Dirimendo un annoso conflitto giurisprudenziale, le Sezioni Unite, con la sentenza 14292/2010, configurano la necessità della forma scritta per il rilascio della procura al difensore incaricato di diffidare all’adempimento nell’ambito di un negozio giuridico, quale presupposto di validità ai fini del dispiegamento degli effetti giuridici dell’avvertimento sul relativo rapporto contrattuale.
Prendendo le mosse dal dettato dell’art. 1454 del Codice Civile, è necessario preliminarmente richiamare il tenore letterale del comma 1, in base al quale “Alla parte inadempiente l’altra può intimare per iscritto di adempiere in un congruo termine, con dichiarazione che, decorso inutilmente detto termine, il contratto s’intenderà senz’altro risolto”. Il caso all’esame del Supremo Collegio, verteva sull’esercizio del diritto di prelazione sancito dall’art. 732 c.c. nei confronti dei coeredi, sulle quote di patrimonio che altro successore intendeva alienare. La controversia si radicava innanzi alle corti territoriali di primo e secondo grado senza che i giudici aditi potessero sciogliere, a causa di un vecchio ed irrisolto contrasto giurisprudenziale, il nodo gordiano sui requisiti di validità dell’istituto della diffida ad adempiere. Nello specifico, la sanzione della risoluzione del contratto (proposta di acquisto inoltrata dalla sorella sulla quota dell’eredità paterna assegnata al fratello) veniva inoltrata dal legale dell’alienante ed aveva ad oggetto l’ammonimento rivolto alla controparte negoziale di fissare la data del rogito, pena lo scioglimento del vincolo sinallagmatico sopravvenuto. Si instaurava a questo punto il contraddittorio processuale in quanto la promissaria acquirente aveva dovuto constatare la vendita dei beni oggetto della sua proposta ad altri, circostanza in base alla quale la stessa eccepiva il diritto di prelazione indipendentemente dagli effetti risolutori della diffida ricevuta e non onorata. In primo e secondo grado, le ragioni di parte attrice venivano ritenute soccombenti rispetto al maturare degli effetti dell’avvertimento ex art. 1454 c.c. inoltrato dalla controparte. Successivamente veniva adita la Corte di Cassazione proprio per dirimere la questione sui presupposti di validità dell’intimazione ad adempiere predisposta dal difensore dell’alienante (nel frattempo deceduto e per il quale riassumevano la causa gli eredi), decisiva nei precedenti giudizi, ma secondo la ricorrente nulla in quanto sottoscritta dal difensore di parte avversa privo di procura rilasciata in forma solenne. In proposito, Piazza Cavour constatava un contrasto giurisprudenziale sulla questione basato su tre differenti correnti giurisprudenziali susseguitesi negli ultimi trent’anni. Il primo filone ermeneutico (Cass., 25/03/1978, n. 1447) imponeva che la diffida inoltrata alla parte inadempiente da soggetto differente dall’altro contraente producesse effetti a condizione che tale soggetto terzo venisse munito di specifica procura scritta del creditore, atteso il carattere negoziale dell’atto unilaterale; invero, da una tale interpretazione si discostava altra pronuncia (Cass., 26/06/1987, n. 5641) che riteneva – viceversa – sufficiente il solo incarico fornito verbalmente, per concludere con la più complessa ed intermedia posizione (Cass., 01/09/1990, n. 9085) in base alla quale la forma scritta della procura ad inoltrare l’avviso di cui all’art. 1454 c.c. doveva essere posta in relazione con quella del negozio giuridico di riferimento: se per questo si prevedeva – ad sustantiam o ad probationem – la redazione per iscritto, anche la forma del conferimento d’incarico doveva seguire i medesimi requisiti di validità. Di fronte ad un simile coacervo giurisprudenziale, lo sforzo interpretativo delle Sezioni Unite si collocava nel solco tracciato dalla prima statuizione richiamata (l’evoluzione del diritto vivente, quindi, non ha in questo caso fornito alcun valore aggiunto), agli effetti del combinato disposto degli artt. 1454, 1324 e 1392 c.c. In proposito, posto che l’ultima disposizione appena richiamata invalidava (ed tutt’ora invalida) la procura se questa “(…) non è conferita con le forme prescritte per il contratto che il rappresentante deve concludere”, maggiormente aderente al caso di specie appariva la norma contenuta nell’art. 1324 c.c. in base al quale “Salvo diverse disposizioni di legge, le norme che regolano i contratti si osservano, in quanto compatibili, per gli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale”. Tirando le fila del discorso, essendo indubbio che la diffida ad adempiere riverberi i propri effetti nella sfera giuridica del destinatario (adempimento entro un dato termine a pena della risoluzione del contratto) parte di un rapporto giuridico necessariamente (ai sensi dello stesso art. 1321 c.c.) patrimoniale, gli Ermellini deducevano da ciò la circostanza in base alla quale per la procura rilasciata al fine di intimare la diffida ad adempiere doveva (ed in generale deve) avere forma scritta “(…) indipendentemente da carattere solenne della forma richiesta per il contratto destinato in ipotesi ad essere risolto” (Cfr. Cass. SS. UU., 15/06/2010, n. 14292). Per questi motivi, il Supremo Collegio cassava la sentenza di secondo grado e rinviava ad altra sezione della Corte d’Appello la decisione sulla controversia sulla base del principio di diritto formulato. (S.C. per NL)