La tragedia del digitale terrestre italiano non merita particolari commenti: la recente decisione (che è poi una provocazione politica) dell’editore valdostano di E21 e Rete St Vincent di ritornare alle emissioni analogiche nella prima regione italiana All digital non è che la punta dell’iceberg. L’insoddisfazione per gli scarsissimi ritorni di audience e quindi commerciali delle trasmissioni numeriche italiane (nel resto d’Europa la situazione è differente) è palpabile un po’ ovunque. Gli editori lamentano la disattenzione sostanziale del governo sulla digitalizzazione televisiva e – come al solito – l’inadeguatezza di molti organi periferici del MinCom nel gestire efficacemente lo spettro radioelettrico. Negli altri paesi del mondo industrializzato sarebbe considerato letteralmente ridicolo od offensivo (se non addirittura censurabile sotto il profilo legale) che gli imprenditori debbano elemosinare autorizzazioni (essenziali per garantire la piena funzionalità delle reti) al dicastero delle Comunicazioni (che si comporta spesso – per non dire quasi sempre – come un freno allo sviluppo dell’imprenditoria radiotelevisiva), scontrandosi quotidianamente con burocrati che hanno fatto delle capacità relazionali con l’utenza un tabù insormontabile (e non si capisce perché tali soggetti non vengano rimossi d’imperio). Il ministro alle Comunicazioni Gentiloni chissà dov’è; forse perduto nelle sue grandi strategie di assegnazione di presunte frequenze televisive disponibili (forse perché gli hanno riferito essere inutilizzate…) o nelle utopie di riforme del sistema, comunque lontano anni luce dalla realtà quotidiana degli operatori (lo saprà che esistono in questo momento Ispettorati territoriali acefali per via della mancata assegnazione dei ruoli dirigenziali?). Intanto parte la gara per il Wi-Max che – se tutto va bene (cosa che in Italia, visto l’andazzo, non è affatto certa) – rivoluzionerà l’accesso ad Internet, supportando e consentendo in modo particolare la navigazione in movimento. Da ciò discenderà, inevitabilmente, un’impennata dei servizi di audio e video streaming (che già godono di una crescita esponenziale) e una maggiore convergenza dei sistemi di ricezione radiotelevisiva con i p.c. Insomma, per farla breve, la radio e la tv saranno sempre più veicolate e ricevute con il computer, via Internet. Non è certo una novità: da anni (forse siamo stati tra i primi) sosteniamo che il futuro radiotelevisivo passerà prima dal cavetto di rame che dalla rivoluzione dell’etere. Beninteso, la tv e la radio via etere sopravvivranno per lungo tempo, decine di anni ancora sicuramente. Del resto, lo spettro r.e. – l’abbiamo scritto molte volte – è come il maiale: di lui non si butta via niente. Figurarsi presidi essenziali come l’FM o l’UHF/VHF, che i gufi vorrebbero presto abbandonati… Ma quando mai?! Ve lo immaginate voi un ritorno dell’FM della prima metà degli anni ’70, con il silenzio del fondo dovuto alla totale assenza di emissioni radioelettriche? Siamo seri, per favore. Il punto è che alla vigilia della rivoluzione del Wi-Fi (che quindi consentirà la produzione su larga scala di ricevitori senza fili di trasmissioni via Internet) gli editori, già storditi dallo spaventoso bombardamento di formati tecnologici per la distribuzione del segnale digitale radiofonico per nulla convergenti (anzi, sono tecnologie alternative, che prevedono ricevitori dedicati e non adattabili ai vari formati), si chiedono ancora una volta: vale la pena di sperimentare e spendere al buio? (NL)