Cina: ecco l’editto che “violenta” la stampa

Le restrizioni alla libertà d’espressione dei giornalisti non sono mai state un mistero nella Repubblica Popolare cinese, ma oggi si trovano in un decalogo


L’informazione corretta? Niente scandali e niente critiche. E’ questo il motto che il governo della Repubblica popolare cinese ha scelto di adottare nella gestione di carta stampata, radio, tv e web. E per farlo ha scelto una lista, un decalogo all’interno del quale sono elencati i diktat a cui attenersi per poter sopravvivere all’interno del panorama informativo. A leggerli verrebbe da ridere, se non si trattasse di una violazione ingiustificabile di alcuni diritti fondamentali dell’uomo. Da queste parti, in effetti, la parola “diritto” pare davvero intraducibile.
Probabilmente non ve n’era bisogno, dal momento che la censura preventiva e l’obbligo per la stampa di attenersi ai dettami del Partito comunista non sono certo un mistero in Cina: lo testimoniano i trentatré reporter finiti in prigione per essersi permessi di andare oltre i rigidi paletti del governo. L’esecutivo ha, invece, varato, alla vigilia del congresso di partito, circa un mese fa, un piano di gestione dell’informazione, chiarendo i punti cardine, imprescindibili, ai quali occorre aderire. Pena il carcere, ovviamente.
Non dover pubblicare articoli non graditi al governo” è il primo di questi “comandamenti”. Ma, poi, ve ne sono altri, altrettanto agghiaccianti: “Non mandare giornalisti a un evento: riportare il comunicato ufficiale”; “Non dover commentare, nemmeno con le vignette”; “Non riportare notizie senza l’approvazione del Partito”; “Non dare rilievo ad articoli delicati”, solo per citarne alcuni. E’ consentito, al contrario, gonfiare i titoli sull’andamento economico del Paese e infarcire i giornali di gossip sulle star dello spettacolo e dello sport. Meglio non parlare, invece, dei disastri naturali o della diga Tre Gole che distrugge l’ecosistema cinese. In questo panorama così paradossale, infine, il tutto è condito da un esubero televisivo di balletti, quiz, soap opera, drammi rivoluzionari e documentari patriottici e antigiapponesi. In modo da annullare qualunque coscienza critica nelle file della società civile, lasciando che il regime gestisca tutto, persino il cervello della gente. (Giuseppe Colucci per NL)

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