La Suprema Corte, con la sentenza 10100/2011 emanata l’11 marzo dalla sezione Penale, ha disegnato i confini delle competenze “tipiche” del commercialista, considerando la consulenza fiscale monopolio dei professionisti dell’economia aziendale.
La Corte non ha esitato a calcare la mano e con estrema facilità ha conferito all’attività del professionista, l’importante etichetta di “professione protetta”. Infatti, una volta identificate ex lege le prestazioni proprie e tipiche del professionista, si discriminano implicitamente gli eventuali e potenziali prestatori non iscritti all’Albo. I quali oltre che ad avere le mani legate, corrono il rischio di rispondere del reato di esercizio abusivo della professione, previsto e punito all’art. 348 c.p. Tale pronuncia della Corte fa sì che la consulenza fiscale diventi una vera e propria esclusiva dei dottori commercialisti per due ordini di motivi: operatività e dignità. La decisione è guidata dalla concezione materiale dell’attività delle scritture contabili, terreno indispensabile per la formazione del bilancio nonché veicolo di comunicazione tra imprese e punto di riferimento degli stakeholder, necessari portatori di un’eterogeneità di interessi (consumatori, fornitori, banche, investitori privati). Di conseguenza, l’operazione “caratteristica” del commercialista è considerata la materia prima, con la quale predisporre la formazione del bilancio e la dichiarazione dei redditi, due atti connotati da una valenza sociale che supera, come si evince dal contenuto della sentenza, il mero adempimento della prestazione stricto sensu. La Suprema Corte vuole conferire, quindi, la dignità e la protezione che tali attività meritano. È palese il beneficio e il privilegio apportato alla categoria professionale. Ma il panorama cambia al variare del punto di vista. Se lo sguardo è quello del consulente del lavoro, le sensazioni mutano e il senso di “protezione e dignità” percepito dai commercialisti assume le sembianze di un netto taglio di competenze. La competenza in materia fiscale dei consulenti del lavoro, infatti, è frutto di innumerevoli provvedimenti normativi, elaborati nel corso degli anni, ma chiaramente esclusi dalla valutazione della Corte. Il fatto che i consulenti del lavoro siano legittimati ex lege ad assistere fiscalmente i clienti spoglia l’autorevolezza della pronuncia 10100/2011 e ci fa pensare ad un evidente e possibile contrasto giurisprudenziale. La Presidente del Cno (Consiglio Nazionale dell’Ordine) Marina Calderone non ritiene sia così, in quanto la sentenza non incrementa un orientamento consolidato ed opposto a quello costante pro-consulenti del lavoro, bensì sembra essere la “mosca bianca”, quale solitaria sentenza in distonia. Si tratta di una stonatura nell’ambito della regolamentazione della consulenza fiscale, e quindi un abbaglio dei giudici. Per questo, la Presidente osa proporre, in caso di necessità, l’autodenuncia della categoria dei consulenti del lavoro per esercizio abusivo della professione volta a dare un’ulteriore chance ai giudici, affinché decidano attraverso una ponderazione completa e appropriata. (C.S. per NL)