(Franco Abruzzo.it) – “Quando la notizia diffusa da un giornalista consiste nella cronaca di una dichiarazione resa in sede giudiziaria, non può ritenersi che il giornalista sia tenuto a svolgere specifiche indagini sull’attendibilità del dichiarante poiché tale valutazione riguarda il merito della dichiarazione e la sua rispondenza a verità.
Per il giornalista, invece, sussiste solo l’obbligo di accertare che la dichiarazione sia stata effettivamente resa e il contesto in cui ciò sia avvenuto, con l’indicazione, in particolare, della fase processuale in cui tali dichiarazioni sono state rese e gli atti da cui provengono, in modo che il lettore o l’ascoltatore possa chiaramente intendere se la dichiarazione abbia già avuto il vaglio processuale da parte del magistrato e se ne dovrà avere altri”.
Per il giornalista, invece, sussiste solo l’obbligo di accertare che la dichiarazione sia stata effettivamente resa e il contesto in cui ciò sia avvenuto, con l’indicazione, in particolare, della fase processuale in cui tali dichiarazioni sono state rese e gli atti da cui provengono, in modo che il lettore o l’ascoltatore possa chiaramente intendere se la dichiarazione abbia già avuto il vaglio processuale da parte del magistrato e se ne dovrà avere altri”.
di Valeria FALCONE
Con sentenza del 10 marzo 2009 n. 5727, la terza sezione della Cassazione civile respinge il ricorso di W. e V.C., i quali si erano rivolti prima al Tribunale di Roma, poi alla Corte d’Appello di Roma, per ottenere il risarcimento del danno patrimoniale e morale subito a seguito della pubblicazione da parte dei giornalisti M.G. e A.N. di alcuni articoli ritenuti dagli stessi diffamatori. Sia il Tribunale sia la Corte d’Appello avevano rigettato la loro domanda di risarcimento del danno e, pertanto, W e V.C. ricorrevano in Cassazione.
Lamentavano, in primo luogo, “come il criterio decisionale adottato dall’impugnata sentenza conduca a riconoscere al giornalista la possibilità di pubblicare qualsiasi dichiarazione lesiva dell’altrui reputazione senza effettuare alcun accertamento sul contenuto della stessa purchè la medesima sia stata resa in un atto giudiziario”. Aggiungevano, inoltre, che gli articoli in questione solo marginalmente parlavano di un “avviso di garanzia” e di un “ordine di cattura”, mentre non indicano nemmeno uno degli atti di indagini preliminare trasfusi negli avvisi di garanzia e nel corpo dell’ordinanza di custodia preliminare. Secondo i ricorrenti, era onere dei giornalisti verificare ed accertare la “verità sostanziale dei fatti” oggetto della notizia stessa, a prescindere dagli accertamenti giudiziali in itinere e “non solo di controllare l’attendibilità della fonte (non sussistendo fonti informative privilegiate)”.
Nel caso di specie, affermano i sig.ri W. e V.C., nessun accertamento o controllo fu invece effettuato, nè venne rispettato il criterio della “verità specifica”, intesa come riferita al “fatto concretamente asserito o riportato come asserito”, e non già al mero fatto “dell’avvenuta asserzione”.
Con la sentenza in esame, la Cassazione civile respinge i motivi di ricorso appena descritti e nel farlo richiama un recente orientamento giurisprudenziale della stessa Corte.
Quando la notizia diffusa da un giornalista consiste nella cronaca di una dichiarazione resa in sede giudiziaria, si legge nella sentenza, non può ritenersi che il giornalista sia tenuto a svolgere specifiche indagini sull’attendibilità del dichiarante poichè tale valutazione riguarda il merito della dichiarazione e la sua rispondenza a verità. Per il giornalista, invece, sussiste solo l’obbligo di accertare che la dichiarazione sia stata effettivamente resa e il contesto in cui ciò sia avvenuto, con l’indicazione, in particolare, della fase processuale in cui tali dichiarazioni sono state rese e gli atti da cui provengono, in modo che il lettore o l’ascoltatore possa chiaramente intendere se la dichiarazione abbia già avuto il vaglio processuale da parte del magistrato e se ne dovrà avere altri (Cass. civ., sez. III, 6 marzo 2008 n. 6041 in Guida al diritto 2008, 30, 83; Cass. civ., sez. III, 24 maggio 2006 n. 12358, in Giust. civ. Mass. 2006, 5).
I ricorrenti denunciavano, altresì, che anche se i giornalisti avessero divulgato atti di indagine ovvero il contenuto di un avviso di garanzia e dell’ordinanza di custodia cautelare, anche in questo caso non poteva essere loro accordato il diritto di cronaca perchè tali atti, all’epoca delle pubblicazioni predette, non erano stati resi pubblici e, pertanto, non potevano essere divulgati, stante il preciso divieto degli artt. 114 e 329 c.p.p..
Secondo la Cassazione, anche questa tesi non è fondata “perchè la segretezza incide sul profilo della violazione del segreto istruttorio e non sull’oggetto di questo processo che verte sulla dedotta responsabilità diffamazione”. (Cass. Civ., sez. III, 10 marzo 2009 n. 5727, pres. Preden, rel. D’Amico “PUBBLICAZIONE DI ATTI PROCESSUALI E DIFFAMAZIONE: ONERI DEL GIORNALISTA” ).