Audizione di Gentiloni alla Commissione Vigilanza

“Il sistema radiotelevisivo italiano ha bisogno di più concorrenza e di più pluralismo”


E’ solo per questa via che ci saranno maggiori opportunità di crescita per il complesso delle aziende del settore, nonché una diversa qualità dell’offerta ed un maggiore gradimento da parte dei cittadini. A vario titolo ed a vario livello, in questi anni, tutte le più autorevoli istituzioni nazionali e comunitarie si sono pronunciate criticamente sull’assetto attuale. Lo hanno fatto la Corte costituzionale, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e, da ultimo, la Commissione Europea.

Il recente disegno di legge di riforma del sistema radiotelevisivo, sulla transizione al digitale, approvato dal Consiglio dei Ministri giovedì 12 ottobre 2006, intende dare una risposta a questo complesso di esigenze, nel solco ed in conformità alle tesi espresse da queste autorevoli istituzioni.

Due sono le debolezze strutturali su cui il disegno di legge intende intervenire:

a)l’assetto oligopolistico del sistema, con una concentrazione di risorse economiche, tecniche e di audience senza paragoni in Europa in capo ai due maggiori broadcasters e una ancora più marcata concentrazione nella raccolta pubblicitaria;

b)la situazione largamente compromessa dello spettro frequenziale, la cui gestione efficiente, secondo i principi dell’ordinamento vigente, è ostacolata da una storica e consolidata situazione di occupazione di fatto delle frequenze.

Nel 1988, con la storica sentenza n. 826 che sancisce il definitivo superamento della riserva statale, la Corte Costituzionale subordinava espressamente tale superamento all’approvazione di un corpus organico di regole inteso a stabilire garanzie forti nei confronti delle tendenze monopolistiche, assicurando “il massimo di pluralismo esterno, onde soddisfare, attraverso una pluralità di voci concorrenti, il diritto del cittadino all’informazione”. In tal senso la Corte raccomandava “la necessità di regolamentare la pubblicità televisiva”, e quella, contestuale, di “realizzare un razionale ed ordinato governo dell’etere, […] assicurando il rispetto degli obblighi internazionali, il coordinamento e la compatibilità reciproca”.

Un’agenda che sembra scritta oggi!

Una volta entrata in vigore, nel 1990, la prima disciplina del sistema radiotelevisivo privato (si tratta della legge 5 agosto 1990, n. 223, c.d. “legge Mammì”), con la sentenza n. 420 del 1994 la Corte costituzionale si esprimeva in ordine ai limiti alle concessioni per la radiodiffusione televisiva in ambito nazionale assentibili in capo ad un unico soggetto come disciplinati da quella legge.

La dichiarazione di incostituzionalità, con la caducazione del dispositivo di legge che ammetteva un medesimo soggetto al possesso contestuale di tre emittenti televisive nazionali, induceva in quell’occasione la Corte a formulare un invito al legislatore, richiesto espressamente di emanare “una nuova disciplina della materia conforme a Costituzione, individuando i nuovi indici di concentrazione consentita e scegliendo tra le ipotesi normative possibili (come, ad esempio, riducendo il limite numerico delle reti concedibili ad uno stesso soggetto ovvero ampliando, ove l’evoluzione tecnologica lo renda possibile, il numero delle reti complessivamente assentibili)”.

Nel 2002, otto anni dopo quella pronuncia, la Corte stessa, nell’esercizio perdurante della sua azione di supplenza e surroga del legislatore, è infine nuovamente intervenuta in materia, stigmatizzando il perdurante assetto oligopolistico del mercato televisivo italiano e censurando con forza l’assenza, nell’ordinamento, di un limite temporale al mantenimento delle reti televisive considerate “eccedenti” dallo stesso legislatore. Tale situazione, responsabile di aver permesso la conservazione di un assetto di mercato considerato in contrasto con i principi del pluralismo, veniva sottoposta a dura critica da parte del giudice delle leggi, e qualificata addirittura in termini di “incompatibilità con i principi costituzionali”. Il protrarsi della situazione “esige – così si esprime la Corte nel 2002 – che sia previsto un termine finale, assolutamente certo, definitivo e dunque non eludibile” per la fine di quel regime transitorio che consente il possesso contestuale di tre emittenti televisive nazionali ad un medesimo soggetto. Tale termine, come è noto, venne fissato al 31 dicembre del 2003, con la sola subordinata legata all’eventuale “diverso futuro assetto che potrebbe derivare dallo sviluppo della tecnica di trasmissione digitale terrestre, con conseguente aumento delle risorse tecniche disponibili”.

Solo un mese dopo la sentenza n. 466/2002 della Corte, nel dicembre del 2002, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, in una segnalazione al Governo in merito al disegno di legge di riforma dell’assetto radiotelevisivo (la futura legge Gasparri), sottolineava come il mercato televisivo italiano, in quanto fortemente concentrato, poco dinamico e caratterizzato da una scarsa propensione all’innovazione, si caratterizzasse nei termini di un vero e proprio oligopolio strutturato, aggiungendo al riguardo come il graduale superamento del monopolio televisivo statale, realizzatosi in un contesto di sostanziale assenza di regole a partire dalla metà degli anni ’70, avesse in definitiva “prodotto un esito ancora largamente insoddisfacente sotto il profilo concorrenziale e non adeguato a garantire il pluralismo dell’informazione”.

Sul problema della raccolta pubblicitaria , d’altra parte , si era espressa la Presidenza della Repubblica con il citato messaggio alle Camere del 15 dicembre 2003 con cui il Presidente della Repubblica affermava “Per quanto riguarda la concentrazione dei mezzi finanziari, il sistema integrato delle comunicazioni (SIC) – assunto dalla legge in esame come base di riferimento per il calcolo dei ricavi dei singoli operatori di comunicazione – potrebbe consentire , a causa della sua dimensione, a chi ne detenga il 20 % … di disporre di strumenti di comunicazione in misura tale da dar luogo alla formazione di posizioni dominanti. Quanto al problema della raccolta pubblicitaria, si richiama la sentenza della Corte costituzionale n. 231 del 1985 che, riprendendo principi affermati in precedenti decisioni, richiede che sia evitato il pericolo <> “.

Tali autorevoli pronunciamenti hanno ricevuto effettivamente una conferma nel corso dell’indagine conoscitiva sul settore televisivo (maggio 2003 – novembre 2004). Esprimendosi in quell’occasione sulle dinamiche concorrenziali del mercato della raccolta pubblicitaria televisiva, l’Antitrust rilevava come tale mercato sia caratterizzato “da un’elevata concentrazione, che non ha riscontro negli altri Paesi europei nonché dalla presenza di elevate barriere all’ingresso”; un mercato “contraddistinto, a differenza degli altri mercati pubblicitari, da elevate rendite monopolistiche”. Tale complesso di circostanze ha costituito, per espressa ammissione dell’Autorità stessa, il “presupposto fattuale” in base al quale l’indagine è stata avviata.

A conclusioni non dissimili è ripetutamente pervenuta anche l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Nella Relazione al Parlamento al 30 giugno 1999 essa osservava, con riferimento al mercato televisivo nazionale, che “i due principali operatori controllano larga parte dell’offerta e delle risorse economiche, mentre gli altri soggetti della televisione in chiaro occupano posizioni marginali”. In quella al 30 giugno 2002 il tema era ulteriormente approfondito in questi termini : “si deve continuare a rilevare come risulti particolarmente difficile per un nuovo entrante contendere quote di audience e, quindi, delle risorse pubblicitarie ai due operatori dominanti che, assieme, continuano ad assorbire circa il 90% del totale delle risorse pubblicitarie destinate al settore televisivo […]. Peraltro, restano particolarmente elevate le barriere all’entrata che un operatore deve affrontare per posizionarsi sul mercato con un’offerta adeguata a raggiungere quote di audience compatibili con una gestione economica in equilibrio”.

Più di recente, nella relazione al Parlamento al 30 aprile 2004 sul grado di diffusione della televisione digitale terrestre, l’Autorità ha osservato come, anche nella prospettiva dei nuovi scenari tecnologici, siano ancora “di piena attualità i problemi della garanzia dell’accesso alle reti e della distribuzione delle risorse economiche per consentire un equilibrato sviluppo del sistema anche con l’ingresso di nuovi soggetti”.

Con specifico riguardo alle dinamiche concorrenziali del mercato della raccolta pubblicitaria nel settore televisivo, le preoccupazioni espresse dall’Autorità nazionale di vigilanza sui mercati trovano precisi riscontri nei dati forniti nelle relazioni al Parlamento dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Trova conferma in questi dati come il maggior broadcasters privato nazionale detenga stabilmente una quota prossima al 60 % del mercato, quota che, dopo la fase distabilità del biennio 2001-2002, registra un tendenziale incremento nel periodo 2003-2005. A riguardo si deve ricordare come nella giurisprudenza e nella prassi comunitaria la stabilità della quota di mercato è considerata come indiscutibile indice di dominanza.

Nel luglio scorso la Commissione europea, con lettera di messa in mora del 19 luglio 2006, ha aperto una procedura di infrazione in capo allo Stato italiano, contestando in particolare il contrasto di taluni aspetti fondamentali della legge n. 112/04, e del Testo Unico della radiotelevisione, con il quadro delle regole comunitarie in materia di gestione efficiente dello spettro e di accesso non discriminatorio alle risorse frequenziali ed ai relativi diritti d’uso, con connessi ripetuti rilievi in ordine alle barriere esistenti all’ingresso di nuovi operatori ed all’esigenza di rimuovere sollecitamente tale situazione attraverso le opportune iniziative, onde evitare la prosecuzione della procedura stessa.

Il Governo italiano, alla luce delle osservazioni e dei rilievi formulati dalla Commissione, ha dichiarato, nella nota di risposta del 13 settembre 2006, la volontà di adeguare la legislazione interna alle disposizioni dell’ordinamento comunitario violate, (si tratta, nello specifico, dell’articolo 9 della direttiva quadro, degli articoli 3, 5 e 7 della direttiva autorizzazioni e degli articoli 2 e 4 della direttiva sulla concorrenza) e la disponibilità di promuovere a tal fine, con la massima sollecitudine, le necessarie iniziative legislative. In particolare il Governo si è impegnato a presentare entro ottobre 2006 un disegno di legge di riforma del sistema radiotelevisivo finalizzato a disciplinare la fase transitoria del passaggio dalla tecnologia analogica alla tecnologia digitale secondo i principi dell’ordinamento comunitario.

Il presente disegno di legge, inteso a dettare le regole del sistema televisivo nella fase di transizione dalla tecnica analogica a quella digitale, si inserisce in questo articolato e complesso quadro di insieme; ne presuppone l’intera ricca trama di riferimenti, osservazioni e rilievi; guarda con attenzione all’evoluzione dello scenario tecnologico ed all’ingresso delle nuove tecnologie trasmissive nel mercato del broadcaster televisivo; si misura, con le esigenze di crescita e con le compatibilità delle imprese del settore, ed opera in tal senso in una logica contestuale di promozione della concorrenza e di valorizzazione delle risorse esistenti.

I punti qualificanti della proposta del Governo sono:

l’adozione di misure intese a contenere la raccolta di risorse pubblicitarie nel settore televisivo in capo a ciascun soggetto entro limiti idonei a contrastare il consolidamento di posizioni dominanti e la frapposizione di insuperabili barriere all’ingresso dei nuovi operatori;

il superamento delle barriere normative e regolamentari all’ingresso di nuovi soggetti nel mercato della televisione digitale terrestre, in funzione della massima apertura del mercato;

la limitazione dei fenomeni di sovrapposizione e ridondanza nell’utilizzo delle risorse frequenziali da parte dei singoli operatori, in conformità ai principi comunitari e nazionali di uso efficiente dello spettro radioelettrico;

l’adozione di misure idonee a consentire la deconcentrazione del mercato delle reti radiotelevisive, la liberazione di frequenze e l’assicurazione di generali condizioni di obiettività, trasparenza, proporzionalità e non discriminazione nell’accesso e nell’uso delle risorse frequenziali, secondo quanto richiesto dalla Commissione Europea;

l’assicurazione dell’accesso alla banda larga a tutti gli operatori interessati secondo condizioni e criteri di obiettività, trasparenza, proporzionalità e non discriminazione;

una disciplina della rilevazione degli indici di ascolto televisivo secondo criteri intesi ad assicurare la massima rappresentatività di tutte le piattaforme trasmissive e di tutti gli operatori presenti sul mercato;

un sistema sanzionatorio più efficiente quanto ai meccanismi del presidio e più efficace quanto alla misura delle sanzioni, in linea con i rilievi e le sollecitazioni formulate in argomento dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni nella sua segnalazione al Governo del 12 luglio 2006.
Il riassetto della società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo e la valorizzazione della sua funzione di servizio pubblico

Il riassetto della società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo e la valorizzazione della sua funzione di servizio pubblico sono ormai diventate improrogabili.

L’articolo 21 della legge n. 112/04 è intitolato “Dismissione della partecipazione pubblica dello Stato nella RAI”. Già all’epoca della entrata in vigore della legge, vi erano fondate ragioni per ritenere che la dismissione di partecipazione dello Stato nella RAI, ovvero l’avvio del procedimento di alienazione della partecipazione stessa, richiamato nell’articolo 21 comma 3, costituissero una sorta di auspicio, piuttosto che non il prologo di una operazione chiaramente definita nei contenuti e prevedibile negli esiti.

Secondo la legge n. 112/04 l’offerta pubblica di vendita avrebbe dovuto essere lanciata entro il 2004. Ciò, come sappiamo, non è accaduto.

Le condizioni imposte, infatti, comprensive di due vincoli fortemente penalizzanti rispetto ad una prospettiva di effettiva privatizzazione della società concessionaria, ossia il divieto per i singoli azionisti di detenere oltre l’1 % delle azioni aventi diritto di voto di RAI s.p.a., nonché il divieto nei riguardi di patti di sindacato o accordi tra soci per una soglia superiore al 2 % delle azioni, appaiono infatti soluzioni del tutto inadeguate.

Il disegno di legge di disciplina del settore televisivo nella fase di transizione alla tecnologia digitale, appena presentato alla Camera, all’art. 6 comma 6 il citato art. 21.

Qualunque abbozzo di nuove linee guida per il riassetto e la governance del servizio pubblico radiotelevisivo non potrà non partire da questo bilancio fallimentare della passata legislatura. Sono in primo luogo i cittadini, gli utenti del servizio pubblico, che richiedono una effettiva riqualificazione e valorizzazione della missione della RAI; nuove regole di governance idonee ad allentare il controllo della politica sul servizio pubblico; un assetto societario ed organizzativo moderno, all’altezza delle sfide, capace di portare anche nuove risorse e nuove intelligenze nella gestione della società, una netta separazione tra le funzioni di servizio pubblico, finanziate dal canone, quelle di TV commerciale alimentate dalla pubblicità e quelle di operatore di rete. Il tutto nell’ambito di una separazione societaria che mantenga l’unitarietà del servizio pubblico.

Dunque una doppia sfida per la RAI: riforma legislativa per gli aspetti societari e di governance, e rinnovamento editoriale e produttivo per migliorare qualità e valore pubblico della programmazione. Il complesso gioco tra domanda e offerta nel mercato televisivo assume per la RAI una caratteristica particolare: è la qualità dell’offerta del servizio pubblico a dover innalzare la qualità della domanda dei cittadini, influenzando in tal modo l’intero sistema televisivo. E’ questa la centralità della RAI che vogliamo.

Su questi temi il Governo approverà un disegno di legge entro la fine dell’anno, preceduto da ampia consultazione pubblica.

Alla stessa impostazione risponde il lavoro che il Ministero sta svolgendo per il nuovo Contratto di Servizio, che verrà sottoposto alla Commissione per il parere.

18 ottobre 2006 ore 14 – Palazzo S. Macuto – Roma

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