Con la sentenza n. 4622 depositata in cancelleria lo scorso 26/02/2009, la sezione tributaria della Suprema Corte entra nel merito della questione relativa alla legittimazione processuale del legale rappresentante di società accertata dal Fisco in tempo successivo alla scadenza del proprio mandato.
L’ermeneutica degli Ermellini appare piuttosto interessante anche in considerazione del colorito e non lusinghiero linguaggio utilizzato nella motivazione per descrivere il contegno tenuto dall’amministrazione finanziaria nella vicenda in esame. Andando per ordine, nel 2001 l’Agenzia delle Entrate rettificava la dichiarazione dei redditi di una società (per l’anno 1989) notificando i relativi avvisi di accertamento all’allora legale rappresentante della persona giuridica – decaduto dall’incarico a far data dal 31/07/1990. Reagiva il contribuente impugnando gli atti recapitati dall’amministrazione finanziaria contestando, peraltro, il merito dell’attività induttiva svolta e delle ulteriori pretese. Reagiva l’ufficio eccependo il difetto di legittimazione del ricorrente (proprio sulla scorta della intervenuta scadenza del mandato), seppur ritrovandosi soccombente in primo grado sia per quanto concernente gli aspetti meramente processuali della vicenda che per quelli sostanziali contrapposti dall’ex amministratore. Intriotato il giudizio innanzi alla Commissione Tributaria Regionale, questa ribaltava completamente la decisione di prime cure. Per il giudice del gravame, infatti, la società (soggetto passivo dell’imposta) doveva stare in giudizio nella persona del legale rappresentante pro tempore (che non aveva impugnato l’avviso), non avendo alcuna legittimazione processuale quello in carica al tempo in cui la fattispecie di violazione (induttivamente valutata) veniva integrata. Adita dal contribuente interveniva la Corte di Cassazione rigettando integralmente le argomentazioni del giudice a quo convinto della carenza di legittimazione processuale dell’ex legale rappresentante, al quale era stata eseguita la notifica – secondo le tesi dell’amministrazione finanziaria – “solo per conoscenza (…) per le sole implicazioni penali ed amministrative”. Causticamente, gli Ermellini non esitano a motivare l’assoluta correttezza del comportamento del contribuente partendo dalla considerazione in base alla quale “(…) ogni atto giuridico produce effetti e se un atto giuridico viene definito inutile dallo stesso emittente c’è da chiedersi (a parte i dubbi legittimi sulla sanità mentale e/o idoneità professionale delle persone fisiche responsabili di tali comportamenti) perché sia stato adottato o notificato (…)” (cfr. C. Cass. sez. trib. sent. n. 4622/2009). Nondimeno, al contrario di quanto sostenuto dalla C.T.R., l’ex amministratore aveva agito legittimamente impugnando l’accertamento non solo per quanto afferente i vincoli di responsabilità solidale rispetto alla sanzione , ma anche sotto i profili inerenti la sussistenza delle violazioni contestate. In proposito, Piazza Cavour propone un’efficace metafora, secondo la quale “Il palo può difendersi dall’accusa di concorso in furto sia dimostrando di non aver svolto tale ruolo di sentinella, ma anche dimostrando che il furto non si è verificato” (cfr. C. Cass, cit.). Vieppiù, l’argomentazione del Giudice di Legittimità fornisce un altro interessante spunto ermeneutico laddove chiarisce che la mancata impugnazione dell’atto da parte chi all’epoca della contestazione (quindi, nel 2001) aveva la rappresentanza della società, non sminuisce né degrada l’esercizio a tutto campo della difesa del ricorrente rispetto ad atti che gli andavano comunque notificati e non solo – come sostenuto audacemente dall’Avvocatura dello Stato – “per conoscenza”, in quanto tale soggetto assumeva nella vicenda processuale il ruolo di litisconsorte necessario e, comunque, parte legittimata ad esperire nel giudizio ogni attività di difesa. Concludendo, poi, sulle prerogative processuali del ricorrente, il giudice di terza istanza sostiene che “La mancata impugnazione dell’avviso notificato alla società non lo vincola in alcun modo sul piano delle conseguenze sanzionatorie. Così come non lo avrebbe vincolato l’eventuale giudicato formatosi nei confronti dei destinatari dell’atto di accertamento diretto alla società in considerazione dei limiti soggettivi del giudicato” e, conseguentemente, “se questi non avesse impugnato gli atti notificatigli, facendoli diventare definitivi, non avrebbe poi potuto impugnare gli atti successivi, come ad esempio l’iscrizione a ruolo se non per vizi propri”. (Stefano Cionini per NL)