da Franco Abruzzo.it
di Fabio Folisi/direttore di www.friulinews.it
Tira una brutta aria per noi giornalisti. Non solo le “solite” pressioni politiche e l’ingombrante presenza di proprietà delle testate concentrate nelle mani di pochi gruppi economici che in una realtà come quella friulana provocano una situazione di monopolio, ma anche una diffusa sfiducia nei confronti del nostro lavoro che affonda purtroppo le sue radici nella drammatica constatazione che alcuni colleghi hanno scambiato la professione di cronista con quella di maggiordomo dei potenti o di aspiranti tali. Questo mentre la precarizzazione delle redazioni porta, come conseguenza, una maggiore facilità di ricatto nei confronti dei giornalisti. Aggiungiamo poi il pesante attacco ideologico alla libertà di esprimere le proprie opinioni ed il proliferare di autorità, più o meno istituzionali, che si arrogano il diritto di dare giudizi deontologici su cosa sia lecito scrivere e cosa no. Fanno questo attaccando i giornalisti perfino quando, ad esempio in tema di minori, si pubblica la storia in maniera oggettiva senza citare i nomi e riportando solo i fatti, come avvenuto recentemente per un fatto di cronaca nel pordenonese. Senza parlare di quando nazionalmente si blocca la divulgazione delle dichiarazioni dei redditi degli italiani, che sono pubbliche, ma non più, evidentemente, nel momento in cui vengono rese tali.
Ecco quindi che il quadro è quasi completo. Quasi, perché abbiamo la brutta sensazione che anche la magistratura, che in passato ha tutelato molto la libertà di stampa, si stia allineando sempre di più con posizioni di oscurantistico pregiudizio sui giornalisti. Si sprecano i rinvii a giudizio per diffamazione mezzo stampa, per fatti di cronaca, palesemente di interesse collettivo, cavillando pretestuosamente sugli aggettivi usati e decontestualizzandoli dal testo, o si blocca la pubblicazione di atti pubblici in possesso di molti e quindi praticamente di pubblico dominio, ma che non sono più tali quando vanno in mano ai giornalisti. Ed ora la assurda sentenza del Consiglio di Stato che condanna i colleghi di Merateonline, una pubblicazione web lombarda, perché trovati in possesso di una radio scanner, oggetto d’uso comune in tutte le redazioni di cronaca, un apparecchio di libera vendita (basta andare in un qualsiasi negozio di elettronica) che consente di ascoltare le conversazioni non criptate di Polizia, Carabinieri e Vigili del Fuoco.
Badate bene non parliamo di apparati da 007, ma di radio che costano poche decine di euro che anche un bambino può legittimamente acquistare. Ma evidentemente possono ascoltare tutti, ma non i giornalisti. Lo hanno scoperto a loro spese il direttore ed i due cronisti del quotidiano telematico del lecchese Merateonline che assolti in primo grado sono stati condannati in appello ed incredibilmente si sono visti confermare la pena in Cassazione. Quindici mesi al direttore Claudio Brambilla e al redattore Fabrizio Alfano, sei mesi al collega Daniele De Salvo I giornalisti sono stati ritenuti colpevoli dalla Suprema Corte, di essere in possesso delle famigerate radio scanner, oggetti familiari a tutti i cronisti di nera, che grazie a queste intercettazioni su frequenze, ripetiamo non criptate, riescono ad arrivare tempestivamente sul luogo di un fatto di cronaca per documentarlo, sia esso un omicidio, una rapina o un semplice incidente stradale.
Si tratta di una pratica comune non solo ai giornalisti, ma vi sono anche appassionati, perfino scrittori, ma anche malavitosi che monitorano le conversazioni delle forze dell’ordine. In prima istanza, come già detto, i giornalisti di Merateonline vennero assolti, ma la Corte di Appello di Milano ribaltò la sentenza condannandoli in base all’articolo 617 bis del Codice penale che così recità: “Chiunque, fuori dei casi consentiti dalla legge, installa apparati, strumenti, parti di apparati o di strumenti al fine d’intercettare od impedire comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche tra altre persone è punito con la reclusione da uno a quattro anni.” perché recita sempre la sentenza “Le comunicazioni tra la centrale operativa e le pattuglie radiomobili della polizia giudiziaria avvengono su frequenze assegnate preventivamente al ministero della Difesa, che la stragrande maggioranza dei cittadini non può captare, proprio perché le apparecchiature in grado di captare tali comunicazioni non sono, ad oggi, in possesso comune dei consociati”. Ebbene questo non è assolutamente vero, in quanto le radio scanner non solo sono di libera vendita da decine di anni, ma ne sono state vendute migliaia di pezzi, senza contare che vi sono apparecchi radio multi-banda, non certo specializzati alle intercettazioni, ma in grado di ascoltare indifferentemente dalla musichetta della radio privata, alle omelie del papa da Radio Vaticano, fino alle conversazioni delle radiomobili delle forze dell’ordine. Se l’utilizzo è reato perché questi apparati sono liberamente in vendita? Se sono così pericolosi per la sicurezza tanto da determinare una condanna penale pesante, perché non vi è un “porto scanner” come per le armi? Ma evidentemente la volontà, con tutto il rispetto dovuto comunque ad una sentenza, non è quello di sanzionare un reato, ne di evidenziare un anomalia legislativa, ma temiamo quello di mettere un altro tassello ai “limiti che i giornalisti non devono superare”. Del resto l’orientamento appare chiaro, nel caso di pubblicazione di un atto giudiziario si tende a colpire di più il giornalista che lo ha pubblicato, piuttosto che chi, magari un magistrato, quel documento o quella notizia, più o meno sbadatamente, si è lasciata “sfuggire”.
Ed allora appare necessario che non solo l’opinione pubblica venga informata su quanto sta avvenendo nei giornali e contro i giornalisti, ma che questi reagiscano, ad esempio auto-denunciando l’utilizzo passato e presente dei malefici scanner. Io personalmente in passato l’ho utilizzato, oggi non ho la necessità di seguire con tali strumenti la cronaca nera (ma lo rifarei se necessario), sono quindi colpevole come i colleghi di Merateonline. Spero che tutti i giornalisti si autodenuncino e che non passi l’idea che il diritto di cronaca debba limitarsi alle veline degli uffici stampa o alle dichiarazioni spettacolari di Pm in cerca di notorietà.
Sabato, 07 Giugno 2008