In attesa del pronunciamento del supremo organo di G.A. esaminamo le pretese di Di Stefano e la difesa dell’Avvocatura dello Stato.
Si è svolta lo scorso 6 maggio l’udienza conclusiva presso il Consiglio di Stato sul caso di Europa 7, l’emittente che pur destinataria di una concessione per la trasmissione di programmi tv in tecnica analogica rilasciata nel 1999 non ha potuto (o meglio, voluto) trasmettere, a suo dire, per mancanza di frequenze (in realtà per libera scelta imprenditoriale, posto che l’ordinamento consentiva l’acquisizione, attraverso negozi di diritto privato, di impianti da altri soggetti). La sentenza è attesa prima dell’estate. Immutate le posizioni delle parti: Francesco Di Stefano, proprietario dell’emittente virtuale chiede anche il risarcimento dei danni per oltre 2 miliardi di euro con l’assegnazione delle frequenze e 3 miliardi in caso contrario. A pronunciarsi sull’appello presentato da Europa 7 contro la sentenza di primo grado del TAR Lazio del 2003 sarà la sesta sezione del Consiglio di Stato, presieduta da Giovanni Ruoppolo, che nel 2005 si era rivolta alla Corte di Giustizia europea, ponendo dieci quesiti interpretativi. Il 31 gennaio scorso la Corte aveva giudicato contrario al diritto comunitario il sistema italiano di distribuzione delle frequenze, sicché il procedimento giudiziale sospeso aveva ripreso il suo corso. Nell’udienza dei giorni scorso l’Avvocatura generale dello Stato ha sostenuto che Europa 7 è priva di qualsiasi titolo che la legittima ad operare (la concessione ha perso di validità per decorso temporale e per mancato avvio delle trasmissioni in tecnica digitale) e perciò non potrebbe rivendicare alcun danno. Analoghe le valutazioni dei legali di Mediaset, controinteressata di Europa 7 nel giudizio, in quanto in discussione sullo sfondo del processo vi è l’abilitazione alla prosecuzione dell’attività sulle frequenze terrestri rilasciata a Retequattro (le sue frequenze, per Di Stefano, dovrebbero costituire la rete di Europa 7). Per l’avvocato dello Stato Maurizio Di Carlo, la concessione del 1999 di Europa 7 era “una scatola vuota” e “si limitava ad autorizzare all’esercizio dell’attività”: dunque “non c’è alcun inadempimento da parte dell’amministrazione”. Di Carlo ha poi sottolineato l’inerzia di Europa 7, che “fino al 2005 non ha fatto niente in termini di acquisizioni di impianti o di avvio della trasmissione in digitale”, salvo chiedere nel 2005 il rinnovo e poi la proroga della concessione a cui il ministero ha risposto negativamente. La legge Gasparri, poi, non ha prorogato l’esistente bensì, in linea con le norme Ue, ha affidato la garanzia del pluralismo al digitale. Quanto alla sentenza della Corte Ue, per l’Avvocatura essa “dice soltanto che l’assegnazione delle frequenze deve avvenire in futuro con procedure trasparenti e non discriminatorie”. La tesi di Europa 7, ovviamente, è ben diversa. Secondo i legali di Europa 7, Ottavio Grandinetti, Alessandro Pace e Federico Sorrentino, l’emittente è “nel pieno della sua concessione” ed è “una perversione logica prima ancora che giuridica invocare contro il diritto una situazione di fatto viziata”, legata al succedersi di norme che hanno consolidato l’occupazione delle frequenze. La sentenza della Corte Ue, infine, ha “un effetto obbligatorio generale di disapplicazione” delle norme in vigore. Di Stefano commenta così la posizione dell’Avvocatura: “Oltre a non tener conto della sentenza della Corte Ue, di fatto difende Retequattro molto di più di quanto faccia la stessa memoria presentata da Mediaset”. (M.P. per NL)