Bordin, Pannella e la “libertà” di Radio Radicale

Massimo Bordin è stato per diciannove anni il direttore di Radio Radicale. Oltre metà della sua esistenza, l’emittente radicale, “dentro ma fuori dal palazzo”, l’ha trascorsa sotto la guida paterna e amorevole del giornalista, ex trotzkista tramutatosi in radicale.

Sotto di lui, Radio Radicale si è trasformata, passando da voce fuori dal coro, squattrinata e osteggiata, a voce “dentro ma fuori” dal coro, in piena salute economica (nonostante continui, di tanto in tanto, a pianger miseria), benvoluta dalla politica e da questa abbondantemente finanziata. A partire dalla fine degli anni Ottanta, alla vigilia dell’approdo di Bordin al timone dell’emittente, Radio Radicale ha iniziato a incamerare annualmente una fortuna, utile al Partito Radicale prim’ancora che a se stessa: prima come emittente di partito, poi, al termine di una lunga bagarre iniziata nel 1993-1994, proseguita con toni asprissimi nel 1998 e, di tanto in tanto, ritirata fuori, come servizio pubblico. Un doppio finanziamento da parte dello Stato che rende la radio dei radicali un caso unico nel panorama internazionale. Più che radio dei radicali, però, proprio attraverso le parole di Bordin, RR era stata etichettata come ciò che sarebbe l’informazione qualora governassero i radicali: una sorta di simulacro del servizio pubblico in salsa radicale. “Dentro ma fuori dal palazzo”, si diceva, citandone lo slogan; ciò lascia intendere una sorta di libertà di movimento, prerogativa radicale, nonché una natura anti-regime che fanno dell’emittente uno strumento, per così dire, di controinformazione. Però, stranamente, RR non è invisa la palazzo, è benvoluta dalla politica che, con plebisciti parlamentari, l’ha più volte salvata da una morte certa, rinnovandole la concessione delle sedute parlamentari. Pochi giorni fa, il direttore di Radio Radicale, Massimo Bordin, ha annunciato il suo addio, a causa di dissidi con il suo editore. “Mi ritengo costretto a questa scelta da alcune prese di posizione dell’editore della radio – ha scritto nella sua lettera di dimissioni -, che ho sempre considerato editore di riferimento politico da prima ancora che divenisse proprietario di fatto. Da almeno due anni Marco Pannella ha più volte pubblicamente dichiarato che non si sente rappresentato dal modo in cui viene espressa la linea editoriale della radio. E’ evidente che il rapporto fra editore e direttore si fonda proprio su un accordo sulla trasposizione in chiave giornalistica di una idea editoriale che promana dall’editore. Dunque le affermazioni di Pannella non possono che essere intese come una mozione di sfiducia nei miei confronti”. In realtà, i presunti dissidi tra la direzione dell’emittente e l’editore, esistono da anni: non è certo da oggi che Pannella rimprovera a Bordin una linea editoriale estranea a quella dei Radicali Italiani. L’editore di RR, infatti, è Marco Pannella, azionista di maggioranza della società Centro di Produzione S.p.A., una delle tante creature dei radicali. Qualcosa, allora, non quadra. Abbiamo parlato dell’anomalia del doppio finanziamento; abbiamo detto che Radio Radicale, nonostante intaschi molti euro (oltre 4 milioni annui) come emittente dei radicali, non è un vero e proprio organo di partito, quanto piuttosto un esperimento politico; non abbiamo ancora detto che, criticando tutti e non assecondando nessuno, da sempre a Radio Radicale è riconosciuta un’ampia libertà di movimento, di pensiero, di espressione. In realtà, come dimostrano i fatti degli ultimi giorni, RR così come il Partito Radicale, continua ad essere vittima del suo lìder maximo: Marco Pannella, allo stesso tempo creatore, teorico, promotore e carnefice delle sue creature. Pannella sbandiera la libertà dal “regime” ma nell’arco dei decenni è riuscito a creare un piccolo sistema-nel-sistema, portatore di istanze democratiche e democratizzanti ma che è da lui gestito in maniera totalmente antidemocratica. Lo dimostra il caso delle dimissioni di Massimo Bordin, stanco dei continui attacchi da parte del suo editore. Ma Radio Radicale è o non è servizio pubblico? E se, invece, la intendiamo come organo di un partito politico, perché continuiamo ad adorarla come se fosse un’oasi di libertà in un deserto di partigianeria? Ciò che non va bene al capo, alla lunga, viene lasciato per strada, o fagocitato, come vuole il mito del dio greco Crono, più volte associato a Pannella, che mangia i suoi figli. Maria Teresa Meli, in un articolo di due giorni fa su www.corriere.it, parla di articolo 58, quello che ai tempi di Stalin condannava le attività controrivoluzionarie, ossia i dissidenti del regime. Sarebbe quello applicato da Pannella a Bordin, anche se il leader radicale non ha dato il benservito al suo direttore, piuttosto lo ha esasperato, lo ha messo con le spalle al muro con la sua favella e i suoi scatti d’ira, lo ha svuotato della credibilità che si deve al direttore di un’emittente, facendo venire a galla il concetto per cui o si è con Pannella oppure si è fuori, tra i radicali, così a Radio Radicale, stazione con alle spalle una storia di altissimo profilo, una delle creature pannelliate meglio riuscite (e ve ne sono tante, bisogna dire), macchiata, però, dal peccato originale dell’obbedienza al capo, nonostante la propaganda anti-regime.  Pannella, su Facebook, ha risposto alle dimissioni di Bordin, sostenendo di esservi “assolutamente contrario”. “Bordin, – ha scritto Pannella – se fosse editore, potrebbe certamente avere un diverso, più tradizionale, modo di esserlo. Ma non lo è e non può dire comunque che il suo editore opera secondo una sua propria concezione, e sfiduciarlo, o protestarsi come sfiduciato se mi limito a proclamare il mio diverso, e liberale, modo di esserlo e quindi, manifestamente, confermare a Bordin una forma e una pienezza di autonomia nell’esercizio della sua responsabilità di direttore”. Poi, siccome il dissenso è malvoluto ma, per forza di cose, non represso, ha invitato il direttore a restare. “Torno a invitare il direttore Bordin a resistere, – ha continuato – per naturale e comprensibile stanchezza diffusa in tutti e ciascuno di noi, a non abbandonare il suo posto di lotta che ha comprensibilmente fatto di lui – come gli ho pubblicamente ricordato nei nostri dialoghi domenicali, anche molto di recente – il radicale più noto e apprezzato di me e della stessa Emma Bonino”. Niente cacciata, quindi, anzi. Questo era il 10 luglio, però. Due giorni dopo Bordin e Pannella se le sono dette di santa ragione nel corso della consueta – e forse una delle ultime – conversazione domenicale, con tanti di insulti, anche pesanti, da parte del leader radicale. Le dimissioni dovrebbero essere effettive dal primo agosto. (G.M. per NL)

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