Franco Abruzzo.it
Roma, 22 agosto 2008. È «legittima» la reazione – a mezzo di articoli molto critici sull’operato di chi indossa la divisa o la toga – dei giornalisti e del direttore di una testata che subiscono la perquisizione del loro giornale da parte delle forze dell’ordine perchè un simile atto «viene percepito (a torto o a ragione, non ha importanza) come particolarmente odioso perche» volto, secondo l’angolo visuale del ‘perquisito, a comprimere il diritto di informazione«. Lo sottolinea la Cassazione assolvendo dall’accusa di diffamazione – nei confronti di un maresciallo dei carabinieri – il direttore del quotidiano telematico ‘Merateonline, Claudio Brambilla, e il redattore dello stesso giornale Alberico Fumagalli. Con una serie di articoli pubblicati sul sito di ‘Merateonline – dal due all’otto agosto 2002 – si definiva intimidatoria la perquisizione ordinata dal pm ed eseguita da numerosi carabinieri per sequestrare le radio-scanner con le quali la redazione ascoltava le comunicazioni in chiaro che si scambiavano le forze dell’ordine (per questo Brambilla e altri redattori, in un altro processo, sono stati condannati dalla Suprema Corte nonostante la prassi sia comune tra gli addetti all’informazione). Un maresciallo che aveva partecipato alla perquisizione aveva sporto denuncia per lesione del suo onore. In primo grado Brambillla e Fumagalli vennero assolti ma poi la Corte di Appello di Milano, il 18 aprile 2007, li condannò. »Affermare che il potere (un certo potere) viene esercitato solo perchè si riveste una divisa (o si indossa una toga) e non perchè si sia obiettivamente migliori dei comuni cittadini, – spiega Piazza Cavour nelle motivazioni assolutorie, sentenza 33353 depositata il 12 agosto – costituisce una critica aspra, radicale e corrosiva (che evidentemente attiene ai meccanismi di selezione, formazione e controllo dei pubblici ufficiali) ma è certamente una critica lecita in uno stato democratico, nel quale chi esercita pubblici poteri è naturalmente esposto al vaglio, al giudizio e quindi alle censure di coloro in nome dei quali il potere esercita«. In altre parole, per gli ‘ermellinì è giusta la protesta contro la perquisizione ritenuta un “uso particolarmente violento dei poteri pubblici nei confronti del cittadino in genere, e di coloro che esercitano il diritto di informazione in particolare”. (ANSA)