E’ oscuro il motivo per cui la stragrande parte della radio (comprese alcune nazionali) ed escludendo ovviamente quelle moribonde attive solo in attesa dell’ultimo avventore ai saldi al 70% sulle frequenze FM, non sfrutti l’enorme opportunità offerta dal cd “brand-bouquet“, cioè la coniugazione dello stesso logo su prodotti tematici da fruire online. Con regie che ormai gestiscono contemporaneamente più palinsesti attigendo allo stesso database, non sarebbe certo un problema sotto i profili tecnico ed economico realizzare ciò.
Tale soluzione (chiaramente curata nei dettagli e non limitata ad una playlist immutata nel tempo priva di appeal) consentirebbe di adeguarsi al paradigma IP del futuro: “molte radio per pochi utenti” che si contrappone a quello tipico dell’etere “poche radio per molti utenti”, lasciando inalterato il volume complessivo degli ascolti (gli unici player nazionali ad averlo veramente compreso e messo in atto sono L’Espresso, Radiomediaset – con l’eredità delle web radio Finelco – e, in misura minore, Kiss Kiss), principio ben metabolizzato all’estero, USA in testa (iHeart ha un aggregatore captive con numeri da paura).
Chiaramente il brand-bouquet dovrà essere promosso (con determinazione) sulla rete via etere e non (come fanno molti, compresi i citati gruppi) relegato in un angolo del sito web.
E’ intuitivo che la più bella delle web radio italiane non avrà la stessa facilità di conseguire una rapida affermazione di un network FM che volesse spingere i propri prodotti alternativi IP, creandosi le premesse per il futuro 4.0 (finché può farlo senza competitors OTT).
La sottovalutazione di tali aspetti condurrebbe alla fine che fecero le case discografiche abituate a vendere milioni di dischi prima di capire che l’online costituiva una grande opportunità.
A condizione di cambiare il modello di business.