Nata dalle ceneri di Telemilano 58, l’emittente di Berlusconi è stato il primo fenomeno televisivo privato ad assumere rilevanza nazionale. Cambiando per sempre la tv.
Ventott’anni fa era il 1980, e tante cose erano diverse. L’Italia era diversa, dopo gli anni di piombo iniziavano i “fantastici anni ottanta”; in politica, scampato il compromesso storico, la Democrazia Cristiana faceva ancora man bassa; la società era diversa, cresciuta durante il boom economico, con addosso ancora le ferite del sessantotto e dei suoi postumi violenti, si cibava di pane e televisione. Ma allora la televisione, in Italia, era la Rai, con la sua compostezza, con i suoi valori portanti, con i suoi telequiz che lasciavano incollati davanti ai teleschermi sempre più milioni di italiani. Era, allora come oggi, in mano ai partiti, lottizzata, tirata per i capelli da Dc, Psi e Pci, ma era comunque lo specchio della società italiana d’allora. Il 30 settembre successe qualcosa che, però, era nell’aria da tempo. La famosa sentenza della Corte Costituzionale del luglio 1974 che liberava l’emittenza radiotelevisiva dal monopolio stringente che la caratterizzava, aveva liberalizzato la trasmissione televisiva via cavo. Erano nate tante emittenti, tanti editori avevano deciso d’investire in prodotti televisivi, da Rusconi a Mondadori. E c’era Telemilanocavo, di Giacomo Properzi, che trasmetteva dalla nuovo città creata dall’allora imprenditore edile Silvio Berlusconi, Milano 2. Telemilanocavo divenne Telemilano, poi Telemilano 58, passò interamente nelle mani di Berlusconi, iniziò a pensare in grande. Complici gli appoggi politici di cui godeva. Assoldato il primo volto di grido, probabilmente il più famoso di tutti, Mike Bongiorno, iniziò le trasmissioni in Lombardia ed il 30 settembre dell’80 divenne Canale 5. Fuse al suo interno alcune emittenti private e locali del nord Italia, iniziò a trasmettere su scala nazionale, e prese ad assumere sempre più volti di grido della Rai. Nei primi anni i punti di forza furono gli eventi sportivi, spesse volte stranieri, ed i film, che la rai trasmetteva col contagocce. Berlusconi, allora, contravvenendo alla legge che vietava a qualunque editore tv di possedere più d’un’emittente nazionale, eliminò di colpo una buona fetta di concorrenza acquistando Rete 4 da Mondadori ed Italia 1 da Rusconi.
Oltre ad una trasformazione del mercato televisivo, il gruppo Fininvest, prima con Canale 5 e poi anche con le altre due emittenti, hanno operato, dalla metà degli anni ottanta sino ai giorni nostri una serie di trasformazioni sul piano socio-culturale, in Italia, equiparabili ad una rivoluzione dei costumi. I gusti, le voglie, gli interessi, gli argomenti nei discorsi degli italiani sono cambiati, le aspirazioni (con una crescente voglia/necessità d’apparire, meglio se in televisione) dei giovani, il modo di scandire le giornate, la vita pubblica e politica. Programmi-evento hanno segnato intere generazioni e le hanno mutate, plasmate, come in passato, negli anni sessanta, era accaduto con i programmi Rai. Ma questa volta in modo ancora più marcato, dato che la televisione, negli anni ottanta, era presente nelle case di tutti gli italiani. Da Drive In a Non è la Rai (primo programma in diretta dopo i benefici introdotti per l’emittenza privata dalla Legge Mammì del 1990), da Striscia la Notizia ai quiz, alle fiction made in Italy (vedi Casa Vianello), dai programmi sportivi ai telegiornali (che dalla Legge Mammì in poi hanno iniziato ad apparire anche sulle reti Fininvest, divenute in seguito Mediaset), il cambiamento dei costumi è stato radicale, prorompente. Finchè nel 1994 il fautore di tutto questo, Silvio Berlusconi, ha deciso d’intervenire direttamente laddove le sue creature operavano già a livello subconscio: nella vita pubblica italiana. La decisione di “scendere in campo” portò il magnate di Arcore ad utilizzare, direttamente od indirettamente, anche gli strumenti a sua disposizione (tv in primis), nel corso delle campagne elettorali. Il cambiamento socio-politico divenne ancor più radicale. Il resto è storia dei giorni nostri, è storia del nostro paese e del nostro costume, è storia di un paese che vive in uno stato anomalo e per certi versi unico. È storia di un paese che cambia, anche con alla televisione. (G.M. per NL)