Chiudono le emittenti tv locali a seguito dell’accettazione delle domande per la rottamazione dei canali.
Loghi storici che sono entrati nelle case di milioni di telespettatori italiani non raramente per 35 anni escono quindi di scena, provocando l’interesse della stampa nazionale e locale. Che, al solito, esagera o distorce. Esagera, quando esalta la buonuscita multimilionaria di taluni editori, obliando che il passaggio al digitale terrestre, il crollo degli ascolti e della raccolta pubblicitaria (motivate dalla proliferazione di canali nazionali che hanno indotto i superplayer a liquidare gli spazi con la tecnica del dumping) e la crisi economica hanno causato perdite che gli indennizzi statali per la liberazione dei canali per i provider telefonici a stento riusciranno a compensare. Distorce, quando motiva la crisi del comparto televisivo locale con lo scarso appeal di trasmissione, rimembrando i tempi del Pomofiore e della Bustarella, omettendo di appuntare che mastodontiche trasmissione-fiume di quel tipo sarebbero improponibili oggi ad inserzionisti che dovrebbero ripagarne i costi (e pure generare utili per le tv che le diffonderebbero) ed anacronistiche per un pubblico interessato a contenuti fast and furios. La constatazione da fare è che le tv locali hanno concluso il loro ciclo esistenziale, nel bene, nel male e nel tempo loro congeniale. Forse si può discutere a riguardo del modo in cui stanno uscendo di scena. Ma questo è un dettaglio che a pochi importa. Tutto il resto è bla bla.