Con la sentenza n. 12249/2010, Piazza Cavour conforma il proprio giudicato ai principi espressi dalla Corte di Giustizia Europea, facendo soccombere il giudicato esterno di fronte ad un abuso del diritto.
La questione all’esame del Supremo Collegio verteva sulla legittimità di un contratto di comodato tra una s.r.l. e la sua omonima associazione, alla quale veniva ceduta la gestione di un centro sportivo polifunzionale le cui quote associative (esenti IVA in virtù del regime agevolato previsto per tali soggetti) venivano corrisposte all’impresa con separata operazione. Nella vicenda in parola, l’Amministrazione Finanziaria deduceva l’inopponibilità al Fisco di tale regolamento di interessi in quanto, sostanzialmente, il comodato d’uso alla associazione dei beni della società di capitali, strumentali alla gestione del centro sportivo, celavano in un’operazione formalmente regolare un sostanziale intento elusivo della legge fiscale, considerando che i proventi dell’attività sotto questa forma esercitata si spogliavano della veste imponibile. La Corte di Cassazione interveniva nella vicenda dopo che le Commissioni Tributarie Provinciale e Regionale suggellavano la tesi proposta dalla ricorrente società, la quale richiedeva di conformare il giudicato della controversia a precedenti arresti del giudice speciale resi in merito a anteriori periodi d’imposta – non controversi nell’accertamento in questione – che di fatto omologavano il regolamento d’interessi dibattuto. Il principio applicato in entrambi i gradi di giudizio, dunque, era quello sancito dall’art. 2909 c.c. (c.d. del giudicato esterno), secondo il quale “L’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa”. Il nodo gordiano al quale gli Ermellini si trovavano di fronte poteva essere sciolto solo ricorrendo alla Corte di Lussemburgo, unica autorità alla quale spetta l’ultima parola in merito alla applicabilità o meno – alla luce del sovraordinato ordinamento giuridico europeo – di una norma imperativa di caratura nazionale. In altre parole, al Giudice di legittimità si presentava una vicenda già sufficientemente cristallizzata nella giurisprudenza tributaria (e non), che, a meno di non contraddire la citata norma di diritto sostanziale, non poteva non essere risolta diversamente da come deciso dalle Commissioni adite. In proposito, il quesito che Piazza Cavour inoltrava a Lussemburgo imponeva ai giudici europei una valutazione della compatibilità del principio del giudicato esterno – specificatamente nella materia tributaria – con i principi cardine dell’ordinamento comunitario. Con una risposta che lasciava poco spazio all’interpretazione per la rarissima chiarezza con la quale è stata formulata, la replica della Corte di Lussemburgo fornisce un precedente di non poco conto, affermando che “Il diritto comunitario osta all’applicazione, in circostanze come quella della causa principale, di una disposizione di diritto nazionale, come l’art. 2909 del Codice Civile, in una causa vertente sull’imposta sul valore aggiunto concernente un’annualità fiscale per la quale non si è ancora avuta una decisione giurisdizionale definitiva, in quanto essa impedirebbe al giudice nazionale investito di tale causa di prendere in considerazione le norme comunitarie in materia di pratiche abusive legate a detta imposta”. Forte di questa decisione, la Cassazione rincarava la dose e, decidendo la causa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., rigettava l’originario ricorso della s.r.l. avverso il processo verbale di constatazione, aggiustando il tiro di alcune sue precedenti statuizioni (cfr. Cass. 5282/2002, 11351/2001 e 9944/2000), assentendo alla legittimità di una (ri)determinazione della natura di un contratto che prescinda dalla volontà concretamente manifestata dalle parti ad opera dell’Amministrazione Finanziaria, posto che venga finalizzata a far emergere intenti elusivi o di mera agevolazione fiscale. (S.C. per NL)