L’ufficio marchi e brevetti di Washington ha scritto una delicatissima pagina di storia dell’informatica. Sarebbe infatti stata accettata la richiesta, inoltrata da Google, di brevettare la propria home page. Proprio così, l’home page. Ovvero il suo layout, la sua veste grafica, i suoi colori, il suo design minimale ed essenziale. È la prima volta che qualcosa del genere viene considerato plausibile. Ad essere protetto da copyright infatti non sarà più solo il logo, ma l’intera pagina di ricerca dell’azienda di Mountain View. In pratica, il brevetto dovrebbe costituire un deterrente alle imitazioni. Ma si può proteggere in questo modo uno stile, un gusto grafico, una sensazione di pulizia estetica e semplicità, dovuta anche ad un certo minimalismo linguistico? In molti credono che questa mossa sia poco più che simbolica, ma non c’è da esserne così certi. L’ufficio brevetti ha impiegato anni per fornire questa risposta, segno che la decisione non è stata affatto improvvisata. Per cui si presuppone che siano state valutate tutte le possibili conseguenze legali derivanti da questa decisione. Probabilmente si prevede che molte altre imprese proveranno a inoltrare richieste simili. Ma cosa succederà se Google stessa dovesse citare in giudizio pagine web sue concorrenti, ree di aver ricercato lo stresso minimalismo grafico? Le conseguenze sarebbero imprevedibili, anche perché, verrebbe da dire, sembra difficile immaginare come un qualsiasi giudice possa arrivare a ricoprire il ruolo di insindacabile arbitro di estetica. C’è da sperare quindi che Google si serva di questo brevetto solo come una sorta di “trofeo”, una sorta di riconoscimento per la propria capacità di innovazione, e non come arma contro i concorrenti. Altrimenti, la grande G, almeno nel web, potrebbe non avere più concorrenti. Che sia questo lo scopo? (Davide Agazzi per NL)