Non si arrestano polemiche e colpi di scena nella vicenda che vede Spotify opposta ad alcuni suoi artisti, primo fra tutti Neil Young. Ricordiamo le origini della vicenda, di cui NL si è occupata a fine gennaio: Neil Young, accortosi che la piattaforma ospitava i podcast di Joe Rogan, creator controverso conosciuto per posizioni antivax, aveva posto alla società svedese un aut aut: lui o me.
E la società aveva scelto il podcaster. Ma anche quanto è successo dopo vale la pena essere raccontato, visto che la proposta di Rumble potrebbe far crollare rapidamente il faticosamente guadagnato dominio di Spotify nell’audio on-demand.
Non solo il vecchio Young
Primo evento rilevante, Young non è più solo. Il 2 febbraio 2022 anche Crosby, Stills e Nash si sono uniti alla protesta (permettendo tra l’altro a Rolling Stone di pubblicare il gustoso titolo “C, S, N & Y reunite….in removing their music from spotify”). Successivamente sono stati rimossi i cataloghi di Joni Mitchell, Nils Lofgren e perfino i podcast della nipote dell’ex presidente USA, Mary Trump, mentre si mormora che lo stesso potrebbe fare a breve Taylor Swift.
There’s been a lot of conversation about information regarding COVID-19 on Spotify. We’ve heard the criticism and we’re implementing changes to help combat misinformation. https://t.co/ic8jfR1RNR
— Daniel Ek (@eldsjal) January 30, 2022
Siamo solo una piattaforma…
Nel frattempo Spotify ha ribadito l’indipendenza dei propri podcaster posizionandosi – in analogia a Facebook e Twitter – come piattaforma neutra. Fatto che contrasta in modo stridente con il cachet di 100 milioni di dollari USA che la società ha pagato a Rogan per assicurarsene l’esclusiva.
…ma abbiamo delle regole
La posizione ufficiale è che se un creator rispetta le regole della piattaforma allora ha il diritto di dire quello che vuole. E nel caso specifico Dustee Jankins (Head f Global Communications per Spotify) ha affermato in un gruppo slack privato che “sono state riascoltate numerose puntate controverse dello show di Rogan e nessuna va oltre i limiti imposti dalle nostre regole”.
Il vaccino causa la morte, ma non è creato per causarla
Secondo i leaks pubblicati da The Verge (sì, perché i criteri di Spotify non sono pubblici!) la regola applicata è la seguente: nessun problema ad affermare che il vaccino anti-covid possa causare la morte, ma vietato dire che è stato deliberatamente creato per causarla.
Parla il CEO
Il 7 febbraio il CEO di Spotify Daniel EK ha affermato che Rogan è trattato come tutti gli altri podcaster della piattaforma, indipendentemente dall’esclusiva da 100 milioni di dollari. “Rogan è essenziale per il successo di Spotify come podcasting platform” – ha aggiunto – “e la sua presenza fornisce leverage nelle negoziazioni con Amazon, Google e Tesla“ .
Tesla?
Tesla? Nessuna fonte da noi consultata spiega la citazione di Tesla in questo gruppo. La nostra ipotesi dunque è che Spotify stesse cercando di guadagnarsi una posizione privilegiata nel cruscotto delle auto più cool (ed elettriche) del pianeta, un po’ come GEDI ha fatto rispetto a quelle Stellantis (in quest’ultimo caso aiutata dal trascurabile fatto di condividerne il presidente).
Episodi rimossi
Ed eccoci al colpo di scena di venerdì 4 febbraio. Il sito https://jremissing.com/ ha fatto il suo debutto in società evidenziando come alcuni episodi della Joe Rogan Experience erano stati rimossi dal catalogo Spotify. L’elenco (aggiornato all’ 8 febbraio) indica in 113 gli episodi censurati e spariti nel nulla.
N-word
Per questi episodi non si tratterebbe di problemi legati al covid, ma all’uso di quella che viene definita “n-word”. Parola che tanto fa orrore da esserne difficile trovare la traduzione/spiegazione: per chiarirla ai nostri lettori ricorriamo dunque all’Urban Dictionary:
N word: può essere usata solo per criticare qualcuno che ha usato la n word (generalmente un bianco)
I stand with Joe Rogan. It is not a coincidence that the attacks calling him racist come as pressure on Spotify to censor builds.
Politicians and the media profit on division & outrage. They fuel the extremes that make us believe we’re divided. We’re not. We’re in this together.
— Lex Fridman (@lexfridman) February 5, 2022
Ospiti adirati
A questo punto Rogan ha dovuto far fronte all’ira degli ospiti (censurati) del suo programma, che hanno iniziato a parlare di cultura della censura promossa indirettamente dal conduttore. Il che non sarebbe grave, non fosse che sulla stessa tesi si è espresso anche uno dei grandi pensatori del nostro tempo, il podcaster Lex Fridman
Rumble
Ed eccoci alla novità della notte tra il 7 e l’8 febbraio. Il CEO di Rumble, piattaforma di video streaming di recente costituzione, offre pubblicamente a Rogan non solo spazio senza censura per tutti i podcast del creator, passati e futuri, ma anche “100 milioni di dollari in quattro anni”.
Una piattaforma aperta perfino a Donald Trump
Proposta provocatoria, esacerbata dal fatto che Rumble, oltre a ospitare pezzi provenienti da Reuters e New York Post pare reo di promuovere video favorevoli addirittura all’ex presidente USA, Donald Trump. Ed aver ricevuto finanziamenti da Peter Thiel, fresco di dimissioni dal board di Meta/Facebook (M.H.B. per NL)