È questo il principio di diritto espresso dalla Corte di Giustizia Europea con la sentenza resa nella causa C 52/13. Il tutto è nato da un ricorso promosso dalla Posteshop, la quale, ricevuta la sanzione della sospensione della pubblicità da parte dell’Antitrust, ne ha contestato l’illegittimità dinnanzi agli organi di giustizia amministrativa.
La sua tesi faceva leva sul fatto che il d.lgs. n. 145/07 (art. 8 c. 3), ricettivo della Direttiva 2006/114, sanzionasse solamente la pubblicità che fosse al contempo ingannevole e illegittimamente comparativa, perciò, nell’ipotesi in cui la pubblicità fosse solamente ingannevole o solamente illegittimamente comparativa, l’Antitrust non ne avrebbe potuto ordinare la sospensione. Ed in effetti, il dato letterale di tale precetto poteva far propendere in tal senso, seppur in altri paesi europei, come la Francia, fosse prevista l’indipendenza, ai fini sanzionatori, delle due tipologia di pubblicità. Il Consiglio di Stato ha, comunque, ritenuto di dover interpellare la Corte di Giustizia Europea, che è stata chiara nell’affermare che è sufficiente che la pubblicità sia ingannevole o illegittimamente comparativa per far scattare la sanzione da parte dell’Antitrust. Per inciso, il d.lgs. n. 145/07 valuta la pubblicità ingannevole tenuto conto delle caratteristiche dei beni o dei servizi, del prezzo o al modo in cui questo è calcolato ed alle condizioni alle quali i beni o i servizi sono forniti e della categoria, alle qualifiche e ai diritti dell’operatore pubblicitario. La normativa in questione definisce, inoltre, le condizioni di liceità della pubblicità comparativa, di per sé non illegittima. In particolare, per andare esente da sanzioni, la pubblicità comparativa non deve essere ingannevole nei termini su esposti (oppure in base a quanto statuito dal Codice del Consumo agli artt. 21-23), deve confrontare beni o servizi che soddisfino gli stessi bisogni o si propongano gli stessi obiettivi, deve confrontare, in maniera oggettiva, una o più caratteristiche, essenziali, pertinenti, verificabili e rappresentative, non deve ingenerare confusione sul mercato, non deve causare discredito o denigrazione altrui, non deve trarre indebitamente vantaggio dalla notorietà connessa al marchio, alla denominazione ovvero ad un altro segno distintivo altrui, non deve presentare un bene o un servizio come imitazione o contraffazione di prodotti altrui. (D.G. per NL)