da European Law
Lo stabilisce primo fra tutti l’articolo 23 del Codice del Consumo (D.lgs. 206/2005), ma tale aspetto è stato più volte ribadito anche nelle pronunce dell’Antitrust.
Recentemente anche la Corte di Cassazione (terza sezione civile, sentenza n. 22535), ha avuto modo di sottolinearlo in merito a un ricorso presentato dalla direttrice di un settimanale femminile, sanzionata dall’Ordine dei giornalisti della Lombardia per aver attuato un’illegittima commistione fra pubblicità e informazione. Il settimanale era stato infatti condannato, per aver utilizzato fotografie distribuite da industrie di cosmetici e abbigliamento.
Secondo la Corte:
“Il direttore di giornale deve garantire la correttezza e la qualità dell’informazione, per questo è tenuto a verificare se la pubblicità sia chiaramente riconoscibile come tale, distinguendosi da ogni altra forma di comunicazione mediante modalità grafiche facilmente riconoscibili da tutti”.
È evidente che qualora la verifica conduca a risultati negativi, il direttore è tenuto a non pubblicare le immagini, incorrendo altrimenti nelle sanzioni previste dalla legge n. 69/1963.
Sul medesimo argomento, anche:
Il Tar Lazio ha respinto il ricorso della società Bbd distribuzione s.p.a. per la richiesta di annullamento di una decisione dell’Antitrust (Procedimento PI4432, Provvedimento n. 13385 del’8 luglio 2004) che aveva giudicato ingannevole il messaggio pubblicitario riguardante un rilevatore di banconote false.
Due i motivi di impugnazione: la società che ha impugnato il provvedimento non si considerava operatore pubblicitario e la diffusione del messaggio era cessata prima dell’avvio dell’istruttoria.
Sotto il profilo della qualifica di operatore pubblicitario il giudizio dell’Antitrust era corretto poiché il messaggio era stato ideato e diffusione nell’interesse dalle società. Irrilevante è anche l’eccezione circa la tempistica della pronuncia dell’Antitrust poiché la segnalazione era giunta quando il pieghevole era ancora in circolazione.
L’elemento più interessante della decisione del TAR è la precisazione che ai fini della qualifica come pubblicità ingannevole non è rilevante se lo stesso prodotto sia destinato a consumatori o a una determinata categoria di utenti, trattandosi pur sempre di diffusione di un messaggio pubblicitario.
Si ricorda che la normativa sulla pubblicità ingannevole, ora inserita nel Codice del Consumo deriva dall’attuazione delle direttive comunitarie 84/450/CEE e 97/55/CE.