Il governo autoritario cinese, com’è noto, opera una forma di censura molto rigida nei confronti del web e, in particolar modo, di siti che possono minare le dure leggi repressive (nei confronti della libertà d’espressione) vigenti all’interno della Repubblica popolare. Colossi del calibro di Microsoft, Google e Yahoo!, in territorio cinese, si ritrovano a collaborare con lo Stato, cancellando qualsiasi forma d’informazione poco gradita, che potrebbe mettere in cattiva luce il governo o, peggio, che potrebbe far aprire gli occhi alla popolazione circa la propria condizione. I maggiori operatori del settore informatico, giusto la scorsa settimana, hanno firmato all’unisono un “codice di condotta” che va incontro ai voleri autoritari del governo di Pechino, che “tutela gli interessi dello Stato” e che rischia di far scomparire un numero esorbitante di blog che cercano di fare controinformazione. Il mercato cinese, con 137 milioni di utenti, è il più appetibile, attualmente, per gli operatori della rete e si calcola che nel giro d’un paio d’anni supererà il mercato statunitense. Nonostante il numero immensamente inferiore di siti raggiungibili a causa della censura. La Microsoft, su richiesta di Pechino ha chiuso un popolare sito Internet che trattava di temi “sensibili” come la democrazia; Google offre, in Cina, una versione rivisitata del motore di ricerca, con moltissimi siti censurati perché non graditi al governo (tra i quali quello di Amnesty international e della Bbc). Ma quello che ha fatto recentemente Yahoo! merita d’essere sottolineato con riprovazione. E’ noto che il regime cinese perseguita tutti coloro che vengono considerati dissidenti perché in contrasto, più o meno netto, con il governo centrale. In particolare, Shi Tao e Wang Xiaoning, due giornalisti attivisti sono stati arrestati e condannati dalla polizia cinese: il primo per aver criticato e denunciato la corruzione del governo, il secondo per aver stroncato il preteso sistema multipartitico vigente in Cina e la presunta riforma democratica. Il tutto non gridando in piazza con un megafono in mano, bensì inviandosi in segreto e-mail contenenti le accuse. Come abbia fatto la polizia ad individuare queste pseudo-cellule dissidenti è da domandare al motore di ricerca Yahoo!, che ha fornito agli inquirenti nickname e password dei due malcapitati, permettendo loro di leggere le mail incriminate e di arrestare Shi Tao e Wang Xiaoning. Yahoo! (anzi i suoi responsabili) quindi si è reso colpevole di una violazione dei diritti dell’uomo, ragion per cui la World Organization for Human Rights ha scelto la strada della denuncia nei confronti del colosso davanti ai giudici del distretto di San Francisco, negli Stati Uniti, accusando il management di collaborazione con il regime nell’identificazione di chi compie attività da questo ritenute illegali. Da Yahoo! i responsabili non si sono dichiarati estranei alla faccenda e, anzi, hanno confermato quanto veniva loro addebitato, difendendo però la propria contiguità nei confronti della Cina autoritaria con la tesi che per accedere ad un Paese è necessario rispettarne gli obblighi di legge. (Giuseppe Colucci per NL)