Se in sede di accertamento induttivo spetta all’Agenzia delle Entrate dimostrare l’inesistenza di operazioni commerciali, nel caso di importi portati da fatture mancanti dei requisiti di legge è il contribuente a doversi adoperare per evitare la rettifica tributaria.
A stabilirlo è la Corte di Cassazione – sezione tributaria – con la sentenza n. 3259 dello scorso 02/03/2012, nella quale sovvertiva il convincimento della Commissione Tributaria Regionale che aveva annullato l’avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate ad una società, contestando l’irregolarità dell’autoliquidazione delle imposte e disconoscendo la relativa detrazione dell’imposta indiretta. Gli acquisti, infatti, risultavano da fatture mancanti di taluni elementi prescritti dall’art. 21 D.P.R. n. 633/1972, circostanza integrante gravi irregolarità che avevano indotto l’Amministrazione finanziaria a ricorrere all’accertamento induttivo del reddito imponibile del soggetto che la aveva portate in detrazione. Il Collegio, in proposito, sottolineava la legittimità dell’operato dell’Ufficio stabilendo, in casi del genere, l’operatività della regola dell’inversione dell’onere della prova, dovendo il contribuente fornire all’Erario elementi inconfutabili che attestino l’effettivo acquisto dei beni o dei servizi contestati. Diversamente, “una fattura nella quale manchino dati prescritti per legge non è idonea a fornire la prova dell’esistenza delle operazioni in essa riportate”, agevolando l’adozione di un accertamento ai fini tributari per emissione di documenti contabili che di fatto debbono essere considerati fittizi dall’Agenzia, impossibilitata ad acquisire certezza dello scambio economico sotteso agli stessi. In proposito, è la ratio del richiamato art. 21 a voler “colpire ogni divergenza tra la realtà commerciale e l’espressione documentale di essa”. Il Giudice di Legittimità, inoltre, argomentava che, in casi del genere, a niente valeva la mancanza di un danno erariale per avere il cessionario regolarmente contabilizzato la vendita ed adempiuto, conseguentemente, a quanto prescritto dalle norme tributarie, se manca l’indicazione nel documento di “natura, qualità e quantità dei beni o dei servizi venduti o prestati”. Stante la regola di diritto estrapolata dalla Suprema Corte, occorrerà da parte dei contribuenti porre particolare attenzione alla descrizione della natura dell’operazione commerciale sottesa alla fattura, anche al fine di evitare che l’Agenzia delle Entrate possa procedere all’accertamento induttivo del reddito imponibile. (S.C. per NL)