Nel 2018, intenzionata a diventare la piattaforma leader nel promettente settore podcasting, Spotify nomina Chief Content Officier Dawn Ostroff, manager proveniente dall’industria televisiva e reduce da innumerevoli successi quali America’s Next Top Model. A distanza di quattro anni le cose, però, non sembrano essere andate secondo i piani. Anzi.
Chi più spende….
2018: forte di un budget di un miliardo di dollari, Dawn commissiona podcast a nomi di primissimo piano quali la famiglia Obama, Kim Kardashian, Megan Markle e marito, il principe Harry.
… non sempre spende bene
Ma a fine 2021 Spotify si pone la domanda: sono soldi ben spesi? Quanti nuovi big hit sono stati creati? A differenza di Netflix, che ogni sei mesi mette a segno almeno un grandissimo successo i risultati sono disastrosi: nessuno di questi presunti talenti ha prodotto numeri importanti.
Quadro preoccupante
Cosi inizia un articolo di Bloomberg Businessweek che offre un quadro molto preoccupante del nuovo settore di punta di Spotify. Proprio quello che avrebbe dovuto risollevare i conti della società bloccata fino a quel momento nel non redditizio segmento della musica in streaming.
Redditività
“Adesso si punta tutto sul podcast” aveva affermato nel 2018 il CEO di Spotify, Daniel Ek. Il motivo, su cui aveva sorvolato in quella conferenza stampa, era l’impossibilità di rendere redditizio il tradizionale settore della musica: con un 70% dei ricavi che devono andare direttamente alle case discografiche il solo business audio non aveva mai convinto Wall Street.
Deezer – 35%
Non si tratta di un caso isolato: il 5 luglio 2022, giorno del suo ingresso in borsa, la concorrente Deezer ha visto il valore del proprio titolo chiudere in ribasso del 35%. In un solo giorno, il primo giorno.
Piattaforma leader, 2% dei ricavi
I numeri per Spotify sono preoccupanti. Nel primo trimestre del 2022 i podcast non hanno rappresentato che il 7% delle ore di ascolto globale da parte degli utenti della piattaforma, mentre in termini di ricavi il risultato è ancora più deludente: un mero 2% del totale.
Tutto questo in un anno in cui lo show più importante, The Rogan Experience, ha causato non poche difficoltà relazionali alla società.
Titolo depresso
Non meraviglia dunque l’andamento non esattamente brillante del titolo in borsa, anche se va detto che in termini di utenti la piattaforma resta dominante a livello mondiale. Si parla infatti di 182 milioni di abbonati paganti (a titolo di paragone, Netflix conta 221 milioni di utenti paganti anche dopo la famosa contrazione dello 0.09%. Ma – va detto – il suo fatturato è tre volte quello di Spotify).
Quattro milioni di podcast non bastano
Oggi la piattaforma vanta quattro milioni di podcast, ma l’obiettivo è di arrivare a 50 milioni entro il 2025. Una strategia che non può funzionare, secondo il podfather Adam Curry che ha vissuto una simile esperienza con la sua startup PodShow/Mevio.
Una strategia dubbia
“Con questo numero di titoli devi avere migliaia di addetti alle relazioni con i creator“, ha affermato Adam durante Podcasting 2.0, “gente in grado di spiegare come impostare la voce e come utilizzare la tecnologia. E poi devi creare un advertising network che possa vendere pubblicità su gruppi omogenei di podcast, ma a questo punto devi avere altri addetti al controllo qualità che verifichino che i contenuti siano accettabili per gli inserzionisti.
Forti dubbi
In nessun modo questo modello economico centralizzato può funzionare, io lo ho vissuto e loro se ne renderanno presto conto”, ha concluso Adam.
Integrazione verticale
D’altro canto, osserva Bloomberg, Spotify potrebbe ancora divenire la piattaforma leader. Si trova infatti oggi su una traiettoria simile a quella scelta anni fa da Netflix: trasformarsi da piattaforma di hosting a società integrata di produzione e distribuzione di contenuti.
Vantaggio o svantaggio?
Certo, fino alla fine del 2021 questa trasformazione sarebbe stata vista positivamente. Come sappiamo molti – ma non chi scrive – hanno visto nella contrazione di Netflix l’inizio di un trend inarrestabile, visione pessimistica che potrebbe ripercuotersi anche su Spotify. Occorrerà dunque attendere fine anno per avere qualche risposta e questo vale tanto per Netflix quanto per Spotify.
FM/AM, un mercato da 10 miliardi di dollari
L’articolo di Bloomberg si conclude con una domanda particolarmente interessante per gli operatori del settore radiofonico: riuscirà la strategia dei 50 milioni di podcast a sottrarre parte dell’enorme mercato pubblicitario catturato oggi dalle emittenti AM e FM statunitensi? Si tratta di 10 miliardi di dollari, non certo una piccola torta: The jury is out, ne riparleremo. (M.H.B. per NL)