C’è cascata anche la Apple. Ma nessuno se ne stupisce. Quando di mezzo c’è il mercato potenzialmente più fruttuoso del mondo, persino aziende che si sono sempre distinte per dinamicità, creatività ed innovazione, capitolano.
La Cina è un mercato dal potenziale infinito per i prossimi decenni ed è un paese dove non c’è democrazia. Il passaggio dal regime maoista al social-capitalismo ha avuto l’effetto di attingere il peggio dai due sistemi, creando un Paese che economicamente galoppa e fagocita qualunque rivale ma che, perlomeno visto da un occhio occidentale, appare irrimediabilmente restrittivo ed opprimente per i suoi abitanti. Senza contare quella noncuranza un po’ altezzosa che nelle decadi passati ha contraddistinto gli Stati Uniti, tipica di chi sa perfettamente d’avere il coltello dalla parte del manico. E così chi vuol fare affari con la Cina social-capitalista deve sottostare alle sue leggi. Oppure dar sfoggio di eroico amor-di-libertà e rinunciare a quel mercato. Alzi il dito chi sarebbe disposto a farlo. C’è cascata anche la Apple, si diceva. L’azienda di Steve Jobs, di fatti, si è scoperto, è caduta nella trappola censoria dei contenuti sul web. Così come altri illustri colleghi negli anni passati, Google a Yahoo! su tutti, anche l’azienda americana ha messo dei filtri alle proprie applicazioni che in altri Paesi del mondo non esistono. Un esempio? I numerosissimi clienti cinesi dell’iPhone, selezionando i criteri di ricerca “Dalai lama”, “Dalai Quotes”, “Dalai Lama Quotes”, “Dalai Lama Prayerwheel” o “Paging Dalai Lama”, avranno risultato nullo. Non solo, alcune applicazioni riguardanti il militante uiguri Rebiya Kadeer ed una sui premi Nobel, pur essendo attive altrove, sono bloccate in Cina. Come sempre, insorge Reporters sans Frontiers. “Se Apple ha accettato di ritirare alcuni dei suoi prodotti di Apple Store per la pressione delle autorità cinesi – si legge in una nota -, il gruppo nordamericano entrerà nel club delle imprese complici della censura informativa in Cina”. Secondo i responsabili dell’associazione non governativa francese, inoltre, “gli abbonati dell’iPhone in Cina hanno il diritto di sapere a che cosa non hanno accesso libero”. “E’ una grande delusione – commentano ancora – da parte di un gruppo che ha basato la sua campagna pubblicitaria sul ‘pensa diverse’ e che si ritiene creativa”. “Ci atteniamo alle leggi locali”, commentano intanto dalla Apple, ma per Rsf non è una ragione ammissibile. “Obbedire alle leggi locali non costituisce una scusa plausibile; un atto di censura dei contenuti relativi al Dalai Lama sarebbe ingiustificato e costituirebbe chiaramente una violazione delle leggi internazionali che regolano la libertà d’espressione”. Leggi internazionali di cui la Cina continua ad infischiarsi e che le aziende che in quel pese investono fanno finta d’ignorare. (Giuseppe Colucci per NL)