Viktor Orban, il presidente ungherese che ha promosso la legge che dal primo gennaio, di fatto, ha messo in moto un organismo di controllo governativo sulla stampa, ha aperto al dialogo con l’Unione Europea, che aveva duramente criticato il provvedimento.
Come documentato da queste pagine pochi giorni fa, la cosiddetta “legge bavaglio”, che ha trasformato l’Ungheria in un Paese dove l’informazione – prima d’essere diffusa – deve passare sotto lo stretto controllo dell’esecutivo, ha fatto discutere moltissimo nelle ultime settimane, in patria così come all’interno della comunità internazionale. La Commissione Europea, per bocca del suo vicepresidente Neelie Kroes, aveva espresso il proprio disappunto, dichiarandola non in linea con i parametri europei. Stessa cosa avevano fatto alcuni Paesi, come Francia e Germania, che avevano invitato con forza il governo di Orban a rivedere alcuni aspetti della legge, minacciando di chiamare in causa l’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa), le organizzazioni umanitarie e l’Api, l’associazione della stampa internazionale. Nonostante le critiche straniere, però, in un primo momento il governo aveva fatto quadrato attorno alla legge, chiedendo a più riprese agli organismi internazionali e agli stati stranieri di non intervenire in questioni riguardanti la sovranità nazionale ungherese. Il segretario di stato per la comunicazione, Zoltan Kovacs, aveva sottolineato come le critiche straniere non possano costituire una motivazione valida per cambiare una legge nazionale. Alcuni giorni fa, poi, Manuel Barroso si era recato a Budapest per incontrare i vertici del governo. Il Presidente della Commissione UE aveva ricordato loro che dal primo gennaio è iniziato ufficialmente il semestre ungherese di presidenza UE, e questo costituisce una valida ragione per prestare maggiore attenzione a suggerimenti e pareri provenienti da Bruxelles. Orban e i suoi, del resto, dovrebbero avere tutta l’intenzione di non far sfigurare il proprio Paese di fronte al Continente. “Io ho piena fiducia nella democrazia e nello stato di diritto in Ungheria. – aveva dichiarato Barroso, al termine dell’incontro con il Presidente magiaro – L’Ungheria è un paese democratico che, in un passato non così lontano, ha conosciuto i regimi totalitari. Lo stesso Orban ha lottato contro il totalitarismo. L’Ungheria è un paese democratico ed è importante che non ci siano dubbi su questo”. Il 7 gennaio Barroso aveva, poi, dichiarato d’aver avuto a disposizione – per un’analisi – solo una versione della legge, tradotta in inglese, che il governo di Fidesz aveva fornito agli organismi internazionali. A tale versione, però, mancavano alcuni allegati, ritenuti fondamentali per una visione d’insieme del provvedimento. “Non appena riceveremo la notifica – sollecitata dalla Commissione UE al governo magiaro – avvieremo le nostre procedure riguardanti gli aspetti giuridici”, aveva continuato Barroso, nel corso della conferenza stampa. “E’ davvero importante il fatto che il primo ministro sia pronto a considerare delle modifiche alla legge nel caso che la sua attuazione dimostri che ci sono dei problemi e che certe preoccupazioni sono giustificate; – aveva continuato il Presidente della Commissione UE – perché c’è anche un problema di percezione politica, e c’è il bisogno per l’Ungheria di avere il pieno appoggio degli Stati membri e delle istituzioni UE per portare al successo la sua presidenza di turno”. L’esplicito invito a non mettere a rischio la buona riuscita del semestre ungherese alla guida dell’UE – e con esso l’appoggio da parte degli altri governi europei – aveva fatto breccia nel cuore del Presidente Orban e lo aveva persuaso ad aprire una finestra di dialogo. Subito il Ministro degli Esteri Janos Martonyi si era affrettato ad affermare che eventuali obiezioni europee sarebbero state prese in esame, pur considerando la legge non limitante per la libertà d’espressione su territorio nazionale. Anche Orban, allora, subito dopo, durante la conferenza stampa di inizio della presidenza ungherese dell’UE, si era dichiarato pronto “a far sì che la legge non danneggi la presidenza ungherese”. Che, tradotto, significa accettare le obiezioni e i consigli della Commissione UE e non fare di testa propria. “Ma sono sicuro che non sarà il caso”, aveva, però, tenuto a sottolineare, spiegando come altri Paesi dell’Unione, quali Francia e Italia, abbiano un sistema simile a quello che l’Ungheria intende instaurare. Oltralpe, infatti, l’esecutivo si occupa della nomina di alcune figure importanti dell’informazione pubblica, come il presidente dell’azienda televisiva di Stato. Così come accade in Italia dove, tra l’altro, l’equivalente nostrano del nuovo super organismo di controllo ungherese, ossia l’Agcom, non è certamente quell’autorità indipendente che era nel disegno e nelle intenzioni della Legge Meccanico del 1997, che di fatto le ha dato i natali. I suoi otto commissari, infatti, sono scelti da Camera e Senato, mentre il Presidente è di nomina governativa. Orban, quindi, non ha poi tutti i torti da questo punto di vista. Fatto sta, comunque, che in patria la legge sta provocando – giustamente – grande indignazione. Solo pochi giorni fa c’è stata una manifestazione pacifica a Budapest, mentre per il 14 gennaio ne è prevista un’altra, di dimensioni maggiori. Ascoltando le voci della gente comune, però, viene fuori che il governo ha “venduto” la “legge bavaglio” come un provvedimento atto a riportare l’ungheresità al centro della vita dei cittadini magiari, attirandosi, quindi, anche alcune simpatie. Per questo motivo, alle radio dovrebbe essere impedito di trasmettere solo musica internazionale, per lasciare, invece, più spazio alla musica locale. Allo stesso modo, poi, – e in questo il caso italiano è “paurosamente” simile – Orban e i suoi hanno rassicurato che, con la nuova legge, l’informazione darà meno spazio alle notizie “tragiche”, per alzare il morale di una popolazione tradizionalmente triste. (G.C. per NL)