L’eredità lasciata a Corrado Passera dal congedato ministro allo Sviluppo Economico Paolo Romani è greve.
Switch-off abborracciati; procedura per l’assegnazione del dividendo interno (beauty contest) in odore di disapprovazione europea; tv locali esiliate dal mercato; disparità di trattamento enormi tra operatori nazionali primari e minori; organi centrali e periferici del MSE-Com allo sbando (senza risorse umane e finanziarie e, qualche volta, affidati a gestioni o a professionalità discutibili). Peggio di così, stentatamente si poteva fare. Ora, se si vuole dare un segnale internazionale che l’Italia non è più un paese prigioniero delle esigenze personali dei suoi governanti, uno Stato che più non ruota intorno agli affari paratelevisivi del suo premier, occorre un vero colpo di spugna. Anzitutto, riscrivendo la procedura per l’attribuzione dei sei multiplexer nazionali del digital dividend interno con il fine di incassare il valore reale delle frequenze che Berlusconi voleva regalare a Mediaset, RAI, Telecom Italia e (obtorto collo) a Sky (una cifra tra i 3 e i 6 mld di euro che contribuirebbero ad alleviare le misure di austerity annunciate dal Governo Monti). Poi, raschiando le sperequazioni tra tv locali e nazionali, attribuendo le frequenze DTT definitive (le attuali sono tutte provvisorie) in modo equo e trasparente. Infine, verificando la funzionalità del MSE-Com, un carrozzone scasso che sbanda ad ogni curva.