L’amico giornalista Andrea Lawendel entra nell’ampia discussione in corso in questi giorni su queste pagine a riguardo della scottante questione delle intercettazioni.
In particolare Lawendel critica, con la consueta cortesia e precisione, la posizione assunta da NL.
Cari amici, sapete che vi seguo con assiduità e siete il mio faro giuridico-mediatico, una vera enciclopedia di nozioni che altrimenti mi sfuggirebbero. Ma devo dirvi che le recenti prese di posizione di Newsline sulla questione intercettazioni mi lasciano perplesso.
Sono disgustato anch’io dal giornalismo spazzatura che vive dei virgolettati dei dialoghi tra calciatori, imprenditori, spacciatori, fotografi, veline e amanti assortiti, ma trovo di gran lunga più “democraticamente allarmante” una legge che mi impone quello che come giornalista posso e non posso scrivere su un giornale. Le democrazie mature ci arrivano con i codici di autoregolamentazione, non con i Parlamenti che di fatto limitano la libertà d’espressione costituzionale.
Continuare a fare confronti statistici sui minuti di intercettazioni in Italia e in Gran Bretagna è, spiace dirlo, pura ipocrisia. La giustizia di Sua Maestà non ha a che fare con organizzazioni criminali che controllano rigidamente ampie aree e settori della Nazione. Non si trova di fronte facilmente a scandali della sanità pubblica e privata stile Santa Rita. Non deve combattere un livello di corruzione tra politici e funzionari pubblici che ci avvicina, visto che devono valere le statistiche, alle Nazioni africane. Non deve risolvere reati fiscali e finanziari a volte degni di una finzione cinematografica. E via elencando.
Va benissimo dunque un maggior rigore sulle autorizzazioni a intercettare. Va benissimo un codice di autoregolamentazione per i giornali (ricordo però che anche la stampa di famiglia dell’attuale premier non si è mai fatta mancare l’arma della pubblicazione nei confronti degli avversari politici). Non va assolutamente bene una legge liberticida. Se dietro la pubblicazione c’è un reato di violazione del segreto istruttorio la responsabilità sia di chi ha violato questo segreto, non del giornalista che decide di pubblicare un contenuto giudicato importante per i propri obiettivi di ricerca della verità. Tanto più che anche in questo caso c’è sempre il reato di diffamazione (altra istituzione trattata diversamente nei tribunali delle democrazie mature). Siamo sicuri che i responsabili di queste violazioni siano sempre magistrati e cancellieri? Vogliamo chiederlo anche ai collegi di difesa?
Leggo nei commenti riportati da voi in questi giorni frasi come “spazi liberi imbrattati” riferite ai pareri pubblicati da colleghi giornalisti. A questo riduciamo la libertà di stampa quando a scrivere liberamente sono giornalisti che non la pensano come noi?
Un caro saluto,
Andrea Lawendel
per partecipare: [email protected]