La crociata morale contro le aziende della famigerata Silicon Valley ha avuto inizio. Anzi, forse sta semplicemente proseguendo, sebbene questa volta sembra continuare in maniera del tutto amplificata. La polemica, che naturalmente sta rimbalzando da un blog all’altro nell’unanime speranza di diffondere quanto presto i fatti, riguarderebbe la censura di cui internet è vittima in quei paesi i cui regimi sono soliti adottare misure di restrizione socialmente eccessive e, allo stesso tempo, inammissibili. Il caso non riguarda più solo la Cina, repubblica spesso al centro di fatti sconvenienti riguardanti non solo la censura, ma anche l’atteggiamento governativo nei confronti della presunte oscenità televisive (vedi articolo “Cina, al bando le pubblicità sexy”), ma comprende un preciso gruppo di paesi dove, per diversi motivi, le stesse società impiegate nella protezione dei contenuti web per la tutela dei minori, aiuterebbero i governi nell’evitare l’infiltrazione di “informazioni indesiderate” nei computer dei comuni cittadini. L’associazione internazionale non governativa “Reporter senza frontiere” avrebbe stilato una lista dei paesi più difficilmente raggiungibile dall’informazione via web, intesa con quella particolare, quanto ormai rara (per questi stati), accezione di prodotto della libertà di stampa: oltre alla Repubblica Popolare Cinese, ci sarebbero Iran, Siria, Tunisia, Vietnam, Egitto, Cuba, Corea e, come tristemente confermato dalle fughe di informazione amatoriale di videofonini studenteschi, Myanmar (ex Birmania). Così succede che la “banda dei quattro” (come è stata battezzata dai blogger), comprendente Google, Yahoo!, Microsoft e Cysco System, a braccetto con un numero molto più ampio di società del settore, accettino saltuariamente le richieste dei regimi più determinati. Come? Non solo bloccando tutta la terminologia considerata “vietata”, ma anche bloccando interi siti, limitando la potenzialità della banda larga (rallentando così la navigazione degli utenti) e riducendo lo stesso numero di accessi consentiti. Addirittura, come successo qualche settimana fa in Myanmar, disattivando letteralmente la rete internet (in quel caso particolare, con l’obiettivo di non mostrare violenza e mancanza dei diritti umani fondamentali a tutto il mondo occidentale). Viviamo dunque in un mondo fatto anche di governi autoritari che cercano di eliminare tutti quegli aspetti decisamente democratici che circolano nell’attuale rivoluzione digitale. Altro che Web 2.0 e Social Network. La stessa Wikipedia, apparente emblema del mondo libero in un portale dedicato al sapere “spontaneo”, sembra essere costantemente sotto il controllo di soggetti come la Cia, le chiese anglicana e cattolica e il partito repubblicano, che si impegnerebbero a ripulire alcune definizioni e profili, più o meno “erroneamente”, compilati su internet. Che la censura stia diventando un mercato esportabile con il quale solo pochi possono permettersi di giocare? (Marco Menoncello per NL)