Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello proposto da Centro Europa 7 s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Alessandro Pace, dall’Avv. Giuseppe Oneglia e dall’Avv. Ottavio Grandinetti con domicilio eletto in Roma piazza delle Muse n. 8 presso Associazione Professionale Studio Legale Pace;
contro
Ministero delle comunicazioni e Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro-tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato con domicilio in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
Direzione Generale Autorizzazioni e Concessioni del Ministero delle Comunicazioni, non costituitasi in giudizio;
con l’intervento di
Mediaset s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dagli avv.ti Luigi Medugno e Giuseppe Rossi, ed elettivamente domiciliato presso il primo, in Roma, via Panama, n. 58;
Prima Tv s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dagli avv.ti Filippo Satta, Stefania Bariatti e Luca Perfetti, ed elettivamente domiciliato presso il primo, in Roma, via Pier Luigi da Palestrina, n. 47;
Federazione Radio Televisioni, in persona del legale rappresentante pro tempore, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’Avv.to Claudio Chiola, ed elettivamente domiciliato presso lo stesso, in Roma, via della Camilluccia, n. 785;
per l’annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione II, n. 9315/04 pubblicata il 16 settembre 2004;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio delle amministrazioni appellate e gli atti di intervento di Mediaset s.p.a., di Prima Tv s.p.a. e della Federazione Radio Televisioni;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Vista la sentenza della Corte di Giustizia, sezione IV, 31 gennaio 2008, C-380/05;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza del 6 maggio 2008 relatore il Consigliere Roberto Chieppa.
Uditi l’Avv. Pace, l’Avv. Grandinetti, l’Avv. Medugno, l’Avv. Satta, l’Avv. Perfetti, l’Avv. Bariatti, l’Avv, Chiola e l’Avv. dello Stato Di Carlo;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
F A T T O E D I R I T T O
1. Centro Europa 7 s.r.l. ha partecipato alla gara, indetta in attuazione della legge n. 249 del 1997, ai fini del rilascio delle concessioni per la radiodiffusione televisiva su frequenze terrestri in ambito nazionale ed, essendosi classificata con l’emittente “Europa 7” al settimo posto della relativa graduatoria, ha ottenuto il rilascio di una delle suddette concessioni (d.m. 28 luglio 1999), nella quale, pur prevedendosi che in forza del suddetto provvedimento l’istante aveva titolo ad installare ed esercitare una rete d’impianti di radiodiffusione televisiva, non erano assegnate specifiche frequenze in attesa del programma di adeguamento degli impianti al Piano nazionale di assegnazione delle frequenze.
Non avendo le competenti amministrazioni proceduto all’assunzione di alcun provvedimento di assegnazione delle frequenze, con ricorso al Tar del Lazio notificato il 27 novembre 2003 Centro Europa 7 ha chiesto:
a) la condanna, anche ai sensi degli artt. 33 e 35 del d.lgs. n. 80 del 1998, così come modificato dall’art. 7 della l. n. 205 del 2000, delle amministrazioni resistenti ad assegnare alla ricorrente una rete di impianti di radiodiffusione costituita da impianti ubicati nei siti individuati dal Piano nazionale delle frequenze, o, in subordine, la condanna delle stesse amministrazioni all’assegnazione alla ricorrente di canali comunque idonei a farle raggiungere la copertura di almeno l’80 % del territorio nazionale e di tutti i capoluoghi di provincia;
b) la condanna delle amministrazioni resistenti, ciascuna per la parte di sua responsabilità, al risarcimento dei danni ingiusti subiti e subendi dalla ricorrente per la mancata, tempestiva, assegnazione di una rete o di canali (frequenze) comunque idonei a garantire la suddetta copertura.
Con sentenza n. 9315/2004 il Tar del Lazio ha dichiarato inammissibile la domanda di condanna all’assegnazione delle frequenze, ritenendo che i provvedimenti richiesti postulano che la situazione soggettiva dedotta in giudizio abbia natura di diritto soggettivo, mentre in realtà la posizione della ricorrente deve essere qualificata di interesse legittimo; ha anche aggiunto che se l’oggetto della concessione consiste nell’attribuzione di determinate frequenze, allora la mancata assegnazione delle stesse costituisce un vizio del provvedimento ampliativo, che non può non comportarne l’illegittimità per violazione della normativa vigente, per cui, conseguentemente, risulta contraddittorio collegare la nascita di un diritto soggettivo ad ottenere le frequenze sulla base di un provvedimento che risulterebbe in palese contrasto con la disciplina in materia.
Il giudice di primo grado ha poi respinto la domanda di risarcimento per equivalente, evidenziando che la formulazione della stessa (inadempimento agli obblighi nascenti dalla concessione) si pone in contrasto con la situazione soggettiva della ricorrente di interesse legittimo pretensivo a che le competenti amministrazioni integrino il contenuto del citato provvedimento, fermo e impregiudicato il potere delle stesse di adottare eventualmente determinazioni negative sulla base di circostanze fattuali e di diritto sopravvenute.
Centro Europa 7 ha impugnato tale decisione, deducendo:
a) l’erroneità della qualificazione della situazione giuridica soggettiva vantata da Europa 7, in quanto il privato, dopo il rilascio della concessione, vanta un diritto soggettivo perfetto a seguito dell’adozione o stipula dell’atto (concessione) che disciplina i diritti delle parti pubbliche e private; di talché è ben possibile che la parte non inadempiente richieda al giudice amministrativo la condanna della altra parte all’adempimento delle obbligazioni oggetto della concessione, anche in forza della giurisdizione esclusiva che in materia compete al giudice amministrativo;
b) il decreto di concessione non è illegittimo per non aver attribuito le frequenze, ma ha solo rinviato tale assegnazione ad atti successivi, poi mai emanati;
c) il Ministero avrebbe dovuto adempiere alle obbligazioni nascenti dalla concessione;
d) le amministrazioni sono anche tenute al risarcimento dei danni, da quantificare in modo diverso a seconda che si proceda all’assegnazione delle frequenze o che tale assegnazione non avvenga, dovendo nel primo caso il risarcimento essere limitato al lucro cessante relativo agli anni in cui la ricorrente non ha potuto operare e nel secondo caso all’itero valore dell’azienda, corrispondente a circa 3,5 miliardi di euro.
Il Ministero delle comunicazioni e l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni si sono costituite in giudizio, chiedendo la reiezione del ricorso.
Con decisione n. 3846/05 questa Sezione ha in primo luogo ritenuto che la controversia appartiene alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, anche dopo la sentenza della Corte Cost. n. 204 del 2004, trattandosi di una controversia su una concessione, rilasciata in materia di telecomunicazioni (art. 5 l. n. 1034/1971 e 33 co. 1 d.lgs n. 80/1998 come sostituito dall’art. 7 l. n. 205/2000 e “riscritto” da Corte Cost. n. 204/2004).
Tenuto conto che la controversia ha ad oggetto una domanda risarcitoria, sia in forma specifica che per equivalente, la Sezione ha poi rilevato che sono state evocate solo le Amministrazioni, e non i titolari delle “reti eccedenti” che, indubitabilmente, sarebbero incisi da una statuizione di condanna in forma specifica, ritenendo così di doversi limitare a conoscere dell’unica domanda procedibile ossia la domanda di risarcimento per equivalente (riservando al prosieguo ogni ulteriore provvedimento in merito alla azione di reintegra in forma specifica).
Quanto alla domanda di risarcimento danni per equivalente, premesso che la mancata assegnazione delle frequenze è stata determinata da fattori essenzialmente normativi, la Sezione ha formulato, ai sensi dell’art. 234 del Trattato, le seguenti questioni pregiudiziali alla Corte di Giustizia, sospendendo il giudizio e disponendo la trasmissione degli atti alla Corte:
1) se l’art. 10 CEDU, come richiamato dall’art. 6 del Trattato sull’Unione garantisca il pluralismo informativo esterno nel settore radiotelevisivo, con ciò obbligando gli Stati membri a garantire un pluralismo effettivo ed una concorrenza effettiva, nel settore, basata su un sistema antitrust che, in relazione allo sviluppo tecnologico garantisca accesso alle reti e pluralità degli operatori, senza possibilità di ritenere legittimi assetti duopolistici del mercato;
2) se le disposizioni del Trattato CE che garantiscono la libertà di prestazioni di servizi e la concorrenza, nell’interpretazione datane dalla Commissione con la comunicazione interpretativa del 29 aprile 2000 sulle concessioni nel diritto comunitario, esigono principi di affidamento delle concessioni capaci di assicurare un trattamento non discriminatorio, paritario, nonché trasparenza, proporzionalità e rispetto dei diritti dei singoli e se, con tali disposizioni e principi del Trattato contrastino le disposizioni del diritto italiano di cui all’art. 3, co. 7 l. n. 249/1997, di cui all’art. 1 del d.l. 24.12.2003 n. 352 conv. in l. n. 112/2004 (legge Gasparri) in quanto hanno consentito a soggetti esercenti reti radiotelevisive “eccedenti” i limiti antitrust, di continuare ininterrottamente ad esercitare la loro attività escludendo operatori come la società appellante che, pur in possesso della relativa concessione, assegnata a seguito di regolare procedura competitiva, non hanno potuto svolgere l’attività concessionata per mancata assegnazione di frequenze (dovuta alla loro insufficienza o scarsità, determinata dalla anzidetta prosecuzione dell’esercizio da parte dei titolari delle c.d. reti eccedenti);
3) se, a decorrere dal 25 luglio 2003, l’art. 17 della direttiva 2002/20/CE (direttiva autorizzazioni) imponesse l’efficacia diretta di tale direttiva nell’ordinamento interno ed imponesse l’obbligo, allo Stato membro che avesse rilasciato concessioni per l’attività di radio diffusione televisiva (comprensive del diritto d’installare reti o di fornire servizi di comunicazione elettronica o diritto all’uso di frequenze), di allinearle alla disciplina comunitaria e se tale obbligo dovesse comportare la necessità di effettivamente assegnare le frequenze necessarie per svolgere l’attività;
4) se l’art. 9 della direttiva 2002/21/CE direttiva quadro e l’art. 5 della direttiva autorizzazioni prevedendo procedure pubbliche, trasparenti e non discriminatorie (art. 5) svolte in base a criteri obiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionali (art. 9) siano in contrasto con un regime di generale assentimento, previsto dal diritto nazionale (art. 23 co. 5 l. 112/2004), che, consentendo la prosecuzione delle “c.d. reti eccedenti” non selezionate a mezzo gare finisce per ledere i diritti di cui godono altre imprese in forza della normativa comunitaria (art. 17 co. 2 direttiva 7.3.2002 n. 2002/20/CE c.d. direttive autorizzazioni), le quali, pur vincitrici di procedure competitive si vedono preclusa la possibilità di operare;
5) se l’art. 9 della direttiva 2002/21/CE (direttiva quadro), l’art. 5, par. 2, co. 2 e 7 par. 3, direttiva 2002/20/CE (autorizzazioni) e 4 della direttiva 2002/77/CE imponessero agli Stati membri di far cessare, quantomeno a decorrere dal 25 luglio 2003 (v. art. 17 direttiva autorizzazioni) una situazione di occupazione di fatto delle frequenze (esercizio d’impianti senza concessioni o autorizzazioni rilasciate a seguito di comparazione degli aspiranti) con riferimento all’attività di radiodiffusione televisiva, quale quella svolta, così non consentendo uno svolgimento di tale attività al di fuori di qualsiasi corretta pianificazione dell’etere ed al di fuori di ogni logica di incremento del pluralismo oltre che in contraddizione con le stesse concessioni assegnate dallo Stato membro all’esito di una procedura pubblica;
6) se la deroga prevista dell’art. 5, par. 2, co. 2 direttiva 2002/20/CE (direttiva autorizzazioni) e dell’art. 4 direttiva 2002/77/CE fosse e sia invocabile dallo Stato membro solo a tutela del pluralismo informativo e per garantire la tutela della diversità culturale o linguistica e non a favore degli esercenti di reti eccedenti i limiti antitrust già previsto dalla normativa nazionale;
7) se, per avvalersi della deroga di cui all’art. 5 direttiva 2002/20/CE lo Stato membro debba indicare quali sono gli obiettivi effettivamente perseguiti con la normativa derogatoria nazionale;
8) se, tale deroga possa applicarsi al di fuori del caso dalla concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo (RAI in Italia) anche a favore di operatori privati non vincitori di procedure competitive ed a danno di imprese che abbiano invece regolarmente visto assentita una concessione a seguito di gara;
9) se, ancora, il quadro di regole derivanti dal diritto comunitario dei Trattati e derivato, improntato a garantire una concorrenza effettiva (workable competition) anche nel settore del mercato radiotelevisivo, non avrebbe dovuto imporre al legislatore nazionale di evitare la sovrapposizione della proroga del vecchio regime transitorio analogico collegata all’avvio del c.d. digitale terrestre, poiché solo nel caso del c.d. switch-off delle trasmissioni analogiche (con il conseguente passaggio generalizzato al digitale) sarebbe possibile riallocare frequenze liberate per vari usi, mentre, nel caso del mero avvio del processo di transizione al digitale terrestre, si rischia di ulteriormente aggravare la scarsità delle frequenze disponibili, dovuta alla trasmissione analogica e digitale in parallelo (simulcast);
10) se, in ultimo, la tutela del pluralismo delle fonti d’informazione e della concorrenza nel settore radiotelevisivo garantita dal diritto europeo sia assicurata da una disciplina nazionale – come la l. n. 112/2004 – che prevede un nuovo limite del 20 per cento delle risorse, collegato ad un nuovo paniere (il c.d. SIC: art. 2 lett. 9; art. 15 l. n. 112/2004) molto ampio che include anche attività che non hanno impatto sul pluralismo delle fonti d’informazioni, mentre il “mercato rilevante” nel diritto antitrust è costruito normalmente differenziando i mercati, nel settore radiotelevisivo, perfino distinguendo fra pay-tv e televisioni non a pagamento che opera via etere (si vedano inter alios i casi della Commissione NO. COMP/JV. 37-BSKYB/Kirch Pay TV Regulation (EEC) NO. 4064/89 Merger Procedure 21/03/2000 e NO. COMP/M.2876-NEWSCORP-TELEPIU’ Regulation (EEC) NO. 4064/89 Merger Procedure 2/4/2003).
Con sentenza della sezione IV, 31 gennaio 2008, C-380/05, la Corte di Giustizia ha risposto alla seconda, alla quarta e alla quinta questione, ritenendo l’irricevibilità, l’irrilevanza o l’assorbimento delle altre, dichiarando che “l’art. 49 CE e, a decorrere dal momento della loro applicabilità, l’art. 9, n. 1, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 7 marzo 2002, 2002/21/CE, che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica (direttiva «quadro»), gli artt. 5, nn. 1 e 2, secondo comma, e 7, n. 3, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 7 marzo 2002, 2002/20/CE, relativa alle autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione elettronica (direttiva «autorizzazioni»), nonché l’art. 4 della direttiva della Commissione 16 settembre 2002, 2002/77/CE, relativa alla concorrenza nei mercati delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica, devono essere interpretati nel senso che essi ostano, in materia di trasmissione televisiva, ad una normativa nazionale la cui applicazione conduca a che un operatore titolare di una concessione si trovi nell’impossibilità di trasmettere in mancanza di frequenze di trasmissione assegnate sulla base di criteri obiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionati”.
Dopo la pubblicazione della sentenza della Corte di Giustizia, con atto notificato il 18 febbraio 2008, Centro Europa 7 ha riassunto il giudizio, insistendo per l’accoglimento dell’appello.
Sono intervenuti in giudizio Mediaset s.p.a., Prima Tv e la Federazione Radio Televisioni, chiedendo la reiezione del ricorso.
Le parti hanno prodotto diversi documenti ed hanno ampiamente illustrato le proprie posizioni con le ultime memorie.
All’odierna udienza la causa è stata chiamata unitamente ad altri ricorsi attinenti la posizione di Centro Europa 7 e, dopo ampia discussione, è stata trattenuta in decisione; questo Collegio ha dato avviso alle parti che, pur non procedendosi alla riunione dei ricorsi, sarebbero stati valutati complessivamente tutti gli elementi contenuti nei singoli fascicoli.
2. Con il presente giudizio Centro Europa 7 ha introdotto due distinte domande: una di condanna delle amministrazioni ad un facere, indicato nell’assegnazione alla ricorrente di una rete di impianti di radiodiffusione, o delle frequenze idonee a garantire la copertura di almeno l’80 % del territorio nazionale e di tutti i capoluoghi di provincia; la seconda di risarcimento del danno per equivalente.
Innanzitutto, deve essere precisato che sulla prima domanda non si è formato alcun giudicato a seguito della precedente decisione n. 3846/05, in quanto la Sezione si è espressamente riservata al prosieguo del giudizio ogni ulteriore provvedimento in merito alla azione di reintegra in forma specifica.
Tuttavia, si deve rilevare che tale domanda di condanna dell’amministrazione ad un facere è inammissibile per le seguenti ragioni.
La domanda è stata qualificata dalla stessa ricorrente come di reintegrazione in forma specifica ed è stata, infatti, proposta, anche ai sensi dell’art. 35 del D. Lgs. n. 80/1998.
Come è noto, l’art. 35, comma 1, del D. Lgs. n. 80/98 prevede che “Il giudice amministrativo, nelle controversie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, dispone, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto.”
Analoga disposizione è stata inserita anche nell’art. 7, comma 3, legge n. 1034/1971, come sostituito dall’art. 35, comma 4, del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80 alla luce delle modifiche introdotte dall’art. 7 della legge n. 205/2000: “Il tribunale amministrativo regionale, nell’ambito della sua giurisdizione, conosce anche di tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali”.
Dottrina e giurisprudenza minoritarie hanno avanzato la tesi, secondo cui il legislatore avrebbe introdotto nel nostro ordinamento, con tale strumento, un’azione di adempimento simile a quella prevista nell’ordinamento tedesco, che consente di agire in giudizio per ottenere la condanna dell’amministrazione all’emanazione di un atto amministrativo.
Tale ricostruzione presuppone un concetto di reintegrazione in forma specifica del tutto diverso da quello affermatosi in sede civilistica sulla base dell’art. 2058 c.c., dove il risarcimento in forma specifica consiste nella diretta rimozione delle conseguenze derivanti dall’evento lesivo tramite la produzione di una situazione materiale corrispondente a quella che si sarebbe realizzata se non fosse intervenuto il fatto illecito produttivo del danno.
Nell’ottica civilistica la reintegrazione in forma specifica rimane, quindi, un rimedio risarcitorio, (riparatorio secondo alcuni), ossia una forma di reintegrazione dell’interesse del danneggiato mediante una prestazione diversa e succedanea rispetto al contenuto del rapporto obbligatorio e non va confusa né con l’azione di adempimento (diretta ad ottenere la condanna del debitore all’adempimento dell’obbligazione), né con il diverso rimedio dell’esecuzione in forma specifica quale strumento per l’attuazione coercitiva del diritto e non mezzo di rimozione diretta delle conseguenze pregiudizievoli.
La giurisprudenza maggioritaria e, in particolare questa Sezione, si è espressa in favore della tesi c.d. civilistica, escludendo che con il menzionato istituto sia stata introdotta nel processo amministrativo una azione di adempimento (Cons. Stato, sez. VI, 18 giugno 2002, n. 3338; sez. VI, 3 aprile 2003, n. 1716; VI, 23 ottobre 2007 n. 5562).
Del resto, il legislatore ha chiaramente inserito l’inciso “anche attraverso la reintegrazione in forma specifica” all’interno della disposizione che prevede che il giudice amministrativo dispone il risarcimento del danno ingiusto, con la conseguenza che contrasta con il dato letterale ogni interpretazione che pone l’istituto al di fuori di una alternativa risarcitoria.
Peraltro, quando il legislatore ha voluto configurare la possibilità da parte del giudice amministrativo di ordinare un facere all’amministrazione, lo ha fatto espressamente come nell’ipotesi di cui all’art. 25 della legge n. 241/90 (“…il giudice amministrativo, sussistendone i presupposti, ordina l’esibizione dei documenti richiesti …”).
L’adozione da parte dell’amministrazione di un determinato atto amministrativo attiene più ai profili di adempimento e di esecuzione che non a quelli risarcitori: in presenza di un illegittimo diniego e di accertata spettanza del provvedimento amministrativo richiesto, il rilascio del provvedimento non costituisce una misura risarcitoria, ma costituisce la doverosa esecuzione di un obbligo che grava sull’amministrazione, salvi gli eventuali danni causati al privato.
Riportare anche tale fase nell’ambito della reintegrazione e quindi della tutela risarcitoria significa estendere a tale fase anche tutti i limiti di tale tutela, che sono più rigorosi rispetto ai limiti previsti per l’esecuzione. Infatti, mentre la reintegrazione in forma specifica richiede una verifica in termini di onerosità ai sensi dell’art. 2058, comma 2, c.c., tale verifica non è richiesta in relazione alle forme di esecuzione in forma specifica della prestazione originariamente dovuta, per le quali può rilevare la sola sopravvenuta impossibilità.
Ricomprendere nell’ambito della reintegrazione in forma specifica anche una sorta di azione di adempimento comporta l’ingiustificata subordinazione ai limiti dell’istituto di una fase che si pone in un momento anteriore rispetto al risarcimento.
Intesa in tal modo (definito “civilistico”), la reintegrazione in forma specifica trova applicazione nel diritto amministrativo in caso di interessi di tipo oppositivo (es. ripristino del bene illegittimamente sottratto al privato e trasformato dalla P.a.; consegna di cosa uguale a quella illegittimamente distrutta; riparazione materiale dei danni cagionati ad es. in caso di illegittima demolizione di un bene).
In presenza di interessi pretensivi, invece, non è possibile pensare ad una reintegrazione in forma specifica perché il silenzio, il ritardo o l’illegittimo diniego incidono sempre su una situazione che era e rimane insoddisfatta, per cui non vi è nulla che possa essere reintegrato; in relazione a tali interessi, la questione attiene al diverso istituto della esecuzione in forma specifica di una eventuale pronuncia di annullamento dell’atto negativo.
Applicando detti principi al caso di specie, si ricava l’inammissibilità della domanda con cui la ricorrente ha chiesto la condanna dell’amministrazione all’assegnazione della rete o delle frequenze.
Il facere richiesto consiste inevitabilmente nell’adozione di provvedimenti amministrativi e ciò è condiviso dalla stessa appellante, che, infatti, si è difesa dall’eccezione di omessa evocazione in giudizio dei controinteressati, sostenendo che questi avrebbero in seguito potuto impugnare i provvedimenti necessariamente adottati dalla p.a. in esecuzione della condanna richiesta. E’, quindi, la stessa appellante che postula che la soddisfazione della sua pretesa debba avvenire mediante l’adozione di provvedimenti dell’amministrazione, il cui rilascio costituisce l’oggetto dell’esperita azione di condanna.
Una tale azione di condanna – si ripete – non è prevista nel processo amministrativo, dove, a fronte della mancata attribuzione di un bene della vita da parte dell’amministrazione (nel caso di specie, le frequenze), la corretta modalità di agire a tutela della propria posizione è quella di chiedere, ed in caso diffidare l’amministrazione all’adozione degli atti necessari a far conseguire il bene e poi agire contro l’eventuale inerzia o il provvedimento negativo adottato.
Tali considerazioni sono valide anche in relazione alla seconda prospettazione della prima domanda proposta da Europa 7, avente ad oggetto la condanna della p.a. ad assegnare se non proprio la rete di cui all’art. 1 della concessione, quanto meno canali idonei a raggiungere la copertura richiesta.
Secondo Europa 7 si tratterebbe di una prestazione analoga, sostitutiva di quella originaria posta a carico dell’amministrazione e che potrebbe formare oggetto di una domanda di reintegrazione in forma specifica; al contrario, si osserva che anche tale pretesa richiede l’adozione di provvedimenti amministrativi, il cui rilascio non può – per quanto già detto – costituire l’oggetto di una azione di condanna, ma può essere ottenuto contestando l’inerzia o il diniego opposto dall’amministrazione.
La necessità dell’adozione di provvedimenti amministrativi, di natura autoritativa, per soddisfare la pretesa del privato conduce alla ulteriore considerazione, correttamente sviluppata dal Tar, secondo cui la posizione della ricorrente deve essere qualificata in termini di interesse legittimo pretensivo, e non di diritto soggettivo.
In materia di telecomunicazioni, la posizione del privato diretta ad ottenere l’attribuzione di frequenze si contrappone al potere pubblicistico della p.a. di governo dell’etere, rispetto al quale la suddetta posizione ha natura, non di diritto soggettivo, ma di interesse legittimo (v., anche se con riferimento a diversa fattispecie, Cass. civ. , sez. un., 1 giugno 1993 n. 6062).
Del resto, anche la Corte Costituzionale ha affermato che a fronte di poteri di assegnazione delle frequenze e di disattivazione, la posizione soggettiva del privato non può che essere di interesse legittimo al loro corretto esercizio, e perciò essa è tutelabile, nel vigente ordinamento, solo innanzi al giudice amministrativo (Corte Cost., 2 marzo 1990 n. 102).
Tali considerazioni non mutano in virtù del fatto che ad Europa 7 era già stata rilasciata la concessione con d.m. 28 luglio 1999.
E’ discussa tra le parti la natura di tale provvedimento di concessione; secondo il Tar se l’oggetto della concessione consiste nell’attribuzione di determinate frequenze, allora la mancata assegnazione delle stesse costituisce un vizio del provvedimento ampliativo, che non può non comportarne l’illegittimità per violazione della vigente disciplina.
L’Avvocatura dello Stato ha, invece, sostenuto che si tratterebbe di un atto di mera formalizzazione degli esiti di una graduatoria di soggetti che avrebbero avuto titolo al rilascio di una concessione con contestuale assegnazione di frequenze e che, di conseguenza, il potere autoritativo non era stato ancora consumato potendo la fattispecie essere inquadrata nella categoria degli atti a formazione progressiva. Viene, inoltre, eccepita la decadenza derivante dalla mancata impugnazione da parte di Europa 7 del provvedimento concessorio rilasciato in suo favore senza l’attribuzione delle frequenze.
Al riguardo, si osserva che con il decreto del 28 luglio 1999 il Ministero ha concesso ad Europa 7 l’installazione e l’esercizio di una rete d’impianti di radiodiffusione televisiva a copertura nazionale tra quelle individuate nelle deliberazioni dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni concernenti “Piano nazionale d’assegnazione delle frequenze per la radiodiffusione televisiva” precisando che la rete d’impianti di radiodiffusione è costituita da impianti ubicati nei siti individuati dal Piano nazionale d’assegnazione delle frequenze, utilizzante un raggruppamento di tre canali di cui uno del gruppo A, uno del gruppo B ed uno del gruppo C, tra i 17 canali generici allocati in ciascun sito, con i quali la concessionaria deve assicurare la copertura di almeno l’ottanta per cento del territorio nazionale e di tutti i capoluoghi di provincia (art. 1, co. 1).
Tuttavia, con il decreto non sono stati individuati, e quindi non sono stati assegnati, né i siti degli impianti né le frequenze, ma è stato previsto che “l’adeguamento degli impianti alle prescrizioni del piano d’assegnazione dovrà avvenire, secondo il programma d’adeguamento stabilito dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni d’intesa con il Ministero delle comunicazioni, entro il termine di 24 mesi decorrenti dalla data di comunicazione del presente provvedimento. Il suddetto termine potrà essere prorogato di dodici mesi ove sussistano impedimenti di carattere oggettivo che dovranno essere valutati dal Ministero delle comunicazioni, d’intesa con l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni” (art. 1, co. 2).
Nelle ulteriori parti del decreto l’atto viene espressamente qualificato come concessione ed Europa 7 individuata come concessionaria.
Non vi è, quindi, dubbio che il rilascio della concessione era già avvenuto e non era stato rinviato ad un momento successivo, come sostenuto dall’Avvocatura.
Tuttavia, il rilascio della concessione non è stato accompagnato dall’attribuzione delle frequenze e lo stesso decreto rinviava tale adempimento ad una ulteriore fase, dipendente da successiva attività dell’amministrazione (programma di adeguamento degli impianti alle prescrizioni del piano nazionale d’assegnazione delle frequenze), cui sarebbero seguiti adempimenti a carico della concessionaria (adeguamento degli impianti da effettuare entro il termine di 24 mesi).
Dovendosi escludere che la mancata immediata attribuzione delle frequenze costituisca motivo di nullità dell’atto, dalla mancata impugnazione di tale atto non può derivare alla ricorrente alcuna preclusione rispetto alla presente azione, in quanto Europa 7 avrebbe al massimo potuto contestare, attraverso il ricorso avverso la concessione in parte qua, la mancata contestuale attribuzione delle frequenze, ma ben poteva, come ha fatto, limitarsi ad agire per l’esecuzione del decreto emesso in suo favore attraverso la richiesta dei successivi adempimenti che l’amministrazione doveva porre in essere.
Del resto, non è ragionevole ritenere che la mancata impugnazione di un provvedimento favorevole possa comportare limitazioni alla tutela della parte, che quel provvedimento intende far valere.
L’inquadramento della fattispecie nella categoria degli atti a formazione progressiva rendeva necessario lo svolgimento di ulteriore attività amministrativa per soddisfare la pretesa dell’appellante e ciò conferma che la posizione di quest’ultima deve essere qualificata di interesse legittimo pretensivo allo svolgimento di tale attività.
La strada corretta per far valere tale posizione non è, quindi, quella di una (inammissibile) azione di condanna al rilascio delle frequenze previo svolgimento di tale attività e rilascio dei necessari provvedimenti, ma quella, percorsa in altro ricorso, della richiesta all’amministrazione di porre in essere ogni adempimento necessario all’attribuzione delle frequenze e di reagire contro l’eventuale inerzia o diniego espresso.
Centro Europa 7 nell’ambito del giudizio di cui al n. 1298/05 (R.G. in appello) ha in effetti agito avverso il diniego del 22 dicembre 1999 opposto dall’amministrazione rispetto alla sua richiesta di indicazione degli impianti ed attribuzione delle frequenze.
Tale azione si pone in evidente rapporto di alternatività con la domanda di condanna avanzata nel presente giudizio: nel ricorso n. 1298/05 viene seguita la via (amministrativa) della diffida dell’amministrazione a porre in essere le attività (anche provvedimentali) necessarie per l’indicazione degli impianti e l’assegnazione delle frequenze; nel presente giudizio viene proposta una sostanziale azione di adempimento in relazione alla medesima pretesa.
Il rapporto di alternatività tra le due azioni dimostra come non vi sia alcuna contraddittorietà tra la sentenza del Tar n. 9325/04 di accoglimento del ricorso di Europa 7 e quella qui impugnata, con cui la domanda di condanna della p.a. ad un facere è stata dichiarata inammissibile.
Dalle precedenti considerazioni circa la natura della pretesa azionata ed il contenuto della concessione del luglio del 1999 deriva che la strada corretta è quella del ricorso n. 1298/05, e non la domanda di condanna della p.a. ad un facere proposta nel presente giudizio.
L’inammissibilità di tale domanda non ha alcun effetto sull’azione alternativa proposta nell’altro giudizio e peraltro accolta dal Tar con sentenza, confermata in data odierna da questo medesimo Collegio.
Né ai fini della presente declaratoria di inammissibilità assume rilievo la sentenza della Corte di Giustizia del 31 gennaio 2008, resa in relazione ad una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta da questa Sezione nel presente giudizio.
Sotto un primo profilo, la questione pregiudiziale è stata, infatti, espressamente posta con esclusivo riferimento alla domanda di risarcimento per equivalente, che sarà di seguito esaminata, avendo la Sezione ritenuto che quest’ultima era la sola domanda conoscibile.
L’inammissibilità dell’azione di condanna ad un facere è stata ora confermata, seppur senza necessità di esaminare le conseguenze della mancata evocazione in giudizio dei titolari delle c.d. reti eccedenti e, in sede di esame della domanda di risarcimento per equivalente, è possibile dare piena attuazione ai principi affermati dalla Corte di Giustizia.
Sotto altro aspetto, in sede di esecuzione della pronuncia avente ad oggetto l’annullamento del menzionato diniego del 22 dicembre 1999 l’amministrazione dovrà dare attuazione ai principi affermati dalla Corte di Giustizia, come meglio illustrato nella decisione in data odierna di questo Collegio, avente ad oggetto il ricorso n. 1298/05.
3. Si deve ora passare ad esaminare la domanda di risarcimento per equivalente, proposta da Centro Europa 7 con riferimento ai danni ingiusti subiti e subendi per la mancata, tempestiva, assegnazione di una rete o di canali (frequenze) comunque idonei a garantire la suddetta copertura.
La stessa Europa 7 ha prospettato e quantificato in modo diverso la domanda a seconda che si proceda all’assegnazione delle frequenze o che tale assegnazione non avvenga, dovendo nel primo caso il risarcimento essere limitato al lucro cessante relativo agli anni in cui la ricorrente non ha potuto operare e nel secondo caso all’itero valore dell’azienda, ritenuto corrispondente a circa 3,5 miliardi di euro.
Con le ultime memorie Centro Europa 7 ha confermato che il suo principale interesse è quello all’ottenimento delle frequenze e che la domanda di risarcimento per equivalente è stata proposta in estremo subordine e prevedendo le due alternative già indicate.
Il danno è stato quantificato nella somma di euro 2.169.144.602 in ipotesi di attribuzione, benché tardiva, delle frequenze e nella maggiore somma di euro 3.500.000.000,00 in caso di accertata impossibilità di assegnazione delle frequenze.
La stessa prospettazione dell’appellante individua la questione dell’assegnazione delle frequenze come prioritaria rispetto al risarcimento per equivalente.
Al riguardo, è già stato evidenziato come l’inammissibilità della prima domanda proposta nel presente giudizio non pregiudica la pretesa della ricorrente, sempre tendente all’assegnazione delle frequenze, oggetto del ricorso n. 1298/05.
Avendo questo Collegio in data odierna confermato la decisione di accoglimento del ricorso proposto da Centro Europa 7 avverso il diniego opposto dall’amministrazione alla sua richiesta di attribuzione di impianti e frequenze, è evidente che l’amministrazione dovrà ora dare esecuzione a tale decisione e che solo all’esito di tale fase potrà essere risolto il problema dell’assegnazione delle frequenze.
Allo stato non è possibile esaminare la domanda risarcitoria, risultando prioritaria la verifica delle modalità di esecuzione da parte dell’amministrazione della decisione assunta da questa Sezione in data odierna in relazione al ricorso n. 1298/05.
Al fine di decidere la domanda risarcitoria, si deve acquisire dal competente Ministero la seguente documentazione in sette copie:
a) una relazione contenente l’indicazione dell’attività svolta in esecuzione della decisione pronunciata in data odierna da questa Sezione in relazione al ricorso n. 1298/05, allegando copia di tutti i provvedimenti emessi e degli atti del procedimento;
b) una relazione con indicazioni delle ragioni per le quali non sono stati fino ad oggi posti in essere atti di esecuzione della sentenza del Tar del Lazio n. 9325/2004, non sospesa e peraltro non impugnata dal Ministero, con indicazioni degli elementi ritenuti ostativi all’esecuzione della pronuncia dal 2004 ad oggi e con allegazione delle istanze pervenute dalla ricorrente o da altri soggetti all’amministrazione, aventi ad oggetto la questione dell’assegnazione delle frequenze;
c) una relazione contenente l’indicazione delle frequenze resesi disponibili dal 2000 ad oggi e di quelle attualmente disponibili anche in ordine alla copertura che consentirebbero (o avrebbero consentito) e delle modalità di assegnazione o acquisizione delle stesse da parte degli operatori del settore, con illustrazione delle ragioni per le quali non sono state attribuite ad Europa 7 e dello stato della procedura indetta nel 2007, anche con riferimento alla possibilità, o meno, di partecipazione di Europa 7;
d) ulteriore relazione, con allegazione di ogni provvedimento adottato e indicazione dello stato del contenzioso pendente, in relazione alla questione della scadenza della concessione del 28 luglio 1999, rilasciata ad Europa 7 e delle istanze da questa presentate, allegando copia dei relativi provvedimenti, fornendo informazioni anche con riferimento a quanto avvenuto alla scadenza dei provvedimenti concessori degli altri operatori nazionali del settore;
e) ogni ulteriore elemento o atto, anche sopravvenuto, utile ai fini del decidere.
Deve essere richiesto anche all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, che è parte del giudizio e nei cui confronti anche è stata proposta la domanda risarcitoria di produrre, sempre in sette copie, una unica relazione, contenente le informazioni di cui ai punti precedenti in possesso dell’Autorità o dipendenti da sua attività, precisando le ragioni della mancata adozione del programma di adeguamento al piano nazionale delle frequenze, previsto nella concessione rilasciata ad Europa 7.
Deve, infine, essere richiesto a Centro Europa 7 di produrre, in sette copie:
1) copia dei bilanci della società e delle relative relazioni e note aggiuntive dal 1999 ad oggi;
2) copia delle richieste relative all’attribuzioni delle frequenze presentate dal 2000 ad oggi e dell’attività posta in essere per l’esecuzione della sentenza del Tar del Lazio n. 9325/2004;
3) una relazione contenente le ragioni della mancata partecipazione alla gara del 2007 per l’assegnazione delle frequenze;
4) una relazione contenente la descrizione dell’attività imprenditoriale svolta dal 1999 ad oggi, degli investimenti effettuati anno per anno e delle modalità di utilizzo delle strutture della società;
5) copia di ogni atto inerente la questione della scadenza della concessione e le iniziative, anche giurisdizionali, in corso e del loro stato.
Ogni decisione sulla domanda di risarcimento per equivalente, sulle eccezioni proposte dalle parti e sulle spese del giudizio è riservata all’esito della disposta istruttoria.
4. In conclusione, non definitivamente pronunciando, deve essere respinto il ricorso in appello limitatamente alla declaratoria di inammissibilità, pronunciata dal Tar e qui confermata seppur con diversa motivazione, della domanda di condanna delle amministrazioni ad assegnare alla ricorrente una rete di impianti o comunque frequenze idonee a farle raggiungere la copertura di almeno l’80 % del territorio nazionale e di tutti i capoluoghi di provincia.
In relazione alla domanda di risarcimento per equivalente viene invece disposta l’istruttoria di cui al punto precedente con riserva di ogni decisione.
P. Q. M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, non definitivamente pronunciando, in parte respinge il ricorso in appello con riferimento alla prima domanda proposta da Centro Europa 7 e in relazione alla domanda di risarcimento del danno per equivalente, riservata ogni ulteriore decisione, ordina al Ministero, all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e all’appellante di depositare, in sette copie, presso la segreteria di questa Sezione, entro il termine del 15 ottobre 2008, quanto indicato in parte motiva.
Fissa la data del 16 dicembre 2008 per la successiva udienza di trattazione del ricorso.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 6 maggio 2008 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sez.VI -, riunito in Camera di Consiglio, con l’intervento dei Signori:
Giovanni Ruoppolo Presidente
Paolo Buonvino Consigliere
Domenico Cafini Consigliere
Roberto Chieppa Consigliere Est.
Manfredo Atzeni Consigliere
Presidente
Giovanni Ruoppolo
Consigliere per il Segretario
Roberto Chieppa Maria Rita Oliva
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il…31/5/2008.
(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)
Il Direttore della Sezione
Maria Rita Oliva
CONSIGLIO DI STATO
In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta)
Addì……………………………..copia conforme alla presente è stata trasmessa
al Ministero………………………………………………………………………………….
a norma dell’art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642
Il Direttore della Segreteria