Tutto è cominciato nell’ormai celebre riunione della direzione del Pdl in cui è stato sancito, ufficialmente, il nuovo status del partito del premier.
Non più un partito concentrato attorno alla figura del suo leader – Berlusconi, appunto – che ne segue fedelmente la politica e gli interessi, ma una formazione al cui interno sono ammesse, per la prima volta, forme di dissenso e, addirittura, la creazione di correnti autonome, un po’ sul modello dell’antica Dc. Il responsabile dello strappo – ormai lo sanno anche i muri – è il presidente della Camera, Gianfranco Fini, che appena due anni fa aveva sciolto Alleanza Nazionale per farla confluire nella neonata formazione unitaria del centro-destra. Nello scontro dialettico con il capo del Governo, Fini aveva polemizzato anche sulla linea politica del Giornale, di proprietà del fratello di Berlusconi e, notoriamente, favorevole alle sue posizioni politiche. Ma Berlusconi, da gran domatore di folle qual è, aveva tirato fuori dal suo cilindro un coniglio che aveva lasciato tutti di stucco: vendo il Giornale, aveva detto; anzi, lo vende mio fratello. Stupore generale. Effettivamente la notizia s’è diffusa ed ha avuto strascichi, creando un vero e proprio caso. Che ha avuto, negli ultimi giorni, due sviluppi principali. Il primo è stata la dichiarazione, diffusa in una nota, dell’editore Paolo Berlusconi (fratello del premier), che ha parlato di ingresso di nuovi azionisti nell’organigramma societario. "Il Giornale, con la nuova direzione di Vittorio Feltri e la nuova concessionaria di pubblicità, ha avviato un percorso di ristrutturazione e di sviluppo – ha detto – che si pone l’obiettivo di un equilibrio economico finanziario nel breve periodo. In tale ottica sarà possibile l’ingresso nella compagine azionaria di nuovi imprenditori che diano un fattivo contributo al raggiungimento degli obiettivi prefissati". Quindi la possibilità di vendita, o almeno di un cambiamento sostanziale, si è concretizzata, perlomeno a parole. Feltri (foto), direttore del quotidiano, se l’è presa – come solito fare negli ultimi tempi – con il Presidente della Camera. Come dire: hai provocato Berlusconi manifestandogli il tuo dissenso, e l’hai spinto a fare queste dichiarazioni, che in qualche modo porteranno a dai cambiamenti. Per il momento, però, il direttore si dichiara estraneo alla vicenda, non ne sa nulla. "Io non ne ho sentito parlare e Paolo Berlusconi, – ha detto, prima che il fratello del premier diffondesse la nota – che poi è quello che dovrebbe vendere, non mi ha mai parlato di questa intenzione". E ancora: "Non so che tipo di discorso sia avvenuto tra Silvio Berlusconi e il fratello e comunque non è la prima volta che si sentono queste voci – ha proseguito il giornalista, confermando in qualche modo l’accaduto – Io comunque penso che se anche il quotidiano cambiasse proprietà non dovrebbe cambiare linea perché il rischio è di perdere il suo pubblico, perché il Giornale ha una sua tradizione". Ma anche in questo caso, non sarebbe una novità, dal momento che l’inizio dell’era-Feltri, nel 1993 (interrotta per un decennio e ripresa da meno di un anno), aveva messo fine al ventennio in cui il foglio era stato diretto da Indro Montanelli, che aveva un altro indirizzo politico, libero dall’influenza diretta di qualsiasi partito. Anche quella fu una novità, sostanziale, di rottura con la tradizione del quotidiano. E per chi ha memoria di come avvenne il cambio di rotta e di chi fosse Indro Montanelli, non ci vergogniamo a sostenere che non si tratterebbe di un trauma più grande di quello del 1993. Tornando ad oggi, Feltri – si diceva – se l’è presa col suo (ultimo) bersaglio preferito, Gianfranco Fini: "Se per Fini il problema siamo io e Trota Bossi non valeva neanche la pena di riunire la Direzione del Pdl e fare tanto casino. Bastava un incontro ristretto alla Trattoria Falconi di Ponteranica, il mio Paese. La cena l’avrei offerta volentieri io. Sono sempre disponibile a questa soluzione". Per poi concludere: "Ho diretto tanti giornali ed è la prima volta che mi troverei in questa situazione. Bisognerà vedere: se al nuovo editore piace la mia linea si va avanti, altrimenti si troverà il modo di lasciarsi civilmente". Non ci riserviamo il diritto di dubitarne. (G.M. per NL)