Gennaio 2022 ha visto un flusso continuo di notizie e novità nel settore podcasting. I grandi gruppi editoriali hanno lanciato importanti iniziative anche in Italia, mentre, a livello globale, la rimozione del catalogo musicale di Neil Young da Spotify ha mostrato come la migrazione di alcuni podcast da piattaforme indipendenti verso i superplayer possa portare anche il nascente settore a fare i conti con le medesime problematiche che affliggono Facebook e Twitter.
Il podcast sta alla Radio, come lo streaming on demand alla tv lineare? E’ per questo che i grandi gruppi radiofonici italiani iniziano a buttarcisi? Il fenomeno non rischia di uccidere sul nascere quella libertà ritrovata dai produttori di contenuti indipendenti – la stessa che esisteva ai tempi delle prime radio libere, soffocate in un mare di grandi successi e clock ottimizzati?
Facciamo il punto su queste e altre sfaccettature della vicenda con l’aiuto di Laura Badiini, professionista con un’esperienza diretta e, in prima persona, delle dinamiche del settore attraverso la compagnia di produzioni podcast Kvox.it.
Neil Young
La vicenda di Neil Young è tanto semplice quanto meritevole di essere seguita nei suoi sviluppi. In sintesi, l’autore di Heart of Gold ha chiesto alla piattaforma di streaming la rimozione del proprio catalogo musicale dopo che questa ha a sua volta rifiutato la rimozione dalla sezione podcast di alcuni episodi della serie Joe Rogan Experience.
L’accusa – condivisa anche dall’interno di Spotify stessa – è che questa promuovesse tesi complottistiche sul Covid-19, in particolare nell’episodio che ha visto come ospite Alex Jones.
Spotify Exclusive
L’interesse della vicenda sta nel fatto che i podcast di Rogan, precedentemente distribuiti su tutte le piattaforme, come la grande maggioranza dei prodotti di questo tipo, era diventata un’esclusiva Spotify proprio a gennaio 2022. Gli svedesi hanno preferito mantenere in linea Rogan (il cui ingaggio è costato a Spotify 100 milioni di dollari USA) e sopprimere la musica dell’anziano Young, una scelta “di libertà di parola” contraria a quella dei social californiani. O forse di opportunità finanziaria.
GEDI
L’altro evento rilevante di gennaio è stata la discesa in campo in gran stile del gruppo GEDI, supportata da una brillante campagna di sostegno su social e sulle radio del gruppo. OnePodcast – nome dell’iniziativa che ha esordito il 20 gennaio 2022 – riunisce le auto-definite grandi firme delle testate della galassia Elkann, La Stampa, Repubblica, HuffPost e le produzioni delle radio del gruppo (Deejay, M2O e Capital).
iHeartMedia
OnePodcast vanta inoltre un importante accordo con iHeartMedia che prevede la distribuzione, anche in versione italiana, di “migliaia di popolari titoli” estratti dal portafoglio di “più di 750 podcast” oggi presenti su iHeart.
Radiomediaset
Sta inoltre per arrivare la (ennesima) nuova versione di United Music di casa (Radio)Mediaset e anche gli altri editori affilano le armi. Come spesso accade informazione e hype attorno al fenomeno tendono a confondersi, tanto che a giustificazione di queste mosse abbiamo letto frasi quali “Il podcast consente di conoscere esattamente chi lo scarica, chi ascolta le puntate, quanto le ascolta con un profilo perfetto del target”.
Kvox
Ma è proprio così? Per andare a fondo della questione abbiamo pensato di parlarne con una persona che vive i podcast in prima persona, ideandoli, producendoli e mettendoli in linea: Laura Badiini, creator e coordinatore della compagnia audio italiana Kvox.it
Laura Badiini (sì, con due i)
Laura è una speaker, social media manager e podcast producer italiana. Dopo un’esperienza in diverse superstation radiofoniche si è dedicata al settore online diventando una delle anime di Kvox, casa di produzione tricolore ben nota ai lettori di Newslinet, se non altro perché è produttore dei podcast della nostra testata. Oltre agli aspetti creativi, Laura si occupa anche dei risvolti tecnologici del settore podcast.
La questione piattaforme
(Newslinet) – Cominciamo dalla questione piattaforme. Il podcasting sembrava un settore stile web 1.0, quando non esisteva un solo player dominante, ma ora…
(Laura Badiini) – Nel digitale è tutto molto veloce, basta poco per uscire dal mercato. Tieni presente che il podcast – anche se per l’Italia sembra essere appena nato – non è proprio così recente. The Guardian colloca il primo podcast nel 2003, Adam Curry ha esordito il suo nel 2004 e, nel 2007, Apple crea su iTunes una sezione dedicata al Podcast.
Non una bolla
Il podcasting non è una bolla destinata a sparire nel nulla, sta solo crescendo. Esattamente come fece Facebook. Nel 2009 quanti in Italia avevamo un profilo sul famoso social network? Nel 2022 credo che in tanti ne abbiano addirittura più di uno.. Ogni anno si dice che Facebook è morto, in realtà sta benissimo. Secondo me, il vero boom del podcast si avrà con le auto connesse. Ma è un mezzo così duttile che è difficilmente prevederne le immense potenzialità.
Palinsesti paralleli
Ad esempio gli editori radiofonici potrebbero creare un “palinsesto” di contenuti parallelo rivolto a quei target che non riescono a raggiungere, mentre per le aziende può essere un importante strumento di formazione interna, così anche per scuole e università.
La sovrabbondanza di titoli
(NL) – Abbiamo visto di recente come il CAGR del numero dei podcast sia ben superiore a quello degli ascoltatori. Questa è anche la tua sensazione, da operatore del settore ?
(L.B.) – Effettivamente c’è stata una crescita esponenziale del numero dei podcast. In Italia Spreaker, la piattaforma hosting più utilizzata, anche perché è nata proprio qui, prima di essere acquistata da Voxnest, ha registrato un aumento del numero di podcast fra il 500 e il 700%. Sono spuntate serie in podcast come funghi. Ma tantissime non hanno avuto seguito. Molti hanno iniziato e poi abbandonato.
Morte precoce
Anche il numero dei podcast inattivi sembra essere altissimo. In generale, emergere nel mondo digital è sempre un problema, al podcasting si aggiunge quello della praticamente inesistente discoverability. Quando andiamo a caricare una serie podcast la possiamo inserire in una categoria, ma queste spesso sono troppo vaghe e non corrispondono precisamente alla nostra idea. In più ogni piattaforma gestisce le categorie in modo differente. Ecco che la ricerca del podcast si fa complessa.
SEO
Bisogna aggiungere il fatto che la SEO è qui agli inizi ed è ancora difficile per le varie piattaforme presentarci podcast in base ai nostri interessi. Insomma troviamo un podcast più facilmente se ne conosciamo l’autore e il titolo. Credo che in tanti si limitino ad ascoltare ciò che sta in classifica. In Francia i podcast più ascoltati sono i rattrapage radiofonici perché si tratta di titoli già conosciuti.
Budget
Non dobbiamo dimenticare, infine, che se produciamo un podcast e dedichiamo ad esso tempo per la sua realizzazione, l’obiettivo che ci poniamo è che venga ascoltato, che si crei una community fedele attorno a esso e questo si ottiene solo con investimenti pubblicitari. Quindi bisogna predisporre sempre un budget per ampliare il nostro bacino di utenza.
Il mercato italiano
(NL) – Qualche dato sul mercato italiano dal tuo osservatorio privilegiato: di quanto “siamo indietro” rispetto al mondo anglosassone o anche francese. E quali le esperienze più’ significative…
(L.B.) – L’Italia mi sembra indietro di almeno 3 /4 anni. Gli italiani sono sempre molto diffidenti verso le “novità”. Nel mondo anglosassone e anche in quello francese le cose stanno un po’ diversamente. Seguo molto il mercato podcast francese, radiofonicamente parlando lo trovo quello che più si avvicina al modello italiano (anche se ci sono sempre parecchie divergenze) dunque è facile fare paragoni. La Francia ha un numero di ascoltatori podcast di molto superiore all’Italia ma soprattutto gli editori si sono mossi da tempo per inserire l’audio nelle proprie strategie digitali.
Trenta milioni di ascoltatori
RMC France è la radio numero uno per l’ascolto podcast con quasi 30 milioni di ascoltatori, ha registrato un aumento del 51% e alla fine dello scorso anno aveva ben 4 programmi in Top 20, oltre ad aver lanciato podcast nativi disponibili solo su piattaforme. France Inter ha creato podcast per giovanissimi suddivisi per fasce d’età. In generale la radio pubblica francese ha creato podcast per i più piccoli su una app a pagamento. In Italia l’evoluzione è più lenta anche se alcune realtà stanno mettendo a punto una iniziative interessanti che iniziano a sfruttare lo strumento nel modo giusto.
Profilazione
(NL) – Un recente articolo apparso sulla stampa tradizionale afferma che “il podcast consente di conoscere esattamente chi lo scarica, chi ascolta le puntate, quanto le ascolta con un profilo perfetto del target”. Quando l’anno scorso intervistammo Leo Laporte, il fondatore di Twit ci aveva raccontato una storia totalmente diversa. Ci faresti un reality check su questa affermazione ?
(L.B.) – I dati del podcast sono ancora molto limitati. Siamo abituati alla quantità di numeri che ci restituisce Google analytics su chi visita i nostri siti web o a quelli di Facebook. Ma piano piano le piattaforme stanno implementando i risultati. Apple podcast, per esempio, è ancora povero di elementi ma, Spotify ha aggiunto molti più dati che ci permettono di capire come l’ascoltatore ascolta il nostro podcast.
Marketing mix
(NL) – Le aziende italiane inseriscono il podcast nel loro marketing/communication mix ? Riesci a fare un confronto costi/contatti tra una classica campagna radiofonica ed una che fa uso di podcast ?
(L.B.) – Sì alcune aziende stanno inserendo il podcast nel loro marketing mix. Qualche giorno fa leggevo che alcune lo fanno perché risparmiano rispetto a un video. Ma dubito sia questa la ragione, se invece così fosse sarebbe un ragionamento errato. L’audio non può sostituire il video. Hanno dinamiche e linguaggi differenti. Inoltre non si può paragonare una campagna radiofonica all’utilizzo di un branded podcast.
Branded podcast
Due i motivi principali: attualmente i numeri dei podcast non sono ancora quelli della radio, secondo, ma più importante, la pubblicità radio ti viene imposta, il podcast te lo scegli. Mentre sono in auto e ascolto la radio, spesso, quando partono i cluster pubblicitari, inizio a passare da una stazione all’altra alla ricerca di musica. Se invece mi ritrovo ad ascoltare un branded podcast è per una mia decisione. Il brand in quel momento mi sta proponendo qualcosa che mi interessa e, di conseguenza, mi riconosco nei suoi valori. Il podcast non è uno spot pubblicitario più lungo.
L’importanza dei contenuti
Ma il podcast aziendale deve fornire contenuti interessanti all’ascoltatore, se voglio conoscere le caratteristiche di un prodotto ci sono luoghi più adatti dove scoprirli. Branded Podcast interessanti sono Destinazione Piacere di Muller Italia, di cui sono stata ideatrice e coordinatrice, realizzato da Kvox, Idee Illuminate di Finder realizzato da Rossella Pivanti, Cose Molto Elettrificate prodotto da Voisland dove Enel ha deciso di brandizzare 5 episodi di Cose Molto Umane di Giampiero Kesten, Les diaboliques di BPER Banca prodotto da Storielibere.fm, giusto per citarne alcuni. Magari si può paragonare la pubblicità programmatica nei podcast alle campagne radiofoniche ma è ancora presto per fare un vero e proprio confronto. (M.H.B. per NL)