Newslinet ha spesso parlato di podcasting e di come questo medium stia rivoluzionando un settore che negli USA conta ormai 120 milioni di ascoltatori mensili, probabilmente sottratti in parte alla tradizionale radio lineare. Molte innovazioni vengono appunto dagli States, ma proprio dal vecchio continente arriva una success story degna di essere raccontata. Si tratta della serie di podcast del londinese The Economist, storica testata la cui quota di maggioranza (ma con solo il 20% dei diritti di voto) è detenuta dalla famiglia Agnelli/Elkann.
I podcast
Oltre a un podcast principale, ovviamente denominato The Economist Podcast, la testata ha creato una serie di prodotti verticali, tra i quali il quotidiano The Intelligence (“un lampo giornaliero di illuminazione globale dalla rete di corrispondenti in tutto il mondo“), l’affascinanteThe World Ahead from The Economist (“serie di sguardi al futuro che esaminano una varietà di scenari speculativi, ipotesi e profezie provocatorie”) e Babbage, un contenuto sulla tecnologia che prende il nome dall’inventore della “analytical engine“, un computer programmabile totalmente meccanico ideato nel 1837.
I numeri
Secondo quanto riportato da Vulture, la media dei download durante il mese di marzo 2023 è stata di 25 milioni (non è specificato, ma immaginiamo per il totale delle testate): certamente non al livello dei 125 milioni del Daily del New York Times, ma il trend risulta essere in continua crescita. Gli utenti unici sono raddoppiati dal 2019 a oggi, raggiungendo quota 5 milioni.
Utenti
Non che raddoppiare gli ascoltatori in un periodo cosi’ lungo e in questo momento storico sia un dato particolarmente eccellente: ma occorre tenere presente la natura decisamente elitaria della pubblicazione.
Pionieri
Altro aspetto interessante è quando The Economist ha iniziato a creare podcast: non nell’attuale periodo di frenesia globale, ma addirittura nel 2006, all’epoca dei primi iPod. A quei tempi si trattava di speaker che leggevano ad alta voce gli intricati articoli del settimanale.
Nazional-impopolare
Tutta da analizzare l’impostazione dei podcast, il cui target sono le élite al potere, attuali e future (e magari anche chi amerebbe farne parte).
Dove in genere i podcaster tendono a livellare verso il basso il livello della conversazione al fine di essere comprensibili alla massa degli ascoltatori, qui l’idea pare essere quella diametralmente opposta.
No emotions, we’re british
Per spiegare il concetto utilizziamo – traducendole letteralmente – le osservazioni di Nicholas Quah: “I podcast di The Economist sono piacevolmente distaccati, indifferenti. Piuttosto che essere calibrati sul livello di conoscenza comune che gli ascoltatori potrebbero avere con l’argomento trattato, essi danno piuttosto l’impressione che siano gli ascoltatori a doversi elevare al livello di colui che conduce il podcast”. E la cosa non ci dispiace.
I’ve read @TheEconomist since I was a kid 🤓and I remember exactly where* I was when an early ipod owner told me what a podcast was. So I’m beyond chuffed to see a pod we made make the cover pic.twitter.com/2TxFtrYEr9
— John Shields (@johneshields) September 30, 2022
John Shields
Il responsabile della divisione audio di The Economist, John Shields, ha spiegato: “Credo che il livello giusto di bilanciamento sia quello in cui chi ascolta impari qualcosa (dai nostri podcast), ma debba anche fare un suo lavoro di ricerca (“to fill in the blanks”), quello che fa qualunque spettatore di un’emissione (o una serie) che parla di crimine. Chi ascolta deve fare la sua parte, ricercare per cercare di comprendere.
Far lavorare i due emisferi del cervello
Infine, The Economist sta sperimentando i radio documentari, come ad esempio “Next Year in Moscow“, dove il reporter Arkady Ostrosky esplora gli effetti del conflitto in Ucraina sulla vita dei cittadini Russi che si oppongono all’invasione.
Tono
Non un lavoro semplice sul piano narrativo: per mettere a punto il tono, che non doveva essere né troppo distaccato né troppo emotivo e che “facesse lavorare entrambi gli emisferi del cervello simultaneamente” sono stati necessari continui confronti tra gli editor: un processo iterativo che continua tutt’ora. (M.H.B. per NL)