Nella seduta del 24/06/2010 del Consiglio dei Ministri è stato approvato il Decreto Legislativo per la codificazione del processo amministrativo avanti ai Tar ed al Consiglio di Stato, in attuazione della delega conferita al Governo dall’art. 44 della legge n. 69/2009.
Una riforma della materia era auspicata in modo unanime sia dagli operatori della giustizia che dalle parti politiche. Il processo amministrativo, anche se integrato da orientamenti giurisprudenziali ed interventi di riforma particolare, non era mai stato oggetto di una riforma organica ed unitaria. Finora, infatti, è stato regolato da una pluralità di leggi (regio decreto 17 agosto 1907, n. 642; regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054; legge 6 dicembre 1971, n. 1034, legge 21 luglio 2000, n. 205), nonché da una miriade di norme speciali e settoriali. Tali normative dovevano essere riordinate al fine di adeguare il processo amministrativo ai principi, di rango costituzionale, di snellezza, ragionevole durata del processo, attuazione del contraddittorio, concentrazione ed effettività della tutela. Questi sono i fini che la riforma approvata dal Consiglio dei Ministri si propone di attuare. La nuova regolamentazione, che entrerà in vigore il prossimo 16 settembre, ricalca, facendoli propri, alcuni istituti propri del processo civile quali il principio dell’onere della prova, la disponibilità dei mezzi di prova e la valutazione delle stesse da parte del Giudice, la ripartizione delle spese processuali. Il Giudice amministrativo non sarà più solo ed unicamente il giudice della validità/annullabilità dell’atto ma dovrà anche decidere su questioni riguardanti le richieste di risarcimento danni, l’ottenimento di condanne ad un facere da parte della pubblica amministrazione, l’azione contro il silenzio della P.A. Rimangono poi confermati alcuni riti speciali quali il decreto ingiuntivo, il rito in materia di accesso ai documenti amministrativi, il ricorso abbreviato in determinate materie (già nella legge Tar art. 23-bis), il rito previsto in materia di pubblici appalti (D.lgs. n. 163/2006 e n. 53/2010), i riti particolari in materia elettorale per Regioni, Province, Comuni, Parlamento Europeo, Camera e Senato. Oltre alla classica azione per l’annullamento dell’atto amministrativo, da impugnare entro 60 giorni, motivata dalla tradizionale illegittimità per vizi di violazione di legge, incompetenza ed eccesso di potere – azione che rimarrà comunque l’asse portante del processo amministrativo – sarà possibile esperire l’azione volta ad ottenere una condanna della P.A., quella per ottenere un risarcimento di danni patiti in conseguenza dell’operato della P.A., nonché l’azione atta a superare il silenzio della P.A. Oltre ad ottenere l’annullamento dell’atto, il privato potrà chiedere, per ottenere piena tutela dei propri interessi, una condanna della P.A. a fare un qualcosa (ad esempio dare l’assenso o l’autorizzazione mancata con l’atto impugnato); in via residuale il privato potrà, altresì, chiedere la condanna della P.A. consistente nell’adozione di ogni altra misura idonea a tutelare la posizione giuridica soggettiva del privato. Tra le possibilità di condanna da parte della P.A. vi sarà anche quella di risarcire i danni. La riforma ha anche chiarito il tema controverso della c.d. pregiudiziale amministrativa in materia appunto di risarcibilità dei danni da parte della P.A., ossia della possibilità/impossibilità di agire per ottenere un risarcimento di danni senza impugnare contemporaneamente l’atto amministrativo. Infatti, la Cassazione si era espressa, in senso difforme rispetto al Consiglio di Stato, per la possibilità di agire in modo autonomo, senza cioè impugnare l’atto ai fini dell’annullamento, al fine di ottenere il ristoro dei danni per l’agire non corretto o illegittimo da parte della P.A. La riforma prevede dunque la possibilità di richiedere di essere risarciti dei danni in contemporanea all’azione di annullamento dell’atto amministrativo dal quale i danni deriverebbero, nonché la facoltà di agire per ottenere il solo risarcimento dei danni ma entro un termine di decadenza di 120 giorni, decorrente dal giorno in cui il fatto si è verificato o dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo. Nel caso sia stata proposta solo la tradizionale azione di annullamento, la domanda di risarcimento danni potrà essere avanzata entro 120 giorni dal passaggio in giudicato della sentenza che ha deciso sull’annullamento. Il termine di decadenza, abbastanza breve, è giustificato dalla esigenza di certezza che deve avere la posizione e l’operato della P.A. (il termine di prescrizione ordinario fra privati per ottenere il risarcimento dei danni è invece di cinque anni). Nel liquidare i danni il Giudice amministrativo dovrà inoltre escludere quelli che il privato avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza, ossia anche quelli che avrebbe evitato impugnando l’atto per l’annullamento. Il risarcimento potrà anche non essere monetario ed essere in forma specifica, ad esempio ottenendo ciò che la P.A. aveva negato al privato cittadino. È prevista poi una disciplina particolare per l’azione di risarcimento danno per il mancato rispetto del termine massimo di conclusione del procedimento; in tale caso il termine di decadenza non decorre fintanto che perdura la situazione di inadempimento da parte della P.A. La riforma conferma poi l’autonomia dell’azione contro il silenzio della P.A., volta ad ottenere la dichiarazione dell’obbligo dell’amministrazione a provvedere. L’azione potrà essere proposta, anche senza preventiva diffida, decorso il termine di conclusione del procedimento ed entro il termine di un anno dalla conclusione dello stesso. Il Giudice amministrativo potrà pronunciarsi solo quando non residuino altre attività discrezionali o istruttorie da parte della P.A. o quando si tratti di procedimenti vincolati. In tali casi potrà anche essere emessa una sentenza che tenga luogo al provvedimento amministrativo mai emesso per inerzia della P.A. Viene poi introdotto espressamente il principio, tipico del processo civile, della condanna della parte soccombente alla rifusione delle spese alla parte vittoriosa (c.d. principio della soccombenza). Il Giudice amministrativo sarà dunque obbligato, quando pronuncia una decisione sia di merito che cautelare, a pronunciarsi anche in ordine alla ripartizione delle spese processuali secondo appunto il principio della soccombenza. La prassi, instaurata sino ad oggi avanti i Giudici amministrativi, prevede il ricorso alla c.d. compensazione delle spese, ossia le parti, vittoriosa e non, sostengono i costi delle rispettive difese. Ma vi è di più: le spese potranno anche essere accollate alla parte che abbia nel corso della causa rifiutato una soluzione bonaria della controversia in maniera immotivata. Può dunque essere condannata alle spese anche la parte vittoriosa, ma nei limiti di una proposta transattiva formulata dalla controparte e rifiutata senza motivo. Il codice del processo amministrativo prevede poi la possibilità per il Giudice di condannare, anche d’ufficio, la parte soccombente al pagamento, a favore dell’altra parte, di una somma di denaro determinata in via equitativa, quando la decisione è fondata su ragioni manifeste o orientamenti giurisprudenziali consolidati. Si è cercato così di dare un risvolto punitivo alla ripartizione delle spese di causa in modo da contrastare la prassi di alcune P.A. che oggi preferiscono attendere, anche quando hanno palesemente torto, la fine del giudizio in modo da fare slittare più lontano possibile gli effetti di una decisione che comunque, oggi, non comporta solitamente l’obbligo di dovere fare fronte a rimborsi di spese processuali. La prassi dei Tribunali amministrativi, dopo l’entrata in vigore del decreto, potrà chiarire i reali effetti della modifica dei principi sulla ripartizione delle spese di causa. Sempre sulla falsariga del processo civile, vengono introdotti i mezzi di prova di cui le parti possono disporre (c.d. principio dispositivo) al fine di provare i fatti posti a base delle rispettive difese. Prove testimoniali e consulenze tecniche d’ufficio potranno dunque essere utilizzate come mezzi di prova avanti ai Giudici amministrativi, che potranno dunque svolgere nel processo anche la funzione di istruttori. Il Giudice, fra l’altro, avrà la possibilità di disporre anche d’ufficio (senza cioè istanza di parte), l’acquisizione di informazioni utili ai fini della decisione che siano nella disponibilità della P.A. Altro principio introdotto è che il Giudice potrà porre, a fondamento della propria decisione, oltre alle prove proposte dalle parti, anche i fatti dalle stesse esposti e non specificamente contestati dalla controparte. Ciò significa che sarà molto importante, non solo per i privati ma anche per la P.A., difendersi in modo specifico in giudizio prendendo posizione su tutte le contestazioni ed osservazioni proposte dalla controparte. L’applicazione pratica delle norme introdotte svelerà gli effetti veri della riforma che, in ogni caso, rappresenta la prima codificazione organica del processo amministrativo nella storia d’Italia. (D.A. per NL)