Non pagare il canone RAI equivale a non pagare un’imposta, con tutte le conseguenze che tale condotta comporta: eppure, sapere quando il canone va pagato ora è ufficialmente impossibile e ai cittadini non resta che dimenarsi nei meandri della burocrazia.
L’Agenzia delle Entrate ha infatti risposto nelle scorse ore alla richiesta di ADUC (Associazione per Diritti degli Utenti Consumatori), affermando di non avere competenze a stabilire quali siano gli apparecchi “atti o adattabili” alla ricezione del segnale televisivo. Eppure sono proprio quelle caratteristiche, come noto, a definire i dispositivi che configurano il dovere di pagamento del Canone. Non fossero inviate alle famiglie italiane lettere di pagamento dal tono vagamente minaccioso, non vi fossero proposte di inserimento del canone nelle bollette ENEL, molti italiani probabilmente dimenticherebbero di pagarlo. La verità è che, come testimonia l’inchiesta che ADUC sta ormai portando avanti da molto tempo, il canone RAI è una imposta di cui nessun organismo istituzionale vuole assumersi la responsabilità. Basta pensare che l’Agenzia delle Entrate, al termine della sua lettera di risposta ad ADUC, spiega di non essere competente a decidere e chiede all’Associazione di rivolgersi al Ministero delle Comunicazioni, il quale, in verità, non ha saputo rispondere ad ADUC su questo punto. Nel frattempo, la questione si è fatta ancora più urgente, visto che il canone viene esplicitamente richiesto anche solo per il possesso di un computer. Nel suo Parere trasmesso ad ADUC, l’Agenzia delle Entrate ricorda come la Corte Costituzionale (sentenza 26 giugno 2002, n. 284) abbia già affermato che la “natura di imposta” del canone fa sì che si “esclude ogni nesso di necessaria corrispettività in concreto tra obbligo tributario e fruizione effettiva del servizio pubblico”. Nella stessa sentenza la Consulta afferma che non c’è distinzione “tra chi riceva le trasmissioni televisive attraverso la normale televisione e chi eventualmente le riceva con altri mezzi o non le riceva affatto”. Il presupposto dell’imposta, secondo la Corte Costituzionale, è appunto il possesso degli apparecchi “ed è questione di mera interpretazione della legge stabilire quali siano tali apparecchi”. Inoltre, arriva a dire la Corte con quella sentenza, “la scelta legislativa discrezionale di fondare l’imposizione (genericamente) sulla detenzione di apparecchi atti o adattabili alla ricezione di trasmissioni radiotelevisive non appare irragionevole”. Dunque – spiega l’Agenzia ad ADUC – la Corte già nel 2002 avallava integralmente il contesto in cui il Canone RAI ancora oggi viene riscosso ma rimandava alla “interpretazione” della legge la determinazione degli apparecchi da considerare. Materia che, appunto, l’Agenzia delle Entrate si dichiara non competente a determinare. Nell’attesa che dal Ministero gli uffici comunichino agli italiani, anche a quelli che oggi la pagano senza doverlo, se, quando e come l’imposta sia dovuta, ADUC fa sapere di voler intraprendere nuove iniziative. Dopo le numerose porte sbarrate in cui è imbattuta in questi anni, l’Associazione sta pianificando un ricorso presso le competenti sedi europee. “Durante il 2007 – afferma l’ADUC – abbiamo presentato ben quattro interrogazioni ai due ministeri, interrogazioni che da oltre un anno giacciono ignorate in Parlamento. Nell’ottobre del 2007 abbiamo quindi chiesto formalmente alla Rai di elencare per quali apparecchi fosse dovuto il canone, tramite una messa in mora. La Rai, con lettera ordinaria, ci ha comunicato di non poter rispondere e che avrebbe girato il quesito all’Agenzia delle Entrate. Dopo alcuni mesi, vista l’assenza di qualsiasi risposta, abbiamo inoltrato un interpello all’Agenzia delle Entrate, che oggi ci risponde dicendoci di rivolgerci al ministero delle Comunicazioni, il quale si è già rifiutato di rispondere”. Tradizionale “scarica-barile” all’italiana. (M.P. per NL)