Spotify fa break even. La società ha finalmente chiuso un anno fiscale non in perdita; anzi, con un utile di esercizio importante.
Frutto di tanti tagli e di messa a punto dell’offerta. E forse, in parte, anche di un astuto utilizzo della Intelligenza Artificiale Generativa.
Sintesi
Spotify ha raggiunto un traguardo storico, chiudendo per la prima volta in utile dopo 18 anni di attività.
Questo risultato è stato ottenuto grazie a una combinazione di tagli alle spese, aumento dei prezzi degli abbonamenti e il successo del video podcasting.
La piattaforma ha registrato una crescita significativa, raggiungendo 675 milioni di utenti attivi mensili e generando ricavi sufficienti per pagare 10 miliardi di euro all’industria musicale nel 2024.
Tuttavia, mentre l’azienda celebra questo successo economico finanziario, emergono nuove sfide e controversie, in particolare legate alla presenza sempre più massiccia di musica generata dall’intelligenza artificiale sulla piattaforma.
Nel frattempo, il servizio continua a rimandare il lancio della tanto attesa funzionalità Hi-Fi, annunciata nel 2021 ma ancora non disponibile.
Spotify fa Break Even
“Ci sono voluti solo 18 anni ma ci siamo arrivati” pare abbia affermato a fine 2024 Daniel EK, CEO di Spotify. Si riferiva al fatto che per la prima volta la società ha potuto chiudere un anno finanziario senza subire una perdita di esercizio. Il condizionale è dovuto al fatto che l’intervista originale – dove avrebbe pronunciato la frase – non la abbiamo trovata: piuttosto, sono facilmente recuperabili infiniti articoli in rete dove è riportata la semplice dicitura “ha affermato in un’intervista“.
I fatti
Comunque, vera o meno l’affermazione, restano i fatti: e questi confermano il primo anno di cash flow positivo per la regina dello streaming audio.
I dati
Questi i dati principali forniti durante la conferenza per gli analisti:
675 milioni di Utenti Attivi Mensili (+35M nel Q4, il massimo storico);
263 milioni di Abbonati Premium (+11% anno su anno);
4.2 miliardi di Ricavi nel Q4 (+16% anno su anno);
1.4 miliardi di Reddito Operativo Annuale (prima volta in utile);
10 miliardi di Euro Pagati all’Industria Musicale nel 2024;
4.85 ARPU Premium (+5% anno su anno, aumentato grazie agli aumenti di prezzo e mix regionale).
ARPU
L’ultimo dato ARPU significa che ciascun utente ha portato in media ricavi per 4,85 euro al mese, mentre la definizione di mix regionale rappresenta un modo vagamente criptico per dire che i costi di abbonamento non sono eguali nelle varie aree del mondo. Quanto al titolo azionario, questo si è apprezzato del 165% in un anno.
Tagli…
Come si è arrivati a questo risultato?
Occorre innanzitutto ricordare i severi tagli alle spese: -16% anno su anno (notare la cifra che coincide con la percentuale di aumento dei ricavi), ottenuto con licenziamenti e risparmi sul versante marketing.
…e aumenti
Ci sono poi gli aumenti del costo per i clienti: in media – pare – del 17%, considerando l’insieme delle regioni in cui opera la piattaforma.
Basso churn rate
Tutto questo ottenuto con un basso churn rate, il che significa che pochi hanno deciso di rinunciare all’abbonamento a seguito degli aumenti stessi. Cosa che, in genere, ben predispone le società a proporre altri aumenti a stretto giro di posta (Netflix insegna).
Video Podcasting
Altra spinta è arrivata dal video podcasting: la popolarità dei format in video è innegabile – come si vede dai risultati costantemente in positivo di YouTube – e Spotify è l’unica piattaforma dove il video fa parte integrante dell’esperienza utente. Il tasto per ascoltare un podcast innesca infatti anche il playout del video, se questo è disponibile.
330.000 titoli gratuiti con versione video
Il numero di titoli gratuiti che dispongono di una versione video era a fine 2024 pari a 330.000.
Nuovi prodotti
Per continuare a crescere, ha affermato Ek nella conferenza, nei prossimi anni Spotify “Continuerà a creare nuove versioni di se stessa che si adatteranno alle diverse sotto-sezioni della base utenza”.
Audiolibri e nostalgici dell’Hi-Fi
Due esempi dovrebbero essere sia quello degli appassionati di audiolibri e quello dei nostalgici dell’era del Hi-Fi.
Continui ritardi
La vicenda dell’offerta in alta fedeltà (Hi-Fi: musica non compressa e forse addirittura con 24 bit di risoluzione per sample) meriterebbe un articolo autonomo: annunciata nel 2021 e prevista per il 2022 questa non ha, a tutto oggi (febbraio 2025), ancora visto la luce. Problemi di licensing, affermano alcuni…
We’re going to do it in a way where it makes sense for us and for our listeners
La posizione in merito del co-presidente Gustav Söderström è stata “We’re going to do it in a way where it makes sense for us and for our listeners” (la lanceremo in un modo che abbia senso per noi e per i nostri ascoltatori). Chiaro? A noi no.
Il non detto
C’è poi qualcosa di non detto nella conferenza, ma di cui da tempo di discute: i ricavi provenienti da brani musicali generati dai vari modelli di Intelligenza Artificiale.
I.A. intelligenza artistica
O, se vogliamo vederla dall’altro punto di vista, il possibile risparmio in royalties per la musica generata artificialmente, senza dunque bisogno di remunerare gli artisti. Nel corso del 2024 si sono verificati numerosi casi di hit sospette di essere state create proprio con l’I.A.
Sofia Pitcher
Fenomeno associato al nome di artisti probabilmente anch’essi virtuali. A marzo 2024 elDiario.es ha, ad esempio, svolto un’inchiesta su una serie di artisti che hanno esordito l’anno precedente: nomi come Sofia Pitcher, Efferson Petersen, Zolia Zayas, Alvaro Cantu, Isabella Carpinelli.
Non c’è storia
Giungendo alla conclusione che i relativi brani fossero tutti frutto di una I.A. generativa: nessuno di questi artisti pareva oltretutto avere una storia o una pagina social.
Fairly Trained
Venendo a tempi più recenti, il CEO di una società di nome “Fairly Trained” (come dire: modelli di I.A. addestrati in modo etico) ha affermato che è in costante crescita il numero di brani generati da I.A. che vengono proposti dall’algoritmo di raccomandazione agli ascoltatori. Rimarchiamo: che vengono proposti dall’algoritmo di raccomandazione.
La posizione ufficiale
Sulla questione un portavoce di Spotify ha dichiarato che il gigante dello streaming “Non ha una politica contro gli artisti che creano contenuti utilizzando autotune o strumenti di intelligenza artificiale, a patto che i contenuti non violino le nostre altre politiche, inclusa la nostra politica sui contenuti ingannevoli, che proibisce di impersonare altri artisti.”
Fantasia
Ma sono noti numerosi casi di utenti in grado di caricare in rapida successione centinaia di brani interpretati da nomi di fantasia, spesso di durata poco superiore alla minima necessaria per ottenere una remunerazione dalla piattaforma, pari a 60 secondi.
3 milioni in un anno
L’effetto combinato di centinaia di questi brani ha portato ad esempio Johan Röhr (“il più famoso musicista mai sentito nominare“) a incassare dalla piattaforma circa 3 milioni di dollari nel 2022.
Veri o sintetici?
Sono tutti brani da lui composti e suonati? Sono in tutto o in parte generati da I.A.? Nessuno ha la risposta definitiva. Ma una cosa resta certa: se Röhr ha incassato 3 milioni di dollari, allora Spotify ne ha fatturati circa 4,28 milioni (lo split dei ricavi dovrebbe infatti essere circa 70:30 a favore dell’artista o presunto tale).
Nuova fonte di ricavi
E se questo è vero non serve neppure che per crescere ulteriormente Spotify crei direttamente i propri brani sintetici: basta che si limiti a non eliminare quelli di terzi ed ecco che la nuova fonte di ricavi si concretizza all’orizzonte, sempre più importante e promettente. (M.H.B. per NL)