CAMERA DEI DEPUTATI
Commissioni VII e IX Cultura, Scienza e Istruzione Trasporti, Poste e Telecomunicazioni
Roma, 7 febbraio 2007
Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni
Audizione del Presidente Corrado Calabrò su Disegno di legge recante
“Disposizioni per la disciplina del settore televisivo nella fase di transizione alla tecnologia digitale”
Signor Presidente, Onorevoli Parlamentari, ringrazio per aver dato all’Autorità per le
garanzie nelle comunicazioni l’opportunità di fornire il proprio contributo di analisi e
valutazioni alla vostra riflessione sulla disciplina del settore televisivo, specie in una fase
così importante come quella del passaggio alla tecnologia digitale.
Più che valutazioni, sottoporrò a codeste Commissioni elementi di valutazione.
In questo spirito ho ritenuto di fornire un certo numero di dati e di indicazioni, anche
analitiche, che peraltro ridurrò drasticamente nella mia esposizione orale, lasciandoli, per
vostra comodità di consultazione, alla relazione scritta.
I. Premessa: l’opportunità di un intervento legislativo
Nella relazione al Parlamento del luglio scorso avevo avuto modo di rilevare che la
tecnologia digitale poteva offrire le premesse per un maggior pluralismo e per l’apertura del
mercato a nuovi soggetti, ma, che, date le caratteristiche del sistema radiotelevisivo italiano,
non poteva escludersi, in prospettiva, che anche nella nuova tecnologia potesse riproporsi la
configurazione di un mercato duopolistico ravvisata nell’analogico.
Quali regole devono valere per una transizione dal sistema analogico a quello digitale
che non precostituisca un’occupazione di campo quale si è verificata in passato?
Era questa la domanda che ponevo. Evidenziavo al riguardo nella mia relazione che
la riflessione non poteva essere fatta se non a livello politico e quindi in Parlamento,
trattandosi di una materia riservata al legislatore primario.
La risposta non si è fatta attendere ed è quindi con favore che saluto l’iniziativa
legislativa assunta dal Ministro Gentiloni.
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II. I principi di pluralismo e concorrenza nel sistema televisivo
Salvaguardia del pluralismo e tutela della concorrenza nel sistema televisivo sono gli
obiettivi da sempre affermati dalla Corte costituzionale.
Piaccia o no, la televisione è lo specchio in cui una società si riconosce. In certo
senso, addirittura, la TV certifica, per molti cittadini, la realtà. Paradossalmente, si rischia
che la verità reale diventi, rispetto a quella virtuale del mondo della TV, secondaria,
irrilevante, da pagine interne, secondo il gergo dei giornalisti dei quotidiani.
E’ in TV, dunque, che si misura il livello di democrazia di una società. Ed è in TV,
altresì, che si riscontra il livello di civiltà di un Paese.
Questo spiega l’attenzione che la Corte costituzionale ha dedicato all’assetto
televisivo fin dalle sue prime pronunzie (la prima sentenza della Corte sull’argomento – la n.
59/60 – risale al 1960).
Delle successive sentenze, la n. 226/74 liberalizzava l’esercizio di reti locali di
televisioni via cavo, sul presupposto della mancanza di un concreto rischio di situazioni di
monopolio od oligopolio nel settore grazie alla possibilità tecnica di realizzare un numero
illimitato di canali.
La mancata attivazione di questa sentenza da parte del legislatore ha contribuito a
determinare il primo dei difetti strutturali dell’evoluzione del sistema televisivo nazionale:
l’assenza per oltre trent’anni della televisione via cavo.
La Corte Costituzionale interveniva ancora con la sentenza n.202 del 1976, per
dichiarare l’illegittimità costituzionale della legge n.103 del 1975 nella parte in cui non
consentiva, previo un regime certo di autorizzazione statale, l’esercizio di impianti di
radiodiffusione sonora e televisiva via etere di portata non eccedente l’ambito locale.
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L’assenza, a tutt’oggi, di un regime autorizzatorio dotato di carattere di certezza ha
creato il secondo difetto strutturale del sistema televisivo.
Il possibile superamento del monopolio statale su scala nazionale veniva poi
prefigurato dalla sentenza n. 148 del 1981 e sancito, infine, con la sentenza n. 826 del 1988.
Tuttavia, la Corte subordinava tale superamento all’approvazione di un corpus organico di
regole e raccomandava la necessità di “realizzare un razionale e ordinato governo
dell’etere”, assicurando “il rispetto degli obblighi internazionali, il coordinamento e la
compatibilità reciproca”.
Va rilevato che invece in Italia – terzo difetto strutturale del settore -, si è assistito ad
un’occupazione di fatto delle frequenze, occupazione che i provvedimenti intervenuti a
posteriori si sono limitati a registrare, senza peraltro nemmeno darne comunicazione
all’International Telecommunication Union (ITU).
Solo nell’anno decorso il Ministero delle comunicazioni ha dato contezza all’ITU
della situazione italiana, riuscendo meritoriamente, con l’assistenza dei tecnici dell’Autorità,
a ottenere, nella Conferenza tenutasi a Ginevra dal 15 maggio al 16 giugno 2006, il
riconoscimento internazionale di 3.943 frequenze (rispetto alle circa 22.000 frequenze
attualmente utilizzate in Italia)1.
Con la sentenza n. 826 del 1988 la Corte sollecitava anche un intervento legislativo
in materia di efficaci limiti antitrust, un’adeguata regolamentazione della pubblicità e la
trasparenza dei bilanci delle imprese radiotelevisive.
L’assenza di certezza del diritto in materia antitrust e di tutela del pluralismo
rappresenta il quarto, e più importante, difetto strutturale del sistema.
1 Una parte di queste frequenze, peraltro, sono utilizzate solo in ambito locale e quindi potrebbero non presentare
criticità in ordine al loro coordinamento internazionale.
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Sulla base delle indicazioni fornite dalla Corte costituzionale, rispondendo alla
sentenza 420 del 1994, la legge n.249 del 1997 (cd. legge Maccanico) fissava nel 20 per
cento delle reti televisive analogiche su frequenze terrestri in ambito nazionale (sulla base
del piano delle frequenze) il limite per ogni soggetto, introducendo anche un tetto alla
raccolta di risorse economiche (30 percento)2. Veniva previsto, però, un regime transitorio
per le reti eccedenti il limite (una rete RAI e una rete Mediaset), che potevano continuare a
trasmettere sulle frequenze analogiche e, contemporaneamente, via satellite o via cavo, fino
“all’effettivo e congruo sviluppo dell’utenza dei programmi radiotelevisivi via satellite e
via cavo” (per la Rai si prevedeva, invece, l’istituzione di una rete senza pubblicità).
Con la sentenza n.466 del 20 novembre 2002 la Corte interveniva nuovamente in
materia, censurando l’assenza nella legge di un limite temporale al mantenimento delle reti
televisive considerate “eccedenti” dal legislatore. Tale termine veniva fissato al 31 dicembre
2003, peraltro con una subordinata: l’eventuale “diverso futuro assetto che potrebbe
derivare dallo sviluppo della tecnica di trasmissione digitale terrestre, con conseguente
aumento delle risorse tecniche disponibili”.
Dopo tale pronunzia un nuovo intervento legislativo non era più eludibile ed esso si
concretò nella legge n.112 del 2004 (cd. legge Gasparri), approvata dopo un iter legislativo
lungo e complesso, nel corso del quale intervenne anche il rinvio al Parlamento, da parte del
Presidente della Repubblica, relativamente ad alcuni aspetti della legge non in linea con la
giurisprudenza della Corte costituzionale.
Il filo conduttore delle leggi di riordino del sistema radiotelevisivo che ho appena
citato è stato, dunque, la ricerca della giusta combinazione tra la salvaguardia del
2 Le risorse economiche considerate erano le seguenti: il finanziamento del servizio pubblico, la pubblicità televisiva
nazionale e locale, le televendite e le sponsorizzazioni, le convenzioni con soggetti pubblici ed i ricavi da televisione a
pagamento.
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pluralismo, come garanzia della libertà di informare e di essere informati, e la tutela della
concorrenza, che contribuisce a realizzare -in un settore non più sottoposto a riserva statale-
l’inverarsi del pluralismo medesimo.
Lo stesso problema che voi oggi avete davanti.
III. Il quadro comunitario
La protezione del pluralismo informativo è uno dei principi fondamentali
dell’Unione Europea (art. 11, comma secondo, della Carta Europea dei diritti fondamentali)
ed, in forza di ciò, la giurisprudenza della Corte di Giustizia ha riconosciuto il diritto degli
Stati membri di mantenere una legislazione speciale in materia, più restrittiva del diritto
della concorrenza.
Inoltre, tra i mercati suscettibili di una regolamentazione ex ante da parte
dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni è compreso il cd. mercato n.18, cioè il
mercato dei servizi di diffusione radiotelevisiva per la trasmissione dei contenuti agli utenti
finali.
I principi cardine della disciplina comunitaria, dettati dalla “Direttiva quadro”
(n.2002/21/CE), sono basati su un’allocazione delle frequenze fondata su criteri obiettivi,
trasparenti, non discriminatori e proporzionati, sull’uso efficiente di tali risorse scarse, e
sulla circostanza che eventuali restrizioni nazionali devono essere oggettivamente
giustificate e proporzionali al conseguimento degli interessi generali dello Stato.
In sostanza, si può e si deve rispondere all’esigenza di consentire agli operatori in
tecnica analogica già in attività di effettuare il passaggio alla tecnica digitale, ma nella
misura in cui non si violino le regole della concorrenza e senza escludere, per questo,
l’ingresso di nuovi operatori. Ed a condizione, inoltre, che la durata del periodo di
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transizione (switch-over) sia ragionevole e venga anche regolamentata la restituzione delle
frequenze in tecnica analogica dopo la data dello spegnimento delle frequenze analogiche
(switch-off).
IV. L’attuale assetto del settore televisivo italiano: pluralismo e concorrenza
L’opportunità del nuovo intervento legislativo si basa sul presupposto fattuale che
l’attuale assetto del settore televisivo non sia idoneo a garantire un pieno rispetto dei
principi di pluralismo informativo e di tutela della concorrenza.
Ma la necessità di nuove norme di legge dipende anche dalla constatazione che
l’intervento ex post di tutela della concorrenza non è di per sé sufficiente a ripristinare
condizioni competitive soddisfacenti, a tutela del cittadino.
Su questo secondo aspetto codeste Commissioni hanno audito il 30 gennaio il
presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato.
Il problema potrebbe limitarsi ai profili concorrenziali illustrati dal presidente
dell’Antitrust se in Italia non ci fosse un problema di tutela del pluralismo determinato da
una situazione del tutto particolare.
E’, ad esempio, a tutela del pluralismo che l’Autorità ha fatto i suoi decisi interventi
nel corso delle recenti campagne elettorali.
Le ultime elezioni hanno dimostrato che, ai giorni nostri -come dicevo-, la partita
decisiva si gioca in televisione.
Fondamentale è quindi risultato l’intervento dell’Autorità nello sconsigliare,
reprimere, correggere, sanzionare un uso del mezzo televisivo lesivo dei principi del
pluralismo dell’informazione.
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Il pluralismo dell’informazione è un bene primario anche rispetto alla libertà
d’iniziativa economica.
Sotto questo aspetto, come ho rilevato in precedenza, la Presidenza della Repubblica,
la Corte Costituzionale e le due Autorità di vigilanza, l’AGCOM e l’Antitrust, hanno in
passato rimarcato in più occasioni l’esistenza di problemi strutturali che hanno impedito il
pieno dispiegarsi del gioco concorrenziale nel settore televisivo, con danno per il pluralismo
dell’informazione.
E’ indubbio che il mercato è in continuo movimento.
La televisione via cavo non ha avuto in Italia apprezzabile sviluppo, a differenza di
altri Paesi dove è molto diffusa se non addirittura prevalente (Germania, Stati Uniti).
Ciò si deve alla modestissima cablatura in fibra ottica del nostro Paese.
Peraltro l’introduzione della larga banda ad alta velocità (da 4 MB/s in su) consentirà
non solo la trasmissione veloce di dati ma anche la diffusione della televisione in tale
tecnica trasmissiva. La tecnologia Wi-Max – per la quale l’Autorità si appresta a dettare le
regole per l’assegnazione delle frequenze, dopo che finalmente il Ministero della difesa ne
ha messe a disposizione un certo numero – fornirà un importante sussidio alla diffusione
della larga banda.
La convergenza tra telecomunicazioni e audiovisivo sta cambiando gli scenari: il
desk del computer è per i giovani lo schermo per la fruizione tanto delle comunicazioni
personali, quanto di informazioni, di dati, di CD, di DVD, della televisione. Gli utenti
tendono a non essere più destinatari passivi bensì utilizzatori interattivi; si potrà scegliere
quello che si desidera vedere grazie alla nuova tecnologia, fruibile con spesa modesta.
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Per quanto riguarda le trasmissioni televisive mediante satellite, già nella mia
relazione del luglio scorso osservavo che si è ormai consolidato il ruolo di terzo operatore
televisivo della piattaforma satellitare gestita da Sky Italia, che ha ormai superato i 4 milioni
di abbonati, mentre l’audience complessiva di tale mezzo trasmissivo ha quasi raggiunto il
7%.
E’ quindi innegabile che la tecnologia incalza, che il settore sta attraversando in tutto
il mondo un momento di discontinuità e che la convergenza delle diverse piattaforme
trasmissive digitali tende a determinare in progress profondi mutamenti di contesto.
L’evoluzione tecnologica sta contribuendo a indurre a nuove modalità nell’offerta
televisiva, che diventa individualizzata, personalizzata, e consente varie opportunità al
mondo televisivo.
L’affermazione delle piattaforme digitali che sono in grado di trasportare un elevato
numero di canali televisivi ha aumentato in maniera considerevole le possibilità di scelta del
consumatore. Attualmente in Italia si contano oltre 200 canali disponibili. La TV on demand
sta conquistando un crescente gradimento e fornisce anche contenuti culturali apprezzabili.
Tuttavia, pur in questo contesto, a tutt’oggi la televisione tradizionale non sembra
perdere appeal e si conferma di gran lunga il principale mezzo di comunicazione: ogni
giorno in Italia l’85 per cento della popolazione guarda la televisione, ed i telespettatori
passano in media quasi quattro ore della loro giornata davanti all’apparecchio televisivo.
D’altra parte, la maggioranza dei nuovi canali offerti sulle piattaforme digitali è a
pagamento. Degli oltre 200 canali che prima citavo, almeno 150, ossia il 75%, è accessibile
solo a fronte del pagamento di un corrispettivo economico. Di conseguenza, l’allargamento
pluralistico delle possibilità di scelta avviene soprattutto per alcune categorie di famiglie,
quelle più abbienti.
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In secondo luogo, l’analisi di un indicatore più fine del pluralismo dell’informazione –
la concentrazione degli ascolti, che dipende non solo dalla numerosità di canali televisivi,
ma anche dalla loro accessibilità ed attrattività presso il pubblico- indica che l’Italia è
ancora indietro nelle garanzie dell’interesse pubblico. Infatti, se da un lato il nuovo processo
competitivo multi-piattaforma ha indubbiamente determinato negli ultimi anni, dal 2000 ad
oggi, una riduzione (di sette punti percentuali) negli ascolti complessivi dei due maggiori
gruppi televisivi, RAI e Mediaset, d’altro lato tale erosione è limitata se si guarda al resto
dell’Europa.
Infatti, sia il livello assoluto degli ascolti dei primi due operatori (pari ancora nel 2006
a circa l’84%)3, sia la loro diminuzione complessiva nell’ultimo quinquennio (nel 2000 tale
valore era circa pari al 91%), risultano essere assai insoddisfacenti rispetto a quelli dei Paesi
europei con strutture economiche simili. Nel 2005, l’audience complessivo dei primi due
operatori era pari a circa il 45% in Spagna, al 52% in Germania, al 54% nel Regno Unito e
al 72% in Francia.
Da un punto di vista concorrenziale, in Italia i mercati televisivi, in particolare la
raccolta pubblicitaria e l’offerta di contenuti televisivi a pagamento, sono caratterizzati da
una concentrazione elevata. E’ sotto gli occhi di tutti ed è stato riscontrato dalla Corte
costituzionale (sentenze n. 826 del 1988 e n. 466 del 2002), dall’Antitrust4 e da questa
Autorità (del. 151/05/CONS, 152/05/CONS e 150/05/CONS)5.
3 L’audience totale delle altre emittenti è pari al 16%: di questo il 6,8% è rappresentato dagli ascolti satellitari (con un
incremento del 9% rispetto all’anno precedente), il 3% dall’emittente La 7 ed il restante 6,2% dalle altre emittenti via
etere.
4 Cfr. Indagine conoscitiva sul settore televisivo, pubblicata con provvedimento n. 13770, del 16 novembre 2004, in
Bollettino 47/2004.
5 V. nota 9
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Nel 2005, nella raccolta pubblicitaria televisiva (mercato a due versanti) la quota dei
primi due gruppi, Mediaset (57%) e RAI (27%), è stata pari, considerando anche la
pubblicità locale, all’85% circa. Nella vendita di contenuti televisivi a pagamento (mercato
invece classico ad un solo versante), la sola Sky Italia deteneva il 95%; nel corso dell’ultimo
anno i ricavi degli abbonamenti di Sky hanno raggiunto e superato quelli del canone RAI6.
Complessivamente, la quota della presenza di RAI e Mediaset nel settore televisivo è
stata pari, nel 2005, rispettivamente al 37% e al 33%, mentre Sky Italia è arrivata a pesare
per il 21% dei ricavi totali del settore7. I ricavi (dai bilanci) ammontano a 7,9 miliardi di
euro, così ripartiti: 3 miliardi e 91 milioni per la RAI, 2 miliardi e 748 milioni per Mediaset
e 2 miliardi e 83 milioni per SKY. E’ in forte aumento la pubblicità sul web.
Anche in Europa i mercati televisivi sono caratterizzati da un elevato livello di
concentrazione, ma, come dicevo, con valori inferiori a quelli italiani (rinvio ai dati dello
scritto – testo lungo -).
Il deficit di concorrenza tra piattaforme del settore televisivo nazionale appare averne
finora frenato la crescita. Un confronto con Paesi europei simili, per struttura socioeconomica
ed anche per fatturato del “limitrofo” settore delle telecomunicazioni, indica che
esistono ancora grandi margini di sviluppo.
Passando a considerare l’insieme dei mezzi di comunicazione, si rileva come il peso
della pubblicità televisiva rispetto al totale della torta pubblicitaria sia in Italia
preponderante; esso è pari al 54% (mentre la carta stampata assorbe il 36%); laddove in
6 Ammontanti, nel 2005, a 1.483 milioni di euro.
7 Dati fonte Relazione Annuale dell’Autorità, 30 giugno 2006.
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Germania è del 26% (stampa al 61%); in Gran Bretagna è del 30% (stampa al 50%); in
Francia è del 31% (stampa al 46%); in Spagna è del 44% (stampa al 38%)8.
L’insieme di questi elementi impone dunque in Italia, ancor più che altrove, una
politica legislativa e regolamentare a tutela del pluralismo e della concorrenza, modulata in
modo da definire interventi mirati ed incisivi nella televisione, in particolare, come
vedremo, in quella digitale.
La scelta di uno strumento adeguato appare cruciale per il raggiungimento
dell’obiettivo d’interesse pubblico.
V. Il digitale terrestre
Il digitale è il ponte levatoio che consente d’uscire dal cortile del castello dei due
Signori della televisione analogica; un ponte che porta a tante strade, quante sono le
frequenze utilizzabili.
In Gran Bretagna la digitalizzazione è una realtà in corso di affermazione; in Francia
nel 2008 si avrà la digitalizzazione di gran parte del Paese, sia pure a macchie di leopardo.
Da noi la marcia d’avvicinamento al digitale è a due velocità: Mediaset e La 7, in
osservanza della legge vigente, procedono nella copertura del territorio con tecnica digitale.
La RAI procede molto più lentamente ed ha contestato e impugnato le delibere
dell’AGCOM che le imponevano l’inizio della conversione al digitale degli impianti
esistenti.
Questo non è accettabile. Non possiamo perdere il passo con i Paesi più progrediti
d’Europa; non possiamo perdere l’occasione straordinaria che la digitalizzazione offre per
8 Fonte World Advertising Trends 2006.
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l’evoluzione delle trasmissioni televisive e per il rilancio di iniziative tonificanti e
riequilibratici.
Non si può fare come nelle corse a cronometro a squadre, dove il tempo viene preso
sull’ultimo corridore. No, il progresso prende il tempo sul primo.
E’ stata qui giustamente ricordata, martedì scorso, dal Presidente dell’Antitrust, la
rapidità del passaggio – pur più costoso per gli utenti – dalla televisione in bianco e nero alla
televisione a colori. Il ritardo, derivato dall’opposizione politica all’adozione di una
tecnologia italiana di televisione a colori, ha peraltro fatto perdere per sempre quel treno
all’industria nazionale.
Sviluppo del digitale, pianificazione e riallocazione delle frequenze sono, dunque,
esigenze non rinviabili per lo sviluppo pluralistico del sistema radiotelevisivo, tenendo
comunque conto di un equo bilanciamento tra gli interessi dei nuovi entranti e le esigenze
delle imprese esistenti di salvaguardare l’avviamento aziendale e gli investimenti già
effettuati.
Anche la radio attraversa una fase di evoluzione tecnologica significativa. L’Autorità
ha indetto una consultazione pubblica (delibera 665/06/CONS) sull’evoluzione della
tecnologia e della regolamentazione di settore che sta riscuotendo grande interesse. Segnalo
l’utilità di una riflessione sull’opportunità che il disegno di legge si occupi anche della
radiofonia favorendone la transizione al digitale.
E’ sulla base di tale complessivo scenario di riferimento che vanno riguardati gli
obiettivi e le scansioni dello schema di disegno di legge in esame.
Ma prima è bene conoscere come in tale scenario s’inquadrino gli interventi di questa
Autorità.
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VI. Gli interventi dell’Autorità
Sulla base della legge n.112 – che consente di svolgere analisi sui singoli mercati
che compongono il SIC – l’Autorità, con la delibera 136/05/CONS del marzo 2005,
applicando parametri della concorrenza corroborati da indicatori specifici del pluralismo
quali gli indici di ascolto, ha accertato una forte concentrazione di risorse tecniche,
economiche e di audience in capo ai due operatori storici, tale da configurare una posizione
lesiva del pluralismo.
In seguito a tale accertamento l’Autorità ha adottato un “pacchetto” di misure
finalizzate da un lato ad accelerare la transizione fra la tecnologia analogica e la tecnologia
digitale, dall’altro a dettare norme comportamentali e strutturali nel mercato della pubblicità
(tra queste si ricorda la riduzione del tetto orario dal 18 al 12 per cento per le trasmissioni
digitali terrestri di Mediaset non diffuse in simulcast e la separazione contabile e poi
strutturale della concessionaria di raccolta della pubblicità su reti digitali terrestri)9.
Peraltro, nella relazione al Parlamento del luglio scorso davo atto che gli operatori
storici del mercato – RAI e Mediaset – detengono ancora la stragrande parte degli ascolti e
che l’Autorità ha ravvisato, nel mercato delle reti televisive analogiche terrestri (mercato
18), una posizione di dominanza congiunta.
Diversamente, nel mercato delle reti digitali terrestri, in considerazione della fase
sperimentale e di un certo dinamismo che ha portato ad una fluttuazione delle quote di
mercato e visto che il 40 percento delle suddette reti deve essere aperto all’accesso di
fornitori di contenuti indipendenti, non si è desunta – allo stato attuale – una posizione
9 In data 8 marzo 2005 (con delibere n. 150/05/CONS e 151/05/CONS) l’Autorità ha irrogato – sia a Mediaset che alla
Rai – delle sanzioni pari al 2% del fatturato da raccolta pubblicitaria, per la persistenza di una condotta lesiva dei limiti
antitrust fissati dalla legge 249/97, sanzioni poi annullate dal giudice amministrativo per un vizio del procedimento.
Peraltro tale provvedimento sanzionatorio venne adottato dall’AGCOM in base a una norma (articolo 2, comma 8)
della legge 249/97 poi abrogata dalla legge n. 112 del 2004, e quindi non potrebbe essere riprodotto.
15
dominante individuale o collettiva. Sono in corso le valutazioni finali dell’Autorità , dopo
aver ricevuto le osservazioni della Commissione europea.
In questo quadro, nel corso dell’anno passato, l’Autorità ha posto in essere ulteriori
iniziative:
1) Abbiamo, innanzitutto, proceduto alla determinazione del SIC (il sistema integrato
delle comunicazioni, stimato complessivamente, per il 2005, in 22,144 miliardi di euro), cui
è riferito nella vigente normativa il tetto del 20 per cento dei ricavi complessivi conseguiti
nel settore da un’impresa e da cui si parte per la verifica del divieto di posizioni dominanti
sui singoli mercati che lo compongono10.
2) Abbiamo avviato la ricognizione sistematica del patrimonio frequenziale,
mettendo in atto, d’intesa con il Ministro delle comunicazioni, un’operazione di
chiarificazione a tutto campo circa l’attuale effettiva appartenenza delle frequenze e circa il
grado e il modo della loro utilizzazione; una verifica ch’è fondamentale sia per la disciplina
del periodo transitorio sia in ordine alla riassegnazione delle frequenze successivamente allo
switch-off.
Alla data odierna sono state analizzate circa il 90% delle risposte pervenute e sono stati
controllati i relativi dati dal punto di vista amministrativo e tecnico. Su un insieme di circa
22.000 impianti ne sono stati acquisiti al data-base oltre 18.000. Entro la metà di febbraio
sarà completata questa prima fase di acquisizione dati.
10 Le singole componenti pesano per le seguenti quote: il 32% proviene dalla televisione (pari a 7,2 miliardi di euro), il
30% dalla stampa quotidiana e periodica (6,6 miliardi), il 9% dall’editoria annuaristica (2 miliardi), il 6,5% dal cinema
(1,4 miliardi), il 2,5% dalla radio (500 milioni); vi è poi un aggregato di servizi quanto mai eterogenei, composto dalle
iniziative di comunicazione, dalla pubblicità esterna e dalle sponsorizzazioni, che vale il restante 19,5% (4,3 miliardi di
euro).
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3) Abbiamo aggiornato le regole per la cessione del 40 percento della capacità
trasmissiva delle reti digitali terrestri, per consentire l’ingresso di nuovi operatori in un
mercato caratterizzato da forti barriere all’ingresso.
L’importanza di questa misura per il riequilibrio del sistema va maggiormente
considerata.
L’accesso alla capacità trasmissiva senza bisogno di costosi investimenti in
tecnologie e impianti è infatti un’opportunità che merita di essere valorizzata appieno dai
produttori di contenuti, ricchi più di idee che di mezzi; persone che già si cimentano nel
campo dell’informazione e dell’intrattenimento e nuovi entranti.
L’accesso alla capacità trasmissiva senza titolarità delle frequenze e senza proprietà
degli impianti sarà anche una porta di servizio ma è una porta di servizio poco meno grande
del portone principale.
Decisivo per l’affermazione di questo accesso secondario è che i contenuti offerti
siano attrattivi, ma, sia pure con questa condizione, -come giustamente ha osservato il Sen.
Maccanico- è sui contenuti che si giocherà la vera concorrenza sul mercato.
Fondamentale è, per altro verso, che i produttori di contenuti siano veramente
indipendenti dalle imprese alla cui capacità trasmissiva accedono: è questo il delicato
compito cui l’Autorità deve assolvere in sede di gara per l’assegnazione.
VII. Circa l’idoneità del disegno di legge a risolvere i problemi di pluralismo e
concorrenza del sistema televisivo italiano
Il disegno di legge in esame individua alcuni strumenti volti ad assicurare uno
sviluppo pluralistico e concorrenziale del settore televisivo nell’attuale fase di transizione
alla tecnologia digitale e successivamente a tale evento.
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La tutela della concorrenza tra piattaforme trasmissive
In primo luogo, sono individuati alcuni interventi volti a ridurre le barriere
all’ingresso nel settore televisivo in un contesto di concorrenza tra le diverse piattaforme
trasmissive. L’Autorità considera con favore l’insieme di tali norme, volte a rimuovere il
primo difetto strutturale del sistema radiotelevisivo che ho illustrato.
Una corretta rilevazione dell’audience è vitale per l’affermazione sul mercato delle
diverse emittenti, in quanto, com’è noto, i pubblicitari rapportano all’audience il pagamento
della pubblicità.
La previsione contenuta nel disegno di legge non può che rafforzare la vigilanza che
già adesso l’Autorità, in base alle norme previste in materia dalla legge n.249/97, sta
svolgendo su tale attività.
Tuttavia, proprio in ragione della competenza già attribuita in materia, appare più
funzionale, ai fini di una rapida ed efficace regolamentazione, non già la previsione di una
delega al Governo sulla base di principi direttivi, bensì la diretta introduzione di ulteriori
principi – rispetto a quelli previsti dalla normativa vigente – che rafforzino i poteri di
vigilanza e controllo dell’Autorità.
Ricordo che l’Autorità ha già avviato un percorso di riforma impartendo alcuni
indirizzi regolamentari alle società di rilevazione11.
A tali indirizzi, a cui ci risulta che l’Auditel si sta conformando (la conclusione
dell’istruttoria è prevista per il mese di febbraio), potrebbe essere data valenza legislativa,
accompagnata dalla previsione di un adeguato apparato sanzionatorio.
11 Tali indirizzi possono essere riassunti: nella neutralità tecnologica, avuto riguardo al grado di diffusione delle diverse
piattaforme trasmissive; nell’indipendenza dei soggetti che esercitano le attività di rilevazione; nell’apertura del capitale
sociale di tali soggetti a tutte le imprese rappresentative del settore e nella conseguente rappresentatività negli organi di
gestione; nell’indipendenza dell’attività tecnica di rilevazione dal consiglio di amministrazione.
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L’intervento di riforma della governance dettato dall’Autorità è stato comunque
seguito, intanto, da atti concreti12.
Si dirà: ma gli indici di ascolto sono solo quantitativi; ci dicono chi sta guardando la
televisione, ma non il suo gradimento, la qualità che ne viene percepita.
Un indice di qualità costituisce una grande questione da sempre dibattuta, mai risolta.
Non può essere ignorata, specialmente alla luce dei recenti drammatici accadimenti
intorno al mondo del calcio, l’influenza negativa sui più giovani di una televisione che dia
maggiore visibilità a modelli sbagliati anzichè “contribuire alla diffusione tra i giovani dei
valori di una competizione sportiva leale e rispettosa dell’avversario, per prevenire
fenomeni di violenza legati allo svolgimento di manifestazioni sportive”, come stabilisce
l’art. 34 del Testo unico.
Un modo diverso di misurare l’ascolto televisivo l’Autorità lo ha previsto quale
obbligo in capo alla concessionaria pubblica. Nelle Linee guida propedeutiche al nuovo
contratto di servizio sono tracciati i criteri in base ai quali verrà sviluppato il sistema di
misurazione della qualità – o indice di valore pubblico, come lo ha definito il Ministro
Gentiloni.
Quella – allo stato della legislazione vigente – è la sede appropriata, non essendo nei
poteri dell’Autorità sviluppare un analogo sistema per quanto riguarda le emittenti private,
per le quali la legge prevede il rispetto di determinati criteri di programmazione (come per
la tutela dei minori) ma non l’obbligo di trasmettere programmi di una certa qualità.
12 L’Auditel, infatti, a seguito della riforma dettata dall’Autorità, ha approntato notevoli migliorie al sistema di ricerca,
incrementando le rilevazioni (da due a nove cicli annui), utilizzando nuovi apparati di ricezione (meter) in grado di
rilevare le nuove tecnologie (compresa la trasmissione da satellite) e rispettando, nella composizione del campione, il
tasso di penetrazione delle piattaforme digitali.
Sotto l’aspetto della governance, l’Auditel ha modificato il proprio statuto per consentire l’ingresso nel Consiglio di
amministrazione di nuovi soggetti e ha approntato un nuovo regolamento del Comitato tecnico nel segno
dell’indipendenza delle scelte tecniche e della trasparenza.
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Rimetto, però, alla valutazione del Parlamento se un sistema di misurazione della
qualità -magari con caratteristiche meno stringenti di quelle previste per la Rai, la cui
prestazione di servizio pubblico è correlata al canone di abbonamento- possa essere esteso
anche al settore privato. Potrebbe, ad esempio, essere istituito un apposito Osservatorio, a
cui potrebbero partecipare le rappresentanze degli utenti-consumatori.
Sempre in tema di concorrenza tra piattaforme digitali, l’articolo 3, comma 10, del
disegno di legge introduce una norma pro-concorrenziale in capo ai soggetti che sono
titolari delle infrastrutture a larga banda, notificati come detentori di un significativo potere
di mercato. La norma prevede ch’essi siano tenuti ad offrire l’accesso alla propria
infrastruttura di rete, anche a livello disaggregato, a tutti gli operatori concorrenti che ne
facciano richiesta, secondo un’offerta stabilita dall’Autorità.
Anche in questo caso l’Autorità condivide l’obiettivo della norma, volto ad abbassare
le barriere all’ingresso nel settore televisivo. Peraltro occorre rilevare che le direttive
comunitarie prevedono che siffatti rimedi regolamentari derivino da un’analisi di mercato,
svolta dall’Autorità di settore e sottoposta ad un processo di consultazione pubblica e di
vaglio da parte dell’Antitrust e della Commissione europea. Nel caso specifico il rimedio
viene invece automaticamente introdotto dalla legge.
Le norme in materia di piattaforma digitale terrestre e di uso efficiente dello spettro
elettromagnetico
La necessità di una regolazione settoriale per la televisione terrestre – prima
analogica, poi digitale – deriva anche dalla circostanza ch’essa utilizza risorse che sono
pubbliche, scarse e limitate.
20
Anche in questa fase d’incremento di risorse tecnologiche, non va dimenticato,
infatti, che le frequenze sono un bene pubblico.
In considerazione di tale natura del bene frequenziale, sia la giurisprudenza
costituzionale italiana che le direttive comunitarie sulle reti di comunicazione elettronica
affermano la necessità di norme speciali, a tutela del pluralismo, per la concessione di
frequenze alle reti televisive digitali.
In questo quadro, il disegno di legge interviene sul quadro normativo e regolamentare
in materia di transizione alla tecnica digitale terrestre, per ovviare al secondo e terzo difetto
strutturale del sistema: la mancanza di un regime certo di autorizzazione e l’occupazione
delle frequenze.
Il disegno di legge posticipa al 30 novembre 2012, di quatto anni rispetto all’attuale
previsione legislativa, la data dello switch-off delle trasmissioni analogiche e del completo
passaggio a quelle digitali.
La fissazione di una data certa e credibile è necessaria per dare certezza alle imprese
ed incentivarne gli investimenti. La cosa peggiore, infatti, sarebbe prorogare a tempo
indeterminato una situazione d’incertezza.
Tuttavia l’attuale fase di compresenza delle due tecniche trasmissive (la cosiddetta fase
di switch-over) crea inefficienze ed inutili duplicazioni, in quanto, per la trasmissione degli
stessi palinsesti simultaneamente in tecnica analogica e in modalità digitale, vengono
utilizzate importanti risorse frequenziali che potrebbero essere destinate ad altri usi: quali ad
esempio la creazione di ulteriori reti digitali, la televisione ad alta definizione ovvero in
mobilità.
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Le televisioni locali si trovano poi in grande difficoltà per trasmettere in simulcast e
più di una volta hanno segnalato come il protrarsi di un periodo di transizione risulti
drammatico per la sopravvivenza del loro settore.
Occorre quindi accelerare. Congiuntamente alla fissazione della nuova data – la più
prossima possibile – di spegnimento delle trasmissioni analogiche, deve essere definita sin
da oggi una politica industriale adeguata a realizzare il compito prefissato.
Sarebbe profondamente errato attendere passivamente il momento dello switch-off
per le iniziative da intraprendere da parte delle emittenti e per le regole da dettare.
Il cambiamento non può avvenire in una notte; va gestito con una marcia di
avvicinamento che passa attraverso fasi e ambiti di sperimentazione e di collaudo sempre
più vasti, per aree territoriali anziché per singole reti.
Il Comitato per il passaggio al digitale istituto presso il Ministero delle Comunicazioni
ha appunto il compito di gestire questa delicata fase di transizione. L’Autorità intende fare
per intero la propria parte, con particolare riferimento al piano di transizione delle
trasmissioni via etere.
Tuttavia è necessario uno scatto di reni che spinga il Paese verso il traguardo del
digitale, che negli ultimi mesi sembra essersi allontanato, se si considera che la diffusione
dei decoder digitali terrestri è cresciuta del 30 percento nell’ultimo anno, a fronte del 180
per cento dell’anno precedente.
Tra l’altro – come ho detto nella mia relazione al Parlamento del luglio scorso e come
ha confermato il 24 gennaio scorso la Commissione europea – sono consentiti contributi
statali per i decoder per il passaggio al digitale, purchè rispettosi del principio della
neutralità tecnologica. Comunque già oggi in Francia i decoder per il digitale sono
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diffusamente venduti a prezzi ridotti. Gli apparecchi televisivi senza decoder vengono
dirottati verso l’Italia.
Un tempestivo, programmato passaggio al digitale è dunque essenziale per centrare gli
obiettivi fissati dal disegno di legge; è necessario perché il nostro Paese che, come per altre
iniziative (l’energia nucleare; la televisione a colori) è partito per primo, non resti indietro
all’evoluzione tecnologica; è indispensabile per assicurare al Paese un maggior livello di
pluralismo.
Solo nell’ambito di una credibile strategia di accelerazione della transizione al
digitale possono produrre effetti positivi le disposizioni contenute ai commi 2, 3 e 4
dell’articolo 3 riguardanti il trasferimento di due palinsesti analogici su una piattaforma
digitale. Altrimenti tale dettato normativo rischia, per la maggior parte dei cittadini, di
produrre un’immediata diminuzione delle scelte del consumatore (nell’analogico), a fronte
di un futuro ed incerto allargamento del pluralismo (nel digitale).
Inoltre il meccanismo previsto dai citati commi lascia alcune ambiguità circa il
percorso con cui saranno trasferiti tali palinsesti e verranno assegnate le relative frequenze.
Con l’obiettivo di abbassare le barriere all’ingresso nel settore televisivo, il disegno
di legge introduce alcune norme in materia di uso efficiente dello spettro elettromagnetico
(commi 1, 5, 6 dell’articolo 3) e di limiti alla capacità trasmissiva utilizzata dai fornitori di
contenuti nel digitale terrestre (commi 8 e 9).
L’Autorità apprezza decisamente tali norme.
L’imposizione, anche nel periodo successivo allo switch-off, di limiti alla capacità
trasmissiva e la parallela previsione di procedure di gara trasparenti gestite dall’Autorità (sul
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modello di quella in corso di approvazione relativa al 40%) appaiono idonee a ridurre le
barriere all’ingresso nel settore, ad assicurare una maggiore contendibilità dei mercati ed a
garantire – in definitiva – la tutela del pluralismo.
A questo riguardo segnalo tuttavia che, così come concepito, l’articolo 3 non appare
in grado di sanare l’obiezione sollevata dalla Commissione europea sull’allineamento dei
titoli abilitativi. Il disegno di legge, infatti, vi provvede attraverso l’abrogazione delle norme
della legge n.112, ma non chiarisce quale sia il titolo giuridico applicabile nel periodo
transitorio, dove per effetto della vigente normativa persistono tuttora titoli concessori,
autorizzazioni e licenze individuali.
Ricordo inoltre che l’obbligo previsto dal comma 7 del medesimo articolo – laddove
prevede che a partire dalla data del 30 novembre 2012, o comunque dalla data di completa
conversione delle reti dall’analogico al digitale, i fornitori di contenuti in ambito nazionale
che svolgano anche attività di operatore di rete sono tenuti alla separazione societaria – è già
in vigore perché previsto dalla vigente normativa (articolo 5, comma 1, lettera g, punto 1,
del decreto legislativo 31 luglio 2005 n.177). A tale prescrizione alcuni dei principali
operatori13 si sono già conformati14 .
Gli strumenti individuati a tutela del pluralismo
Potrebbero essere suscettibili di modifiche migliorative le specifiche norme a tutela
del pluralismo contenute agli articoli 2 e 6 (in particolare, articolo 2, commi 1, 2 e 3, e
articolo 6).
13 Mediaset, La 7.
14 Sempre ai fini di certezza giuridica segnalo che nel comma 1 dell’articolo 3 è richiamato, ai fini dell’individuazione
delle frequenze non coordinate a livello internazionale e ridondanti, oggetto di restituzione allo Stato, il “data-base
delle frequenze”. Trattandosi di una locuzione non prevista da precedenti leggi, si riterrebbe opportuno che ne venisse
fornita adeguata definizione in sede normativa, chiarendo con l’occasione il valore giuridico del data-base delle
frequenze, cioè se ad esso debba essere riconosciuto valore costitutivo o meramente ricognitivo.
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Il disegno di legge – che ha valore di novella del Testo unico della radiotelevisione –
prevede tre strumenti principali.
In primo luogo, viene ridisegnato il perimetro del “sistema integrato delle
comunicazioni” (il cd. SIC), individuato dalla legge n.112/2004, eliminando da esso le
iniziative di comunicazione di prodotti e servizi. Tuttavia tale aggregato appare ancora
amplissimo e composto da mercati troppo eterogenei.
Alcuni settori appartenenti al SIC sono caratterizzati da un’estrema polverizzazione
della struttura produttiva, nonché dalla presenza di soggetti disomogenei. Permangono
quindi alcune criticità che avevano portato l’Autorità ad esprimere, rispetto al SIC, riserve
sulla congruenza tra lo strumento adottato -limite del 20 percento nel settore delle
comunicazioni- e l’obiettivo da raggiungere –il pluralismo dell’informazione-, nonché
riguardo alla complessità dell’attuazione delle disposizioni per la difficoltà di misurazione
del paniere di attività.
In secondo luogo, resta confermato il divieto di costituzione di posizioni dominanti
nei singoli mercati che compongono il sistema delle comunicazioni; l’apparato
procedimentale per la relativa verifica è quello previsto dall’articolo 43 del Testo unico, il
quale stabilisce l’applicabilità dei principi della direttiva “quadro” (2002/21/CE)15.
15 Ai sensi del richiamato quadro comunitario sulle comunicazioni elettroniche (in particolare nelle Linee direttrici
della Commissione per le analisi di mercato e la valutazione del significativo potere di mercato) le soglie per la
valutazione della dominanza sono così indicate: al di sotto del 25% si esclude la dominanza; fra il 25 e il 40% non vi è
presunzione di dominanza; tra il 40% e il 50% vi è presunzione di dominanza, ma la soglia di per sé non è sufficiente
alla imputazione della dominanza, e vanno compiute analisi collaterali sul livello di concorrenza; il superamento del
50% costituisce, di per sé, una prova di posizione dominante, salvo situazioni eccezionali.
In ogni caso l’ampiezza delle quote di mercato non basta da sola a stabilire l’esistenza di una posizione dominante, in
quanto essa indica ”semplicemente la possibilità che si sia in presenza di un operatore che gode di una posizione
dominante”. La posizione dell’impresa va analizzata anche alla luce di altri criteri (ad esempio dimensione globale
dell’impresa, controllo di infrastrutture difficili da replicare, barriere all’ingresso del mercato, sostituibilità della
domanda) al fine di stabilire se essa è in grado di tenere “comportamenti alquanto indipendenti nei confronti dei suoi
concorrenti, dei suoi clienti e, in definitiva, dei consumatori” (cfr. Corte di Giustizia CE 8.6.1976, caso Hoffman-La
Roche, in GUCE 16.8.1976), per poterle imputare un comportamento di dominanza.
25
A questi due strumenti, il disegno di legge (articolo 2, commi 1,2 e 3) ne aggiunge un
terzo, imponendo una tutela rafforzata, definita in termini di un tetto del 45 per cento nel
mercato pubblicitario televisivo, il cui raggiungimento costituisce, ex se, “una posizione
dominante vietata ai sensi dell’articolo 43 del decreto legislativo 31 luglio 2003, n. 177”16.
Il disegno di legge prevede, in caso di superamento della soglia del 45 percento,
l’imposizione di più stringenti tetti orari per gli affollamenti pubblicitari, ossia l’obbligo di
trasmettere pubblicità in misura non superiore al 16 per cento del tempo (anziché al 18 per
cento) di ciascuna ora di programmazione, con l’ulteriore novità che le telepromozioni
concorrono al raggiungimento di tali limiti17.
E’ conforme ai principi comunitari un intervento legislativo mirato su un unico
mercato – quello della pubblicità – senza tener conto degli altri indici che, secondo i criteri
comunitari, devono concorrere per l’individuazione di una posizione dominante? Ovvero, in
mancanza di tale concorso di indici, non sarebbe più appropriato aver riguardo anche ad
altre risorse del sistema intrinsecamente collegate all’attività imprenditoriale televisiva,
come già abbonamenti e i proventi della pay TV?
16 Al riguardo l’articolo 43 del Testo unico – cui, come ho detto, fa rinvio il disegno di legge – prevede, peraltro, che
l’Autorità, nella verifica che non si costituiscano posizioni dominanti, tenga conto fra l’altro, oltre che dei ricavi, del
livello di concorrenza all’interno del sistema, delle barriere all’ingresso nello stesso, delle dimensioni di efficienza
economica dell’impresa, degli indici quantitativi di diffusione dei programmi.
17 La misura scatta al raggiungimento della soglia del 45 percento del mercato pubblicitario, ma non tiene conto delle
altre risorse del mercato televisivo (canone, abbonamenti alla pay-tv) che pure concorrono nell’analisi della
concorrenza.
La legge n. 249 del 1997 stabiliva invece – come si è ricordato – la soglia del 30% sul complesso delle risorse afferenti il
settore televisivo via etere terrestre in chiaro e codificato (finanziamento del servizio pubblico, pubblicità nazionale e
locale, televendite, sponsorizzazioni, convenzioni con soggetti pubblici, ricavi da offerte televisive a pagamento) e un
limite del 30% sulle risorse afferenti la televisione via cavo e via satellite.
La legge 112, come si è detto, stabilisce la soglia ex ante del 20% sul più ampio ed eterogeneo settore del SIC,
consentendo, comunque, di effettuare analisi di dominanza ex post sui singoli mercati che lo compongono sulla base
dei criteri tipici del diritto della concorrenza.
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La situazione di sperequazione nella ripartizione della pubblicità tra le due
preminenti imprese televisive e tutte le altre, come pure tra la televisione e gli altri media, in
particolare la stampa, viene ritenuta così grave e soffocante da richiedere un intervento
legislativo ad hoc, mirato cioè a un solo mercato del settore televisivo.
L’introduzione di soglie nel settore radiotelevisivo, dunque, in tanto può considerarsi
legittima in quanto rientra nella potestà d’intervento dello Stato a tutela del pluralismo e si
differenzia dagli interventi – di natura tipicamente ex post – del diritto della concorrenza. I
limiti ex ante nel settore radiotelevisivo sono stati – infatti – mutuati dalla più stringente
legislazione vigente in materia di editoria quotidiana a garanzia del pluralismo informativo.
Secondo il disegno di legge la misura della riduzione del tetto pubblicitario è
evitabile con il trasferimento di una o più reti su altri mezzi trasmissivi (cavo, satellite,
digitale terrestre). Può considerarsi in proposito che il soggetto che ha più di due emittenti
nazionali analogiche (compresa la RAI, quindi), per effetto delle previsioni dell’art. 3,
comma 2, deve trasferire in ogni caso le reti oltre la seconda su altre piattaforme, entro la
tempistica ivi prevista. Sicchè la prevista misura sulla pubblicità è destinata a durare per un
periodo di tempo limitato e, in definitiva, appare finalizzata a innescare un meccanismo di
accelerazione della conversione alla tecnologia digitale.
Pertanto, considerata la sua natura strumentale e temporanea, la misura in parola può
rivelarsi proporzionale al fine dell’ampliamento del pluralismo, a condizione che costituisca
un effettivo incentivo ad accelerare lo sviluppo del digitale (e delle altre piattaforme) ed
abbia – come ha – carattere transitorio. Viceversa, se da temporaneo l’eventuale limite
dovesse assumere un carattere strutturale permanente o quasi permanente (magari in
combinazione con una procrastinazione della completa digitalizzazione del sistema
televisivo), allora questa norma, considerandola anche in combinazione con quella relativa
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al trasferimento delle reti analogiche in tecnica digitale, diventerebbe una misura
asimmetrica permanente con un ambito di applicazione verosimilmente ristretto ad un solo
soggetto, che mal si concilierebbe con i principi comunitari in materia di concorrenza.
L’apparato sanzionatorio
Approvazione merita l’apparato sanzionatorio, sul quale quindi non mi soffermo,
rimandando allo scritto più esteso.
VIII. Osservazioni conclusive
In conclusione, l’Autorità esprime apprezzamento per l’iniziativa del Ministro
Gentiloni di proporre un’iniziativa legislativa che, nello spirito d’incentivare il passaggio
alla tecnologia digitale, intende dare risposta ad alcune delle persistenti indicazioni della
Corte costituzionale e che è orientata verso l’obiettivo di conformare la legislazione
nazionale alle direttive europee in materia di reti e servizi di comunicazioni elettronica.
Quanto più questa novella normativa sarà in linea col contesto comunitario, tanto
meno si presterà a contestazioni e sarà tanto più appropriata all’ambito geografico in cui le
nostre imprese si trovano a dover competere.
Considerazioni politiche, che corrispondono peraltro alle sollecitazioni della Corte
costituzionale, e valutazioni istituzionali, in pendenza di una procedura d’infrazione
comunitaria, hanno verosimilmente indotto ad affrontare intanto – ad instar d’un intervento
chirurgico d’urgenza – alcuni aspetti del passaggio al digitale.
Ciò non esaurisce la necessità di un intervento legislativo più ampio e sistematico nel
settore dei media. Appena due mesi dopo l’insediamento dell’Autorità segnalai al
Parlamento, nella mia prima relazione, che la legge Gasparri – la quale era up to date al
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tempo della sua approvazione – mostrava già segni di obsolescenza di fronte alla velocità
del progresso tecnologico. Il quadro mutato e in mutazione – con l’avvio delle trasmissioni
televisive mobili, la crescente diffusione di contenuti via Internet a larga banda, lo sviluppo
in progress dei servizi satellitari – impone una considerazione normativa complessiva e di
ampio respiro da compiere nell’ambito del nuovo, integrato e variegato, settore dei servizi
audiovisivi.
Occorre che il Parlamento affronti in via sistematica i nodi dello sviluppo dei media:
la competizione fra piattaforme, l’uso flessibile e tecnologicamente neutrale delle frequenze,
una disciplina innovativa dell’accesso ai contenuti ed alle reti e della tutela della proprietà
intellettuale, con un’organica rivisitazione, alla luce del progresso tecnologico, delle norme
che, a tutela del pluralismo, prevengono la formazione di posizioni dominanti. La legge non
può seguire il continuo cambiamento degli scenari, ma spetta ad essa dettare i principi e
l’orientamento. E’ compito, poi, dell’Autorità18 adeguare tempestivamente le regole
all’evoluzione incalzante della tecnologia, applicando il criterio di neutralità e i
procedimenti di analisi previsti dalle linee guida comunitarie.
Va visto con favore lo sviluppo della tecnologia trasmissiva audiovisiva a
larghissima banda (fibra ottica, VDSL), recuperando un ritardo storico e stando attenti a non
riprodurre situazioni di prevalenza antipluralistiche e anticoncorrenziali.
Il quadro non potrà comunque ritenersi definito fin quando non saranno riconfigurate
la struttura e la missione del servizio pubblico radiotelevisivo. Stati europei -in particolare il
Regno Unito- offrono in proposito modelli sperimentati e ben funzionanti. Ciò è tanto più
18 Autorità di cui va salvaguardata l’indipendenza. Le Autorità indipendenti sono state invero concepite come non
soggette alla sovraordinazione dei Governi. La direttiva 2002/21/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 7
marzo 2002, recepita con d.lgs n. 259/2003 (Codice delle comunicazioni), afferma che, in conformità al principio
della separazione delle funzioni di regolamentazione dalle funzioni operative, gli Stati membri sono tenuti a
garantire l’indipendenza delle Autorità nazionali di regolamentazione in modo da assicurare l’imparzialità delle
loro decisioni.
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necessario in quanto il disegno di legge in esame abroga la vigente normativa in materia che
ne prevede la privatizzazione e che disciplina altresì la transizione dell’intero sistema
televisivo dalla tecnologia analogica a quella digitale.
Il digitale è un obiettivo che il servizio pubblico deve avere chiaramente di mira. Nel
frattempo la RAI non può restare sospesa in un limbo nel quale, per il motivo (o per il
pretesto) di non conoscere quale sarà la sua sorte, se ne sta a braccia conserte chiudendo gli
occhi di fronte all’occasione straordinaria che la digitalizzazione offre per l’evoluzione delle
trasmissioni televisive e disconoscendo che al cambiamento ci si prepara da oggi.
E’ opportuno quindi che la riforma della RAI segua il più presto possibile a questo
intervento legislativo.
In altra Commissione del Parlamento (Commissione affari costituzionali della
Camera) si sta intanto approfondendo un diverso aspetto delle garanzie giuridiche della
libertà d’informazione sotto il profilo della prevenzione dei conflitti d’interesse.
Fintantoché il quadro giuridico a tutela del pluralismo non sarà completato potrà
periodicamente insorgere la tentazione, per contingenti obiettivi di tutela, di estendere oltre
misura la portata della regolamentazione asimmetrica in materia di concorrenza; ma sarà
altresì grande il pericolo che istanze fondamentali della democrazia, quale il pluralismo
informativo, non trovino un’adeguata tutela legislativa.