Quando ce ne occupammo qualche mese fa, il nuovo regime delle incompatibilità per i giudici tributari che avrebbe dovuto entrare a regime in questo mese, veniva stigmatizzato negativamente dai primi commentatori (noi compresi), temendo l’effetto di un collasso dei giudizi.
La nuova normativa che portava con se la prospettiva di un incapiente concorso che avrebbe bandito 960 nuovi scranni nelle Commissioni Tributarie riservati a soli magistrati togati, è stata in realtà profondamente rivisitata nell’ambito del disegno di legge di stabilità finanziaria licenziato la scorsa settimana dal Consiglio dei Ministri e che in materia ha posizionato la barra indietro tutta cercando un migliore compromesso. Sulla scorta delle novità che potrebbero essere introdotte per i giudizi che vedono contrapposto il contribuente all’Amministrazione finanziaria, si tende (più ragionevolmente) ad un progressivo rimpiazzo dei professionisti impegnati nelle Commissioni Tributarie, che oggi si attestano sulle 3.000 unità a fronte di un corpo giudicante di circa 4.000 soggetti. Il meccanismo elaborato dal Governo, infatti, interverrebbe in primis sul concorso per 960 giudici tributati in corso di svolgimento al quale hanno avuto accesso circa 2.500 magistrati tra ordinari, amministrativi, contabili e militari già in servizio che – se in linea con i requisiti di ammissione – di fatto risulterebbero per legge “abili ed arruolati” nelle fila delle Commissioni, entrando in servizio presso il Giudice speciale attraverso un meccanismo di turn over con coloro che avranno guadagnato la pensione. In pratica, i circa 1.500 candidati – da considerarsi comunque in servizio anche se non effettivamente impiegati presso le Commissioni Tributarie – andrebbero a costituire una riserva alla quale attingere alla bisogna per sopperire a sopravvenute carenze di organico per motivi anagrafici e/o di incompatibilità degli attuali componenti. Decisamente poco entusiasti i primi commenti alla controriforma affidati in prima battuta al presidente dell’Associazione magistrati tributari Ennio Attilio Sepe che lo scorso giovedì, dopo un incontro con il sottosegretario all’economia Luigi Casero, ha contestato duramente la proposta governativa tacciandola di aver “sostanzialmente previsto un’area di parcheggio per gli idonei (i candidati del concorso bandito ammessi alla prova, n.d.r.) in attesa della successiva collocazione organica”, chiarendo l’intenzione di contrastare “l’intervento con tutte le risorse disponibili” (cfr. Italia Oggi, 22/10/2011, p. 31). Dal punto di vista dell’auspicato adeguamento dei compensi dei giudici tributari, dall’incontro Mef-Amt emergono tre ipotesi (cfr. Italia Oggi, cit.): due si baserebbero sulla produttività prevedendo il pagamento delle ordinanze cautelari in misura pari alle sentenze (evidentemente, incentivo necessitato dal nuovo regime delle sospensive degli atti di accertamento impugnati) e che interesserà principalmente le Commissioni Tributarie Provinciali, con un proporzionale incremento dei compensi variabili per i componenti dei collegi di secondo grado ed una terza prevederebbe un incremento lineare delle indennità fisse del 70%. Quanto al regime delle incompatibilità, di fatto si manterrebbe pressoché immutato l’attuale regime. Insomma, a ben vedere una riforma che di innovativo ha ben poco e che soprattutto non risolve molti dei problemi dai quali è attualmente affetta la giustizia tributaria che, in certe parti della Penisola, mantiene tempistiche da brivido in base alle quali è lecito chiedersi quanto la finalità di giustizia sia effettivamente raggiunta, al lordo degli ultimi – draconiani – interventi normativi in materia fiscale. (S.C. per NL)