“La regolarità della fattura prescinde dalla sottoscrizione per quietanza”, pertanto l’apposizione della stessa su di un documento emesso per finalità fraudolente può implicare il concorso nel reato di cui all’art. 2 D.Lgs. n. 74/2000 dell’emittente, in quanto funzionale a rendere maggiormente credibile agli occhi del Fisco un rapporto fittizio.
In estrema sintesi, è questa la ricostruzione effettuata dal Giudice di legittimità nell’ambito della sentenza n. 35730 del 07/06/2011, depositata in cancelleria lo scorso 3 ottobre dalla terza sezione penale. Infatti, dipanando il ragionamento dal delitto di “dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”, consistente nell’utilizzo di documenti contabili attestanti costi ai quali non sono sottesi i dichiarati rapporti giuridici (di spesa e/o di acquisto di beni e servizi) richiamati in sede di autoliquidazione delle imposte, gli Ermellini valutavano nell’arresto giurisprudenziale in parola egualmente delittuosa ai sensi dell’art. 110 c.p. – in base al quale quando più persone concorrono nello stesso reato ciascuna soggiace alla stessa pena – la condotta dell’emittente che provvedeva a quietanzare il documento contabile falso attestando “l’adempimento dell’obbligazione da parte del debitore” per un negozio in concreto mai verificatosi. Ulteriormente, Piazza Cavour riteneva il medesimo soggetto colpevole del reato (speculare rispetto a quello della dichiarazione fraudolenta nei termini i cui al richiamato art. 2) previsto dall’art. 8, comma 1, D.Lgs n. 74/2000, a mente del quale “E’ punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, emette o rilascia fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”. Sul punto, la parte ricorrente condannata in appello sulla scorta della ricostruzione fattuale ripresa dalla Suprema Corte e sopra richiamata, aveva eccepito la violazione dell’art. 9 del medesimo testo normativo che vietava (e vita) l’imputazione a titolo di concorso, “di persone nei casi di emissione o utilizzazione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”, in forza di un consolidato principio giuridico (efficacemente espresso dal brocardo latino ne bis in idem) in base al quale uno stesso agente non può essere punito per due volte in relazione ad una stessa condotta sostanziale, non trovando però l’auspicato riscontro dal Collegio di legittimità. I Giudici intervenuti, quindi, fornivano un’interpretazione in forza della quale l’ipotesi di concorso contestata all’imputato – condannato da Tribunale e Corte d’Appello con una doppia conforme perché ritenuto, tra l’altro, complice dell’evasione fiscale perpetrata dal beneficiario dei rapporti fittizi fatturati – risultava ammissibile sulla scorta della circostanza in base alla quale l’art. 9 del D.Lgs n. 74/2000 non avrebbe introdotto una deroga al principio generale del concorso di persone nel reato. Invero, l’argomentazione fornita dalla Cassazione nella sentenza in esame potrebbe apparire una forzatura comportante non trascurabili ripercussioni sull’attività interpretativa dell’intero testo di legge. Ciò nonostante, non può essere in questa sede trascurato il fatto che la sottoscrizione attestante l’avvenuto pagamento (fittizio) della cessione di beni portata dalla documentazione fiscale contestata, veniva apposta da un autotrasportatore che niente aveva a che vedere con la società che l’aveva predisposta, ma che a sua volta aveva agevolato l’evasione fiscale del beneficiario della prima operazione emersa agli occhi dell’Amministrazione finanziaria producendo motu proprio altre fatture per operazioni inesistenti intestate al medesimo contribuente. (S.C. per NL)