video caricati dagli utenti di canzoni di Lucio Battisti. E – lo confesso – si tratta di una esperienza fantastica, a metà fra il ricordo (per quelli che hanno la mia età) e la scoperta. Video di oltre trent’anni fa, uno accanto all’altro in bell’ordine: la grande maggioranza delle pochissime apparizioni pubbliche del cantante più amato in Italia dalle ultime generazioni a disposizione di chiunque. Un esempio su tutti: “La canzone del Sole”, i quattro accordi di chitarra più strimpellati in questo paese dalle ultime generazioni, in un video (in playback) del 1971. Oppure il lungo medley con Mina di brani che hanno fatto la storia della musica italiana. Vale la pena di leggere i commenti a questi videopost per capire cosa significhino simili reperti storici per i navigatori della rete: serve guardare i loghi della Tv di Stato che ha trasmesso simili eventi per capire che moltissimo è cambiato da allora, dai tempi delle Canzonissime e dei Cantagiro e che molto di questo oggi è inevitabilmente andato perduto, insieme ai televisori a tubo catodico ed alle trasmissioni in bianco e nero.
Trent’anni non sono solo un abisso tecnologico ma sono anche una vera e propria tomba della memoria. Un percorso senza ritorno verso un oblìo forse inevitabile, che oggi, attraverso strumenti di condivisione in rete come Youtube, ha possibilità di essere rallentato.
La memoria storica, anche di eventi popolari come la musica di Battisti, è uno dei cardini della società che abitiamo ed uno dei presupposti sui quali si basano innovazione ed avanzamento della cultura. E non è retorico dire che qualsiasi strumento in grado di facilitare documentazione e ricordo è oggi da considerarsi un presidio indispensabile alla nostra società.
All’interno di una logica del genere la recente richiesta della RAI a Youtube affinché vengano rimossi i contributi video (come i filmati di Battisti di cui dicevo poco fa) tratti da trasmissioni della TV di Stato, è una richiesta miope e contraria all’interesse generale, seppur ovviamente in linea con i dettami di tutela della legge sul diritto d’autore.
Cosa ha fatto in questi anni la RAI affinché attraverso nuovi strumenti tecnologici i contributi audio e video di propria creazione fossero conservati e diffusi? Quali passi ha intrapreso la TV di Stato (che ha prodotto negli ultimi 60 anni migliaia di ore di trasmissione con i denari dei cittadini) nella direzione dell’ampliamento della disponibilità del proprio archivio per i propri utenti? La risposta corretta è: poco o nulla. La cineteca RAI, nelle menti fervide di Viale Mazzini, è un “tesoretto” da far fruttare e non un patrimonio di conoscenza di proprietà dell’intera comunità: quella stessa comunità che a suo tempo ne ha permesso la produzione e la diffusione prima che – negli ultimi anni – i proprietari effettivi diventassero gli inserzionisti pubblicitari e la RAI si trasformasse in una strana azienda di servizio pubblico dal sesso incerto.
Le intenzioni, specie quelle belle e improbabili, ai tempi di Internet contano il giusto poiché (per fortuna) la democratizzazione degli strumenti di comunicazione ha fatto in modo che la pratica abbia sopravanzato abbondantemente ogni distinguo ideologico. Da molto tempo si vocifera della intenzione della RAI di rendere disponibile online la propria mediateca: ma quello che l’azienda televisiva di Stato fino ad oggi non ha fatto, lo hanno fatto gli utenti, caricando su Youtube i contributi che ritengono interessanti e significativi, affinché altri possano consultarli e riutilizzarli.
Non c’è niente di strano in tutto questo: niente che non possa essere archiviato come inevitabile ridistribuzione degli strumenti di controllo mediatico e come nuove modalità di trasmissione della cultura.
Ciò che oggi molti non comprendono è che non è possibile togliere valore alla rete: se si è bravi è possibile spostarlo (vedi esperienze di “shifting ideologico” come iTunes Music Store) ma non c’è maniera di ridurlo. Cosa può fare la RAI oggi nei confronti di una categoria molto affezionata di propri utenti (quelli che hanno amato talmente certe trasmissioni Tv da averle registrate e poi riversate su Youtube a disposizione di chiunque altro)? Denunciarli uno ad uno? Attaccare a suon di lettere legali la piattaforma di condivisione utilizzata come se fosse Youtube la causa di una simile libera diffusione dei contenuti?
L’unica scelta possibile è quella di creare nuovo valore, fornendo strumenti analoghi e migliori di condivisione. E sarebbe utile farlo in fretta, con trasparenza e passione, pensando all’importanza della trasmissione della conoscenza e non esclusivamente alla prossima monetizzazione della fiction di Montalbano. Senza confondere strumenti con comportamenti perché non è di Youtube la colpa del fatto che vecchi video di Battisti circolino in rete cosi come non è colpa di Telecom se attraverso le sue linee è possibile confortevolmente organizzare una rapina in banca o qualsiasi altro misfatto.
Quando domani (o più probabilmente dopodomani) strutture mediatiche sul web come RAI.tv saranno pronte ed operative, non solo si potrà – eventualmente – invitare Youtube al rispetto delle leggi sul copyright ma ci si accorgerà che in casi simili, se si saranno fatte le cose per bene, nessuno caricherà più i video di Battisti o di Rino Gaetano su Yotube perché questi saranno già online disponibili a tutti all’interno di un servizio pubblico del quale la RAI potrà finalmente vantarsi.
Ma fino ad allora, con l’azienda televisiva di Stato che si dibatte fra contratti di servizio e “diritti di sfruttamento web”, fra promesse di prossime distribuzione di minuscole parti del proprio archivio (per giunta con materiale sottoposto a DRM) e incredibili distinguo burocratico-procedurali, le richieste a Youtube di rimozione di spezzoni di trasmissioni televisive caricate dagli utenti, ha un unico evidente significato: il tentativo di opporsi non solo all’utilizzo di strumenti tecnologici che sono ormai entrati nella pratica comune ma, anche e soprattutto, la scelta ideologica di disinteressarsi della propria funzione pubblica di creatore di valore, concentrandosi sulla dimensione aziendale e commerciale. L’esatto contrario di ciò che la RAI avrebbe dovuto essere.
Ci state dicendo che eravamo utenti e siamo diventati clienti? Che le strategie della Tv di Stato e quelle della Tv commerciale sono ormai sovrapponibili? E sia. Del resto forse un poco ce ne eravamo già accorti.
Massimo Mantellini
Manteblog
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