di Daniele Lepido per “Il Sole 24 Ore”
Mediaset pronta a un ruolo di primo piano nel business della rete di nuova generazione a banda larga. Un obiettivo, da perseguire in caso di scorporo del network di Telecom Italia, oppure se verrà creata un’azienda ad hoc con le infrastrutture in fibra aperta apiù soggetti.
Mediaset potrebbe entrare a far parte a pieno titolo di questa newco (non ancora definita), anche se a riguardo il gruppo di Cologno Monzese evita dichiarazioni ufficiali. «Non abbiamo ancora preso una decisione perché tutto è in evoluzione – spiega Gina Nieri, consigliere di amministrazione del Biscione -ma riteniamo che la rete di nuova generazione sia un patrimonio di tutto il Paese e quindi anche di Mediaset».
Il tema della newco, quindi, «non passa fuori dal nostro interesse e dalla nostra linea d’orizzonte». Di certo, secondo Mediaset (a differenza di un gruppo come Tiscali), non sarà la televisione su internet, l’Iptv, ad essere il volano di Telecom per gli investimenti nella broadband, anche se nel momento in cui questa tecnologia dovesse affermarsi «terremo alta l’attenzione per verificare che le condizioni praticate siano trasparenti».
Intanto i contatti con l’Esecutivo sono fitti, proprio sul tema della banda larga, anche perché il sottosegretario allo Sviluppo economico con delega alle Comunicazioni, Paolo Romani, ha indicato la necessità di coinvolgere anche i soggetti televisivi nella task force deputata a pensare il futuro della rete. «Alla chiamata risponderemo», fa sapere il consigliere di Mediaset, che ieri a Capri a margine del convegno sul tema «Allargare la banda, allungare la coda», organizzato da Between, ha confermato l’interesse del gruppo per Digital Plus, che in Spagna detiene la fetta di mercato più importante della tv via satellite: un’acquisizione da realizzare attraverso lo controllata Telecinco.
L’altro tema di primo piano riguarda poi lo scontro sulle frequenze che si sono liberate nel passaggio dall’analogico al digitale e che potrebbero essere riassorbite proprio dagli operatori telefonici. Qui la posizione è netta: «Lo spettro delle frequenze assegnato alla televisione deve rimanere alla televisione – dice Gina Nieri -e secondo noi si può parlare di dividendo digitale solo ed eventualmente per gli altri broadcaster, non certo per gli operatori di telefonia mobile».
Che tradotto significa: tratteremo solo con emittenti tv e non con Vodafone, Tim, H3g, Wind o altri. «Un Paese come l’Italia nel quale c’è una densità di emittenza locale tra le più elevate al mondo non si può permettere di fare spazio ad altri servizi, proprio su queste frequenze, perché l’esigenza primaria oggi è puntare sull’alta definizione, che occupa molta banda, senza contare che vogliamo avere sul digitale terrestre un’offerta importante a pagamento».
Eppure in Paesi come Francia, Spagna e Inghilterra si stanno organizzando delle aste pubbliche sulle frequenze “liberate”. Perché non seguire la stessa strada anche da noi? «Questo è sempre il solito ragionamento – fa notare Gina Nieri – ma si deve ricordare che ne.gli altri Paesi lo Stato ha dato gratuitamente le frequenze agli operatori, mentre in Italia la transizione al digitale terrestre è avvenuta grazie agli investimenti dei privati, che la banda se la sono comprata».