da Franco Abruzzo.it
Senza Ordine rimarranno soltanto gli ordini degli editori. L’eventuale abrogazione della legge n. 69/1963 sull’ordinamento della professione giornalistica comporterà questi rischi: 1) quella dei giornalisti non sarà più una professione intellettuale riconosciuta e tutelata dalla legge; 2) risulterà abolita la deontologia professionale fissata negli articoli 2 e 48 della legge professionale n. 69/1963; 3) senza la legge n. 69/1963, cadrà per giornalisti (ed editori) la norma che impone il rispetto del “segreto professionale sulla fonte delle notizie”. Nessuno in futuro darà una notizia ai giornalisti privati dello scudo del segreto professionale; 4) senza legge professionale, direttori e redattori saranno degli impiegati di redazione vincolati soltanto da un articolo (2105) del Codice civile che riguarda gli obblighi di fedeltà verso l’azienda. Il direttore non sarà giuridicamente nelle condizioni di garantire l’autonomia della sua redazione; 5) Il Contratto non avrà il sostegmo deontoloogioco della legge professionale vincolante anche per gli editori, che oggi non possono impartire al direttore e al collettivo redazionale disposizioni in contrasto con quella legge; 6) una volta abolito l’Ordine, scomparirà l’Inpgi. I giornalisti finiranno nel calderone dell’Inps, regalando all’Inps un patrimonio di 3mila miliardi di vecchie lire (immobili e riserve).
Nota di Franco Abruzzo
Gli obiettivi dei promotori dei referendum “grilleschi” sono concretamente questi: eliminare i finanziamenti ai giornali (compresi quelli di partito), alle tv e alle radio; lasciare le tv e le radio senza leggi e i giornalisti in balia del mercato (ma resteranno soltanto gli “ordini” degli editori). Con l’abrogazione della legge n. 69/63 si otterrebbe unicamente una mutilazione nella tutela della libertà del giornalista, della sua dignità professionale ed in ultima analisi, della libertà di informazione. Deve perciò ritenersi che la proposta di referendum non sia ammissibile, ai sensi del secondo comma dell’art. 75 della Costituzione, in quanto mirante all’abrogazione di una legge costituzionalmente vincolata. I Consigli dell’Ordini sono giudici disciplinari anche rispetto al Codice di procedura penale (artt. 114 e 115) e al “Codice deontologico relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica” (Allegato A del Dlgs n. 196/2003-Testo unico sulla privacy).
Senza la legge sulla professione di giornalista (69/1963) i cronisti diventerebbero degli impiegati del computer e di internet. Questa affermazione si comprende SOLTANTO se si tiene presente che le regole della professione in Italia sono fissate per legge e, quindi, formano un vincolo che obbliga tutti a determinati comportamenti. L’anomalia italiana nasce dalla Costituzione, che vuole un esame di Stato per accedere alle varie professioni intellettuali. L’esame di stato presuppone un percorso formativo determinato sempre dalla legge. Nessuno disconosce che quella dei giornalista sia anch’essa una professione intellettuale. Se è così, deve rispettare gli stessi vincoli delle altre professioni. L’Europa vuole che le professioni intellettuali regolamentate si possano esercitare a patto che gli interessati abbiano una laurea almeno triennale.
La legge professionale 69/1963 (con gli articoli 2 e 48 dedicati alla deontologia) fissa delle regole ed esalta dei valori, che possono riassumersi così: 1) la libertà di informazione e di critica come diritto insopprimibile dei giornalisti; 2) la tutela della persona umana e il rispetto della verità sostanziale dei fatti principi da intendere come limiti alle libertà di informazione e di critica; 3)l’esercizio delle libertà di informazione e di critica ancorato ai doveri imposti dalla buona fede e dalla lealtà; 4) il dovere di rettificare le notizie inesatte; 5) il dovere di riparare gli eventuali errori; 6) il rispetto del segreto professionale sulla fonte delle notizie, quando ciò sia richiesto dal carattere fiduciario di esse; 7) il dovere di promuovere la fiducia tra la stampa e i lettori; 8) il mantenimento del decoro e della dignità professionali; 9) il rispetto della propria reputazione; 10) il rispetto della dignità dell’Ordine professionale; 11) il dovere di promozione dello spirito di collaborazione tra i colleghi; 12) il dovere di promozione della cooperazione tra giornalisti ed editori. Le “regole” fissate dal legislatore sono il perno dell’autonomia dei giornalisti: l’editore non può impartire al direttore disposizioni in contrasto con la deontologia professionale.
La parola Ordine significa riconoscimento giuridico di una professione, nel caso particolare della professione di giornalista. L’Ordine, inoltre, è la deontologia. Nel caso specifico le “regole” fissate dal legislatore sono il perno, come afferma il nostro contratto di lavoro, dell’autonomia dei giornalisti. I Consigli degli Ordini sono per legge i giudici disciplinari e in questo campo fanno la loro parte, certamente con alti e bassi.
E’ da sottolineare l’importanza strategica per una società democratica del nuovo diritto fondamentale dei cittadini all’informazione (“corretta e completa”), costruito dalla Corte costituzionale sulla base dell’articolo 21 della Costituzione e dell’articolo 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (che è legge “italiana” dal 1955). Questo nuovo diritto fondamentale presuppone la presenza e l’attività di giornalisti vincolati a una deontologia specifica e a un giudice disciplinare nonché a un esame di Stato, che ne accerti la preparazione come prevede l’articolo 33 della Costituzione.
Le considerazioni sopra esposte consentono di risalire alle ragioni che hanno spinto il Parlamento nel 1963 a tutelare la professione di giornalista. L’eventuale abrogazione della legge n. 69/1963 sull’ordinamento della professione giornalistica comporterà questi rischi:
1) quella dei giornalisti non sarà più una professione intellettuale riconosciuta e tutelata dalla legge.
2) risulterà abolita la deontologia professionale fissata negli articoli 2 e 48 della legge professionale n. 69/1963.
3) senza la legge n. 69/1963, cadrà per giornalisti (ed editori) la norma che impone il rispetto del “segreto professionale sulla fonte delle notizie”. Nessuno in futuro darà una notizia ai giornalisti privati dello scudo del segreto professionale.
4) senza legge professionale, direttori e redattori saranno degli impiegati di redazione vincolati soltanto da un articolo (2105) del Codice civile che riguarda gli obblighi di fedeltà verso l’azienda. Il direttore non sarà giuridicamente nelle condizioni di garantire l’autonomia della sua redazione.
5) Il Contratto non avrà il sostegno deontologico della legge professionale vincolante anche per gli editori, che oggi non possono impartire al direttore e al collettivo redazionale disposizioni in contrasto con quella legge.
6) una volta abolito l’Ordine, scomparirà l’Inpgi. I giornalisti finiranno nel calderone dell’Inps, regalando all’Inps un patrimonio di 3mila miliardi di vecchie lire (immobili e riserve).
Governo e Parlamento devono preoccuparsi di riformare le leggi sugli ordini e i collegi nonché di tutelare i saperi dei professionisti. La formazione e gli esami per l’accesso devono essere delegati a un altro soggetto (l’Università) anche per garantire il rispetto del principio costituzionale dell’imparzialità. Non possono essere i professionisti a giudicare chi debba entrare nella cittadella delle professioni. E’ condivisibile, infatti, quella parte del decreto legislativo 300/1999 sul riordino dei ministeri che affida l’accesso alle professioni – e quindi anche della professione giornalistica – all’Università. Oggi deve essere tolto agli editori il potere che hanno dal 1928 di “fare” i giornalisti. I giornalisti devono nascere soltanto in Università.
Non bisogna dimenticare: a) che l’Ordine ha cercato di liberalizzare la professione creando 21 scuole di giornalismo; b) che i suoi minimi tariffari non sono vincolanti (come vuole l’Europa); c) che l’Europa, con la direttiva 36/2005 (“Zappalà”) ha dato disco verde gli Ordini e ai Collegi italiani. Quella direttiva e poi il dlgs 30/2006 (“La Loggia”) hanno stabilito che le professioni intellettuali si possono svolgere sia in via autonoma sia in via dipendente. Vogliamo rimanere professionisti e non tornare alla stagione mortificante del “mestiere”. Senza Ordine, infatti, rimarranno soltanto gli ordini degli editori.
Bisogna smetterla, una volta per sempre, di confondere l’ordinamento repubblicano della professione di giornalista con quello fascista. L’articolo 7 della legge 2307/1925 – che prefigurava la nascita di un Ordine dei Giornalisti – non è stato mai attuato dal regime, perché intervenne la legge 563/1926 sull’organizzazione sindacale di tutte le professioni. A questa disciplina giuridica fondamentale si adeguò necessariamente il Regio decreto 384/1928, che determinò la nascita dell’Albo (non dell’Ordine) dei giornalisti, Albo gestito da un comitato di 5 giornalisti operante all’interno dei sindacati regionali fascisti dei giornalisti. L’Ordine dei Giornalisti è nato nel 1963 su iniziativa di due eminenti personalità della democrazia repubblicana, Aldo Moro e Guido Gonella. Conclusione: riforma dell’Ordine sì, abrogazione no!
Franco Abruzzo
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V2-DAY. LORENZO DEL BOCA A GRILLO: “SENZA ORDINE ANCORA PIÙ DISORDINE. VAFFÀ NON SI PUÒ CHE RISPONDERE ‘VAFFA TU'”.
ROMA, 24 aprile 2008. No all’abolizione dell’Ordine del giornalisti e del finanziamento pubblico ai giornali: è il senso della nota con la quale il presidente dell’Ordine nazionale, Lorenzo Del Boca, si oppone ai due punti di forza della protesta di Beppe Grillo alla vigilia del secondo Vaffa-Day, in programma domani a Torino. Se l’Ordine sparisse «la qualità dell’informazione avrebbe un sussulto positivo? No, con tutta evidenza!», sottolinea Del Boca, convinto che «semmai, occorrerebbe un’azione contraria» e cioè «rafforzare l’Ordine dei giornalisti in modo che le sue azioni possano essere più tempestive e più efficaci». Sì dunque a una «necessaria» modifica della legge del 1963, «per rendere più moderna e attuale un’istituzione che, comunque la si voglia considerare, è un baluardo di libertà e di indipendenza». Per Del Boca, «senza Ordine, non soltanto non migliorerebbe la qualità dei giornali e dei telegiornali, ma la categoria sarebbe consegnata all’editore che deciderebbe di pubblicare soltanto quello che gli interessa». E se questo già avviene, «avverrebbe con maggiore frequenza e senza la possibilità di opporre alcuna resistenza». Analogo il commento per l’abolizione del finanziamento pubblico ai giornali. Pur ammettendo che «alcune testate ricevono delle sovvenzioni senza meritarle» e che è necessario applicare «controlli più incisivi e più severi», Del Boca sottolinea che «cancellare totalmente l’iniziativa avrebbe come conseguenza il silenzio di voci che non hanno la possibilità di camminare da sole». Critiche, infine, a Grillo anche per questioni di stile. «Quella del ‘vaffà è precisamente una strada che impedisce, di per sè, una collaborazione costruttiva. Al ‘vaffà – conclude – non si può che rispondere ‘vaffà tu». (ANSA).
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V2-Day, Giorgio Merlo, parlamentare del Pd e vicepresidente Vigilanza Rai: “No all’abolizione ordine dei giornalisti
Roma, 24/04/08. ”È curioso festeggiare il 25 aprile attaccando l’informazione, presumo anche quella libera e indipendente”: è il commento di Giorgio Merlo, parlamentare del Pd e vicepresidente Vigilanza Rai, a proposito della manifestazione di Beppe Grillo a Torino.
”Il V2-Day di Piazza san Carlo a Torino – prosegue Merlo – dovrebbe celebrare l’attacco finale all’informazione e a tutto ciò che tutela e garantisce il settore, a partire anche dall’Ordine dei giornalisti, che va sicuramente rinnovato ma certamente non abolito. È altresì curioso, e credo anche molto significativo, confrontare le parole responsabili ed autorevoli del Capo dello Stato pronunciate oggi a Roma per i 100 anni della Fnsi e gli slogan che accompagnano questa anomala manifestazione organizzata dal popolo dei vaffa”. ”Non due modi diversi di giudicare il giornalismo libero ed indipendente – conclude – ma due modi alternativi di intendere e praticare la democrazia nel nostro paese. Con tutto rispetto per il popolo dei vaffa e di chi vuol abolire anche il ruolo democratico ed essenziale dell’ informazione nel nostro paese”. (ANSA)
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V2-Day, Maurizio Gasparri: “Grillo è un trombone e non conta nulla”
Roma, 23/04/08. ”Grillo è un trombone e non conta nulla in questo Paese”. Lo ha detto Maurizio Gasparri in una vivace discussione con un esponente delle liste civiche di Grillo a proposito del V2-Day in programma il 25 aprile a Torino, che si è svolta oggi a margine delle celebrazioni del centenario Fnsi. Gasparri ha anche difeso la legge che porta il suo nome ed era criticata dal suo interlocutore: ”è una legge rispettosa della libertà d’informazione. Non ha visto del resto quanta gente ci ha votato?”. Poi, alla risposta critica del suo interlocutore in merito, ha replicato: ”Lei è un fascista, visto che dice che le elezioni non sono valide”. Ha preso le distanze dal V2-Day anche Franco Siddi, segretario della Federazione della stampa: ”Non abbiamo bisogno di Er Piotta per dire chi siamo e cosa dobbiamo fare. Ci sono migliaia di giornalisti che lavorano ogni giorno con intensità, serietà, intensità soffrendo e pagando prezzi alti”. (ANSA)
SENTENZA n. 11/ 968 della CORTE COSTITUZIONALE
L’Ordine dei Giornalisti è legittimo
a) perché “lascia integro il diritto di tutti di esprimere il proprio pensiero attraverso il giornale”.
b) perché l’Albo è obbligatorio soltanto per coloro che “manifestano il pensiero” per professione.
c) perché tutela, con la deontologia, “la libertà degli iscritti nei confronti del contrapposto potere economico del datori di lavoro, compito, questo, che supera di gran lunga la tutela sindacale del diritti della categoria e che perciò può essere assolto solo da un Ordine a struttura democratica che con i suoi poteri di ente pubblico vigili, nei confronti di tutti e nell’interesse della collettività, sulla rigorosa osservanza di quella dignità professionale che si traduce, anzitutto e soprattutto, nel non abdicare mai alla libertà di informazione e di critica e nel non cedere a sollecitazioni che possano comprometterla”.
“La Corte osserva che, se è vero che ove il soggetto interessato non trovi un giornale che lo assuma come praticante egli non potrà mai intraprendere la carriera giornalistica, è altrettanto vero che neppure il giornalista iscritto può svolgere la sua attività professionale se non trova un editore disposto ad assumerlo: il che dimostra che ci si trova di fronte a conseguenze che non derivano dalla legge in esame, ma dalla struttura privatistica delle imprese editoriali, nell’ambito della quale la non discriminazione può essere assicurata soltanto dalla concorrenza della molteplicità delle iniziative giornalistiche”.