Con le nuove regole sarà più difficile poter restare all’interno della categoria, poiché la contribuzione minima soggettiva sarà di gran lunga più elevata della precedente e, dati alla mano, si ritiene che saranno davvero numerosi i legali a dover valutare l’opportunità di cambiare professione.
Secondo i dati della Cassa Forense, saranno molti gli avvocati che andranno in pensione senza aver pagato contributi a sufficienza e ai quali l’ente sarà comunque costretto a passare un assegno utile per la sopravvivenza. Gli avvocati iscritti alla Cassa sono circa centomila su poco più di duecentomila iscritti all’albo, ed i rimanenti sessantamila dichiarano di non arrivare ad un reddito complessivo di diecimila euro annui, omettendo quindi di versare i contributi poiché esonerati. Il dubbio che si pone è come possano tali soggetti sopravvivere guadagnando così poco. Gli enti di previdenza purtroppo non hanno alcun modo di controllare i professionisti e l’unico metro di misura al momento esistente sono le dichiarazioni al fisco. In questo senso si sta muovendo l’operazione Poseidone, gestita dall’Inps, con il compito di smascherare coloro che non dichiarano completamente quanto percepito, al fine di assicurarsi la permanenza all’infuori dei limiti del dovere previdenziale. Ci sono anche molti legali che, a distanza di cinque anni dall’inizio attività, dichiarano meno di ventimila euro l’anno, pagando il minimo dei contributi. Sono proprio questi i soggetti che la Cassa Forense individua come i futuri percettori di una pensione effettivamente non guadagnata. Contro questo reale problema l’ente previdenziale ha pertanto individuato, quale soluzione, un aumento del minimo soggettivo sul reddito da 1.300 a 2.400 Euro, più un 4% integrativo sul fatturato ed un 1% modulare. Così facendo la Cassa dell’Ordine, relativamente ai soggetti che trascorreranno al minimo del reddito la propria vita professionale, conta di coprire circa l’80% dell’esborso totale. (P.T. per NL)