Nella sentenza n. 8229, depositata in cancelleria lo scorso 25/11/2010, l’Organo Supremo della giustizia amministrativa ha ribadito l’ammissibilità del ristoro dei danni in conseguenza dell’emanzaione di un provvedimento amministrativo illegittimo, in quei casi in cui l’errore della P.A. non sia scusabile.
La controversia deferita all’esame del Supremo Collegio, verteva sull’illegittima esclusione di una società da una gara d’appalto indetta da un Comune, in conseguenza della ritenuta inadeguatezza dei compensi previsti nell’offerta economica per i collaboratori con contratto a progetto, in quanto inferiori al minimo salariale previsto dal C.C.N.L. per i lavoratori subordinati di quello stesso settore. Soccombente innanzi al T.A.R., ricorreva in secondo grado la stazione appaltante resistendo sul punto controverso che le aveva consentito di aggiudicare i lavori ad altra ditta. In proposito, parendo dall’inizio della vicenda, il Tribunale di primo grado annullava il provvedimento di esclusione irrogato alla società ricorrente e, conseguentemente, quello di assegnazione ad altro concorrente, condannando al risarcimento dei danni la P.A. per avere la Commissione di gara applicato in maniera eccessivamente estensiva l’art. 17 del Capitolato, in base al quale s’imponeva alla ditta vincitrice l’applicazione ai dipendenti impiegati nelle attività in concorso (accertamento e riscossione dell’imposta sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni) dei livelli salariali previsti dalla contrattazione collettiva. Oltre che sul merito della questione in sé che qui non interessa, Palazzo Spada si sofferma in particolare sul profilo relativo alla lesione dei diritti soggettivi di un privato derivante dalla sopravvenuta illegittimità di un atto, quale presupposto per il risarcimento dei danni subiti. In merito, l’ente locale deduceva in appello l’insussistenza dell’elemento soggettivo (dolo o colpa), requisito indefettibile per la condanna di natura civilistica. In altre parole, nell’argomentazione della stazione appaltante, il T.A.R., seppur avendo assunto violati ai sensi dell’art. 97 Cost. i principi di buona fede ed imparzialità a presidio dell’operato dei pubblici uffici, non avrebbe potuto solo su queste basi accogliere la domanda di risarcimento della controinteressata, in quanto “collegata a circostanze e riferimenti normativi contraddistinti da notevole incertezza”, non potendosi altresì escludere che l’Amministrazione avesse all’epoca dei fatti mantenuto un contegno conforme alla legge, seppur commettendo un errore definito "scusabile". Su di un piano assolutamente antitetico si ponevano, invero, le considerazioni svolte dal Consiglio di Stato che prendeva le mosse dall’accertamento contenuto nella sentenza impugnata, relativo alla illegittima violazione da parte della P.A. procedente del bene della vita (ovvero, del diritto soggettivo posto alla base del risarcimento) costituito dalla mancata stipulazione del contratto di appalto da parte dell’impresa vittoriosa in primo grado. Il Collegio d’appello, poi, rifacendosi alla giurisprudenza intervenuta sul punto, conveniva con il Comune che il solo annullamento del provvedimento impugnato non potesse da sé fondare la condanna al risarcimento dei danni da parte dello Stato in assenza degli elementi soggettivi del dolo o della colpa, se non fosse che l’errore commesso dall’ente locale appariva tutt’altro che giustificabile. Infatti, la Commissione di gara, in sede di verifica dell’anomalia dell’offerta dell’impresa esclusa, considerava a sostegno della propria decisione norme giuridiche avulse dall’effettivo contesto di riferimento, ritenendo necessaria l’applicazione ai compensi dei collaboratori a progetto (che agli effetti di legge sono assimilabili a lavoratori autonomi) dei criteri di determinazione della retribuzione previsti dal C.C.N.L. per i lavoratori subordinati di quel settore (terziario). L’errore commesso in sede di apertura delle buste, quindi, si manifestava come frutto di un’applicazione di norme giuridiche non conferenti con quelle che avrebbero dovuto,invece, essere prese a riferimento, restituendo un provvedimento amministrativo (di esclusione dalla gara) gravemente viziato ed opportunamente censurato in sede di impugnazione giudiziale. Vieppiù, il,Consiglio di Stato, nel connotare puntualmente i presupposti di diritto valevoli ai fini del risarcimento dei danni scaturenti dall’illegittima azione degli organi dello Stato, statuiva – richiamandosi al precedente fornito dal medesimo Collegio e contenuto nella sentenza 2029/2010 – che “(…) il Giudice amministrativo può (…) affermare la responsabilità (della Pubblica Amministrazione, n.d.r.) solo quando la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto ed in un quadro di riferimenti normativi e giuridici tali da palesare la negligenza e l’imperizia dell’organo nell’assunzione del provvedimento viziato, negandola invece quando l’indagine conduce al riconoscimento dell’errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l’incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto” (cfr. C.d.S., sez. V, sent. 8229/2010). Appare dunque evidente che, laddove un’istruttoria venga condotta con superficialità e disattenzione rispetto alle norme giuridiche a presidio del giusto procedimento amministrativo, non c’è errore che tenga e la P.A. si dovrà fare carico – eventualmente – di risarcire il privato leso dalla conseguente illegittima decisione. (S.C. per NL)