La rete, in Cina, sarà sottoposta ad ulteriori restrizioni, imposte dalla Sarft, l’Amministrazione statale della radio, dei film e della televisione. Come non bastassero l’incredibile vicenda dei blogger messi in carcere perché avversi al regime, le aberranti versioni “tagliate” dei maggiori portali internazionali e la disgustosa messa al bando di alcuni siti ritenuti “pericolosi” per il quieto vivere o “immorali” per le leggi del socialismo, arriva un’ulteriore bastonata per gli internauti della repubblica popolare cinese. Dal 31 gennaio, infatti, vigerà un controllo serrato sull’immissione sui siti internet di ogni tipo di immagine e video. Lo ha deciso, appunto, la Sarft, che ha emanato una serie di regole che prevedono aspre restrizioni della libertà di navigazione in rete. Queste norme prevedono, anzitutto, che la possibilità di agire sui siti, immettendo ogni tipo d’immagine o video, spetterà soltanto alle autorità statali che, in buona sostanza, giostreranno a loro piacimento tutto ciò che, non solo sarà possibile scrivere, ma anche vedere. Il contenuto, per prima cosa, dovrà essere conforme al “codice morale del socialismo”, con un certo numero di restrizioni, che riguardano la violenza, il sesso, i segreti di Stato, l’attentato all’unità del paese (!). “Queste regole sono state formulate per tutelare gli interessi della nazione e dei cittadini e lo sviluppo sano e ordinato del settore audiovisivo”, il testo ufficiale. Insomma, la gran parte dei maggiori portali, dal cinese Todou all’americano YouTube, saranno sottoposti a rigide limitazioni.
Per fortuna uno dei maggiori quotidiani del Paese oggi ha avuto il coraggio di criticare aspramente l’intollerabile decisione della Sarft e del governo cinese, sostenendo che tutto ciò non servirà al bene del Paese, ma costituirà un ulteriore limite al settore, penalizzandone la politica industriale e lo sviluppo. Indici, nell’epoca della società globalizzata, di prosperità dello Stato e della civiltà. “Non abbiamo bisogno di questo genere di visioni ristrette dell’epoca dell’economia pianificata”, concludeva l’editoriale. Fin troppo docile. (Giuseppe Colucci per NL)