Con la sentenza n. 22830 del 04/10/2010 e depositata in cancelleria il 10/11/2010, la Suprema Corte ha statuito sulla responsabilità del professionista incaricato della gestione fiscale e tributaria dell’impresa, nel caso in cui costui non adempia con correttezza e diligenza al mandato conferito.
Il caso all’esame di Piazza Cavour vedeva stavolta protagonista un consulente chiamato in causa dai soci di tre società (estinte all’epoca del giudizio di terzo grado) per le gravi inadempienze che aveva compiuto nella cura dei rapporti con l’erario in nome e per conto dei tre soggetti giuridici, verso i quali era legato da un rapporto di mandato comprendente anche la delega per il pagamento delle imposte. La soccombenza innanzi al giudice monocratico ed in Corte d’Appello del consulente, aveva determinato il professionista a coltivare tutti e tre i gradi di giudizio, ma con ragioni che alla fine non avevano cambiato di una virgola le conclusioni del processo che lo aveva condannato al pagamento di una somma di oltre 600.000 euro, stimata sulla scorta delle gravi inadempienze e scorrettezze nei confronti dei rappresentati ai quali veniva accordato anche un risarcimento per i danni patiti. Nell’ambito della statuizione, poi, gli ermellini hanno anche modo di chiarire la validità del giudizio instaurato originariamente da soggetti, le tre società danneggiate, poi estinti nelle more dei successivi gradi di esame giudiziale; tale questione, peraltro veniva reputata oggetto di eccezione di parte ricorrente. In proposito, il Collegio di terzo grado richiamava la nuova disciplina contenuta nell’art. 2495 c.c., come novellato dal D.Lgs n. 6/2003, rubricato “Cancellazione della società”, aderendo al disposto del precedente giurisprudenziale contenuto nella pronuncia delle Sezioni Unite n. 4060/2010 in tema di irretroattività delle nuove disposizioni di diritto societario. Da questo si deduceva, infatti, la validità del giudizio istaurato in quanto, assieme alle tre società, si costituivano (e si erano sempre costituiti) tutti e quattro i soci con l’effetto di sanare il contraddittorio processuale. Nondimeno, lo stesso professionista nell’ambito del ricorso evocava in giudizio, pur avendo certamente contezza degli avvenimenti successivi al primo grado, le tre imprese oramai estinte di concerto con i soggetti che ne avevano ereditato le sorti. Ad ogni buon conto, nel merito della statuizione, Piazza Cavour conferma la prospettazione delle corti territoriali in base alla quale, accertate nel corso della C.T.U disposta nella fase cautelare del primo grado (giudicato interno nei successivi gradi perché disancorata dalle eccezioni di parte convenuta) alcune irregolarità contabili imputabili agli amministratori, il 20% della responsabilità della mala gestione fiscale e contributiva delle imprese estinte doveva rimanere a carico dei soci e l’80% attribuita in via esclusiva al consulente che indebitamente aveva anche trattenuto per se somme destinate al pagamento degli oneri fiscali. (S.C. per NL)