Una volta abolito l’Ordine, rimarranno soltanto gli ordini degli editori della Fieg – Milano, 11 agosto 2006. Pubblichiamo la lettera aperta che Franco Abruzzo, presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia, ha indirizzato all’onorevole rosapugnista Daniele Capezzone, che oggi ha proposto l’abolizione dell’Ordine dei Giornalisti, accogliendo i suggerimenti degli editori e in generale dei padroni delle ferriere:
Caro compagno Capezzone, ho letto con interesse le tue dichiarazioni solitarie all’interno della maggioranza di governo e contrastate dall’opposizione. Mi permetto sommessamente di ricordare che la parola Ordine significa riconoscimento giuridico di una professione, nel caso particolare della professione giornalistica. L’Ordine, inoltre, è la deontologia. Nel caso specifico le “regole” fissate dal legislatore sono il perno, come afferma il nostro contratto di lavoro, dell’autonomia dei giornalisti. I Consigli degli Ordini sono per legge i giudici disciplinari e in questo campo fanno la loro parte, certamente con alti e bassi.
Sottolineo l’importanza strategica per una società democratica del nuovo diritto fondamentale dei cittadini all’informazione (“corretta e completa”), costruito dalla Corte costituzionale sulla base dell’articolo 21 della Costituzione e dell’articolo 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (che è legge “italiana” dal 1955). Questo nuovo diritto fondamentale presuppone la presenza e l’attività di giornalisti vincolati a una deontologia specifica e a un giudice disciplinare nonché a un esame di Stato, che ne accerti la preparazione come prevede l’articolo 33 della Costituzione.
Le considerazioni sopra esposte consentono di risalire alle ragioni che hanno spinto il Parlamento nel 1963 a tutelare la professione giornalistica. L’eventuale abrogazione della legge n. 69/1963 sull’ordinamento della professione giornalistica comporterà questi rischi:
1) quella dei giornalisti non sarà più una professione intellettuale riconosciuta e tutelata dalla legge.
2) risulterà abolita laa deontologia professionale fissata nell’articolo 2 della legge professionale n. 69/1963.
3) senza la legge n. 69/1963, cadrà per giornalisti (ed editori) la norma che impone il rispetto del “segreto professionale sulla fonte delle notizie”. Nessuno in futuro darà una notizia ai giornalisti privati dello scudo del segreto professionale.
4) senza legge professionale, direttori e redattori saranno degli impiegati di redazione vincolati soltanto da un articolo (2105) del Codice civile che riguarda gli obblighi di fedeltà verso l’azienda. Il direttore non sarà giuridicamente nelle condizioni di garantire l’autonomia della sua redazione.
5) una volta abolito l’Ordine, scomparirà l’Inpgi. I giornalisti finiranno nel calderone dell’Inps, regalando all’Inps un patrimonio di 2.500 miliardi di vecchie lire (immobili e riserve).
Governo e Parlamento devono preoccuparsi di riformare le leggi sugli ordini e i collegi nonché di tutelare i saperi dei professionisti. La formazione e gli esami per l’accesso devono essere delegati a un altro soggetto (l’Università) anche per garantire il rispetto del principio costituzionale dell’imparzialità. Non possono essere i professionisti a giudicare chi debba entrare nella cittadella delle professioni. E’ condivisibile, infatti, quella parte del decreto legislativo 300/1999 sul riordino dei ministeri che affida l’accesso alle professioni – e quindi anche della professione giornalistica – all’Università. Oggi deve essere tolto agli editori il potere che hanno dal 1928 di “fare” i giornalisti. I giornalisti devono nascere soltanto in Università. Su questo fronte sei in difficoltà, caro compagno Capezzone: il tuo partito, parlo dei radicali, ha promosso un referendum per abolire l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Ha perso anche questo referendum come quello contro l’Ordine dei Giornalisti. Oserai oggi metterti contro i padroni, che negano ai giornalisti il rinnovo del contratto?
Non dimenticare: a) che l’Ordine ha cercato di liberalizzare la professione creando 19 scuole di giornalismo; b) che i suoi minimi tariffari non sono vincolanti (come vuole l’Europa); c) che l’Europa, con la direttiva 36/2005 (“Zappalà”) ha dato disco verde gli Ordini e ai Collegi italiani.
Quella direttiva e poi il dlgs 30/2006 (“La Loggia”) hanno stabilito che le professioni intellettuali si possono svolgere sia in via autonoma sia in via dipendente.
Ti auguro un ravvedimento operoso. Per ora sei un giovane vecchio, prigioniero degli schemi pannelliani rottami di una storia con pagine anche dignitose sul terreno dei diritti civili. Vogliamo rimanere professionisti e non tornare alla stagione mortificante del “mestiere”. Di quella stagione il buon Giacinto Marco Pannella (mio collega a “Il Giorno” di Mattei) è testimone parigino prezioso. Tu, caro Capezzone, guarda avanti e non sposare le aspettative degli editori, che vogliono i giornalisti asserviti ai loro voleri. Senza Ordine, infatti, rimarranno soltanto gli ordini degli editori.
Nota/La tua proposta sull’Ordine dei Giornalisti è un messaggio indiretto di “abolizione” ai 2 milioni di iscritti agli Ordini e ai Collegi italiani. I giornalisti non saranno soli nella loro battaglia!.
Cordiali saluti e buone ferie,
Franco Abruzzo – presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia – cell. 3357227238 – [email protected]