Se esiste un aspetto spinoso e scomodo del Web 2.0 è la velocità con la quale il popolo della rete è in grado di rendere popolare, o al contrario distruggere, un personaggio, un blog, un qualunque contenuto. Ci lamentiamo spesso della televisione, della stampa e dei giornalisti in generale, secondo alcuni di noi troppo impegnati ad azzardare conclusioni senza la benché minima certezza ufficiale, ma su internet tutto può addirittura peggiorare. Basta “googolare” un po’ per trovare notizie e aggiornamenti su molti personaggi e volti noti, su persone comuni o su qualunque genere di prodotto volessimo acquistare o cercare. Ci vuole altrettanto poco tempo perché tutti i soggetti o gli oggetti, eventualmente indicati nel proprio motore di ricerca preferito, maturino una determinata reputazione, piacevole o spiacevole che sia. Internet, e i social network in particolare, sono un’arma a doppio taglio, sempre più difficili da usare senza recare danni a se stessi o a terzi. Il problema sembra essere il seguente: in molti casi il web si è dimostrato capace di portare al successo facce e idee nuove, tanto quanto di screditare prodotti e personaggi, scatenando reazioni a catena dalle quali i diversi soggetti sono usciti vinti o vincitori, a seconda del parere espresso dagli internauti. Basta un click, una frase in un forum o una sezione del proprio blog dedicata a parlare male di quel politico o bene di quel musicista. E spesso le conseguenze si pagano subito. Pensiamo ad eBay: recentemente la possibilità di esprimere commenti negativi è stata vietata, proprio perché se ne faceva abuso per recriminare anche rapporti commerciali non andati a buon fine per qualsivoglia motivo. Pensiamo a Beppe Grillo, il noto comico genovese, e soprattutto a quanto è riuscito ad ottenere creando un popolo di seguaci attraverso un blog dalle più evolute funzionalità. E pensiamo infine a chi, come Google naturalmente, ha consapevolmente incanalato questo grande flusso di rapporti sociali via web facendone un business (di norma a pagamento; quando è gratuito significa che paga la pubblicità). Alert, per esempio, consente a chiunque lo voglia di visualizzare, tramite l’invio personalizzato di una mail, la quantità di volte che la parola chiave richiesta è stata inserita nel motore di ricerca. Così, se un imprenditore volesse essere avvisato quando un utente cerca informazioni relative alla sua società attraverso Google, lo può fare semplicemente iscrivendosi a questo servizio. A questo meccanismo ne segue un altro: con l’ausilio di Alert (o di servizi analoghi come Blogmeter e Technorati per esempio) è più facile scoprire cosa pensano gli internauti di sé o dei prodotti che si tenta di pubblicizzare o vendere e, se necessario, modificare atteggiamenti, o perfino ritirare prodotti apparentemente scadenti dal commercio elettronico prima di rischiare il turpiloquio del pubblico. Come si è detto in apertura, qualunque processo sociale triplica velocità se veicolato dal web ed è normale pensare che la reputazione, in questa sede, può acquisire caratteristiche talvolta anche determinanti per imprese, società e persone. Ergo, controlliamo…ci! (Marco Menoncello per NL)