(Franco Abruzzo.it) – E’ quanto stabilisce la Corte di Cassazione (sentenza n. 48361/2008) sottolineando che “un rapporto di impiego precario e temporaneo non può essere ritenuto sufficiente a fare venire meno il requisito dello stato di disoccupazione”. Sulla scorta di tale principio la Corte ha annullato una doppia condanna per il reato di falsità ideologica che i giudici di merito avevano inflitto a un lavoratore che aveva tenuto nascosta la sua assunzione temporanea come coadiutore sanitario presso la Asl di taranto, in vista della partecipazione ad un concorso pubblico. La vicenda era finita in procura a seguito di denuncia da parte della Asl che si era poi costituita parte civile. Ne seguiva una condanna in primo e in secondo grado per il reato di falsità ideologica in atto pubblico per induzione in errore dei pubblici funzionari. Alla condanna penale seguiva anche la condanna al risarcimento dei danni in favore della Asl. Ricorrendo in Cassazione il lavoratore ha richiamato la giurisprudenza del Consiglio di Stato secondo cui un impiego precario non fa venire meno lo stato di disoccupazione. Piazza Cavour ha ribaltato così le decisioni dei giudici di merito annullando la sentenza impugnata “perché il fatto non sussiste” e chiarendo che “un rapporto di impiego precario non può essere ritenuto sufficiente a fare venire meno il requisito dello stato di disoccupazione, necessario ai sensi dell’art. 12 L. 482 del ’78 per la partecipazione privilegiata ai pubblici concorsi”. Del resto, quand’anche il lavoratore “avesse correttamente segnalato la propria condizione di assegnatario in via provvisoria del posto di coad iutore sanitario presso la Asl, ciò non avrebbe comportato la sua cancellazione dall’elenco di disoccupati tenuto dall’ufficio provinciale del lavoro”.
(Data: 31/12/2008 10.02.00 – Autore: Roberto Castaldi-http://www.studiocataldi.it)
Cassazione: legittimo licenziamento di chi lede prestigio e immagine dell’azienda
La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione (Sentenza n. 29008/2008) occupandosi del caso di un lavoratore che nel corso di tre assemblee pubbliche si era lanciato in esternazioni di discredito nei confronti dell’azienda in cui lavorava, ha stabilito che un simile comportamento, quando va oltre il diritto di critica e si traduce in una condotta gravemente offensiva della professionalità dell’azienda, deve essere considerato come una violazione dell’obbligo di fedeltà di cui all’articolo 2105 del codice civile. Tale norma impone al prestatore di lavoro, tra le altre cose, di non divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio. Nel caso esaminato dalla Corte oltretutto le esternazioni del dipendente erano finite sulla stampa loca le. Legittimo dunque, secondo gli ermellini il licenziamento deciso dal datore di lavoro essendosi verificata ai sensi del’art. 2119 una causa che non consente la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto.
(Data: 04/01/2009 10.26.00 – Autore: Roberto Castaldi- http://www.studiocataldi.it)